di Giuseppe Genna
L’altra sera, come sempre in tv, precisamente a Ballarò, è andata in onda tutta l’indegnità della politica italiana, nella sua più goffa imitazione di sistema con cui una comunità democratica si autogestisce. Si attendeva l’atterraggio dell’aereo che riportava in Italia, dopo tre settimane di pura angoscia, Simona Pari e Simona Torretta, e i politici erano su piccolo schermo a intascare meriti più o meno benemeriti. In qualità di analisti alcuni, di diretti protagonisti della vicenda altri. In particolare il sottosegretario Mantovano, militante in An, con calma ed ‘erre’ arrotata plaudeva alla compostezza delle parti suppostamente ideologiche: un’unità nazionale ridicola strappata al culmine di una storia tragica. Insieme a lui, nell’arena catodica: Rutelli, che poi è scappato dicendo “scusate, sono invitato a Ciampino, devo accogliere le ragazze”, Diliberto accusato di essere un amante dell’URSS dal già piduista Cicchitto, il giornalista Zucconi, il giornalista esperto in quartieri di Baghdad Buongiorno. Alti momenti di teatrino con morale finale: che non c’è la morale, basta il morale purché sia alto.
Nel clima di ritrovata serenità istituzionale, iperparlamentarista, sofisticatamente sillogista, emergevano contraddizioni enormi, insostenibili, degne di denuncia civile.
Per esempio l’ex candidato premier del Centrosinistra non accennava minimamente a quello che il Centrosinistra deve dire e non sta dicendo: via dall’Iraq. L’hanno dovuto dire, al posto suo, una volta atterrate sull’italico suolo, le ragazze rapite, che hanno richiesto, davanti a selve indicibili di microfoni spianati, il ritiro delle nostre truppe. Né su Repubblica né sul Corriere, tra titoli e catenacci, campeggiava oggi questa sacrosanta richiesta, che a due donne sequestrate deve costare non poco in termini psicologici, risultando pur ovvia, per loro, in termini etici prima che ideologici.
A fronte di questo, il deserto o l’insulto implicito. Smozzicamenti del neocomunista Oliviero. Una graziosa docente della Bocconi, madrelingua di area mediorientale, ha effettuato l’imbarazzante domanda, al cospetto del pacato esponente governativo e del nervoso altogrado forzista. Ella non si è limitata a chiedere il ritiro delle truppe: ha direttamente accusato di ipocrisia il premier Berlusconi, rilevando che, se da un lato strilla alla guerra al terrorismo, dall’altro riceve un noto criminale internazionale come Musharraf, presidente del Pakistan, luogo in cui egli fa mancare ai sudditi le più elementari libertà, e che però è appoggiato dagli Stati Uniti perché si trova tra Afghanistan, India e Cina: il Pakistan è ora, sul piano geopolitico, ciò che fu l’Italia durante la Guerra Fredda. Cicchitto, irritatissimo, citava sottotraccia Macchiavelli: facciamone di ogni, importa il fine. Già: quale fine?
Il fine di tutta questa vicenda internazionale non si intravvede. Si intravvedono le modalità e gli esiti, ma non certo più o meno occulte finalità. Non basta il petrolio a giustificare tutto, come ottusamente fa il pur meritorio Michael Moore. Noi europei non siamo bolsi e disinformati come i compatrioti di Moore, le nostre domande aspirano a risultare un poco più raffinate di quelle che il regista americano pone all’Amministrazione.
In particolare il delirio di immagini cruente, devastanti per qualunque essere senziente, che giungono dall’Iraq – ma non soltanto da lì – sta abbassando ogni soglia di vivibilità secondo i vecchi parametri occidentali. L’aumento dell’uso di psicofarmaci negli States, dall’11 settembre 2001, è valutabile in un quadruplo netto, e ancora si attendono le rilevazioni di campo europeo. