di Simone Barillari
[Le recensioni, secondo il sottoscritto, contano molto meno di altri atti. Non è quindi una recensione quella che qui propongo, bensì una quarta di copertina firmata, peraltro da un critico di cui ci si deve fidare, per la quantità e la qualità di proposte con cui da anni arricchisce il panorama editoriale italiano. gg]
Si può tentare di raccontare — di intendere, di immaginare — questa storia in molti modi. Per esempio, si può provare a dire che questa è la storia di due fratelli e di un padre e di una sorta di gita al mare, o piuttosto di una fuga al mare, anche questo non è sbagliato — una fuga da un attacco o comunque da qualcosa di minaccioso che incombe sulla loro casa.
La madre non è con loro, e si deve forse presumere che sia scomparsa in un misterioso pozzo mortale. Oppure si potrebbe dire che questa storia si svolge in una strana dimensione acquatica in cui i vestiti alterano — a volte dominano — il comportamento delle persone, in cui il tempo stesso può essere consunto e dismesso proprio come un vestito, e anche il linguaggio, si direbbe, ha la consistenza fisica di un tessuto e origina trame complesse (il narratore non riesce a parlarlo bene e a capirlo, o a decifrarlo, con la stessa facilità del fratello e del padre).
Tutti questi modi di raccontare la storia — di supporla, anche — sono ugualmente leciti ed esatti, e alla fine non si escluderanno tra loro. Ben Marcus, cui non dispiace veder comparire il proprio nome nei pressi di quelli di Donald Antrim e George Saunders, ha installato una situazione ordinaria e famigliare dentro una coerente irrealtà, di cui ha progettato un funzionamento che risulta meticoloso e oscuro. Può così applicare ai pochi eventi una prosa che obbedisce sempre e irresistibilmente al suono e alla sintassi, ma ammette significati diversi, ermeneutiche contrastanti. Un coefficiente quasi poetico di essenzialità ha generato in questa scrittura qualcosa di ambiguo e magnetico, a volte qualcosa di disturbante, e l’ha come elettrificata in uno stato di allerta. Forse avviene qui dentro un esperimento privato di lessico e metafisica, la compilazione di un glossario arcano che si addice a un’unica famiglia o a un’intera mitologia, e in cui divinare domande nuove. Anche l’esistenza quotidiana insieme alle convenzioni che sorreggono la parola viene invitata all’inquisizione.
Ben Marcus, Matthew Ritchie – Il costume di mio padre – traduzione di di Rossella Bernascone – Alet Edizioni – €. 13,00