[La questione affrontata nello splendido intervento di Adriano Petta ha un equivalente poetico, incarnato da Vladimir Majakovskij. Ne ha anche altri, ma Majakovskij più di tutti, perché nella sua avventura intellettuale letteratura e vita si fondono e confliggono, al pari dello scontro titanico e dell’amoroso abbraccio tra la potenza dell’impegno e la produzione fantastica. Per questo motivo vale la pena di pubblicare una sommaria biografia dell’autore del Flauto di vertebre: perché suona un flauto onirico, ma lo strumento è fatto di vertebre. gg]
Vladimir Vladimirovich Majakovskij nasce nel 1893 a Bagagadi, in Georgia, da una famiglia di modeste condizioni. Alla morte del padre, un nobile decaduto che lavora come ispettore forestale, nel 1906 Vladimir si trasferisce a Mosca dove, abbandonati gli studi, si dedica alla vita politica. Appena quindicenne si iscrive al partito bolscevico, che allora agisce ancora nella clandestinità, e finisce diverse volte in carcere per attività sovversiva.
Proprio durante questi periodi di detenzione il giovane Majakovskij inizia la sua attività di poeta. Appassionatosi alla poesia, legge e recita versi continuamente, in un costante monologo interiore.
Iscrittosi nel 1911 alla Scuola di Arti di Mosca, conosce il pittore D. Burljuk che lo incoraggia alla poesia e lo mette in contatto con il gruppo Hyleano, un gruppo di poeti futuristi fondato dal poeta sperimentalista Chlebnikov, di cui Majakovskij diventa amico. Grazie al suo grande entusiasmo, Majakovskij diventa in breve leader del gruppo, che si allarga trasformandosi nella leggendaria cerchia dei cubofuturisti. Lo schiaffo al gusto corrente, da lui scritto nel 1912, è considerato il manifesto del futurismo russo.
Nel 1913-14 Majakovskij compie insieme ai futuristi una lunga tournée nella Russia meridionale. Grazie alla sua imponente presenza fisica, agli atteggiamenti provocatori e alla prepotente personalità, egli diventa una sorta di divo spettacolare.
Il suo primo poema lungo, La nuvola in calzoni, risale al 1915 ed ha per tema dominante l’amore. In quell’anno Majakovskij conosce infatti Lilja Brik, moglie del critico Osip Brik, suo amico e compagno di battaglie, e se ne innamora. Diventa così un ospite fisso in casa della coppia e dedica diverse poesie a Lilja, ma quest’ultima è seccata dalla continua adorazione del poeta e dalla sua trascuratezza. Majakovskij per piacerle va a farsi curare i denti e si veste con eleganza; finisce anche per andare a vivere dai Brik.
Inizia così tra Majakovskij, Lilja e Osip un malato rapporto a tre che continuerà per molti anni. Per Majakovskij Lilja sarà il solo grande amore della sua vita, ma Lilja amerà sempre e solo il marito, tanto che dopo la sua morte dirà: «Quando Majakovskij si è sparato è morto un grande poeta, ma quando è morto Osip sono morta anch’io”
Durante la Prima Guerra Mondiale Majakovskij scrive il poema Tu!, che ha un successo tanto clamoroso quanto imprevisto, e racconta il dramma del conflitto ne La guerra e l’universo.
La sua adesione e il grande sostegno dato alla Rivoluzione d’Ottobre nel 1917 lo rendono ancor più popolare e amato. Vedendo nel bolscevismo l’unica forza in grado di realizzare una trasformazione in campo sociale e artistico, Majakovskij se ne fa promotore in tutta Europa svolgendo un’ intensa opera di propaganda e affiancando alla produzione letteraria anche una vasta produzione di slogan e manifesti.
Nel 1918 scrive il dramma Mistero buffo, una satira aristofanesca della borghesia russa, e il poema di propaganda proletaria 150.000.000.
Dopo la rivoluzione diventa membro dell’IZO, sezione delle arti figurative del commissariato per l’educazione pubblica; nel 1919-1923 lavora alla ROSTA, l’agenzia telegrafica russa, per la quale realizza oltre 3000 “finestre” (manifesti di propaganda con immagini e slogan).
Nel 1923 fonda con Osip Brik la rivista «LEF», organo del fronte di sinistra delle arti, di cui è direttore e in cui scrivono l’avanguardia teatrale, cinematografica, artistica e letteraria.
Nel 1924 muore Lenin e Majakovskij compone per lui un’elegia che lo rende famoso in tutta la Russia. In questo periodo egli viaggia moltissimo sia in Europa che in America, dove visita Stati Uniti, Messico e Cuba.
Nel 1928 il LEF cessa in pratica di esistere, anche grazie agli attacchi della RAPP, l’associazione degli scrittori proletari, in cui Majakovskij entra agli inizi del 1930. Nell’ultimo periodo della sua vita cominciano a sorgere nel poeta dubbi e incertezze sull’esito della rivoluzione, che egli esprime attraverso le due opere teatrali La Cimice e Il Bagno. Qui Majakovskij descrive infatti con crudele ironia un mondo futuro grigio ed impersonale, popolato da burocrati gretti e fanatici.
Con l’avvento al potere di Stalin la situazione precipita. Majakovskij vede i suoi ideali rivoluzionari completamente stravolti da un tiranno che ha in mano il potere assoluto ed è anche prostrato dalla sua relazione sentimentale con Lili. Isolato e criticato dalla cultura ufficiale, egli si chiude in una cupa solitudine e il 14 aprile 1930 muore a Mosca con un colpo di pistola al cuore.
Nella sua lettera di commiato scrive:
«A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non e’ una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia e’ Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio.[…] Come si dice, l’incidente e’ chiuso. La barca dell’amore si e’ spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici».
La sua morte, avvenuta per supposto suicidio, è ancora un capitolo ambiguo della storia sovietica: alcuni storici hanno messo infatti in dubbio la versione dell’autoeliminazione e hanno indicato la probabilità che Majakovskij sia stato “suicidato” da sgherri del regime. E’ difficile credere che il tono dimesso di queste parole, le ultime che Majakovskij vergo nel 1930 prima del suicidio, a soli trentasette anni, appartenga alla stessa persona che aveva spavaldamente dichiarato: “Vogliamo che la parola esploda nel discorso come una mina e urli come il dolore di una ferita e sghignazzi come un urra di vittoria”. Con la sua morte si chiude l’utopia civile di “una generazione che ha dissipato i suoi poeti”. La figura di Majakovskij e al centro di una stagione straordinaria della poesia russa. Che cosa sarebbe la poesia del Novecento senza i nomi di Achmatova, Cvetaeva, Mandelstam, Chlebnikov, Pasternak, Esenin? Agitatore e prigioniero politico a sedici anni, attore, drammaturgo, regista cinematografico, lirico raffinato con pose da teppista, istrione da circo, araldo delle masse operaie, disegnatore satirico, fustigatore dell’ufficialità sovietica, profeta e martire di una rivoluzione in cui era entrato come in casa propria, per Majakovskij “l’amore è il cuore di tutto”. Al nostro tempo schiacciato dall’omologazione la tragica allegria e la carica vitale della sua poesia hanno ancora qualcosa da dire.
Racconta Elsa Triolet, sorella di Lili e moglie di louis Aragon: “L’hanno perseguitato sino al giorno della sua morte. Le sue opere erano pubblicate con tirature insufficienti, i suoi libri e i suoi ritratti erano tolti dalle biblioteche (…) Un piccolo funzionario, nel 1934, al Congresso degli scrittori di Mosca, per averlo io rimproverato d’avere tagliato senza giustificazione il nome di Majakovskij in un mio articolo, come se questo nome fosse un disonore, disse: ‘Esiste un culto di Majakovskij e noi lottiamo contro questo culto'”.
alle insegne
Leggete libri di ferro!
Sotto il flauto d’una lettera indorata
si arrampicheranno marene affumicate
e navoni dai riccioli d’oro.
E se con allegra cagnara
turbineranno le stelle “Maggi”,
anche l’ufficio di pompe funebri
moverà i propri sarcofaghi.
Quando poi, tetra e lamentevole,
spegnerà i segnali dei lampioni,
innamoratevi sotto il cielo delle bettole
dei papaveri sui bricchi di maiolica.
1913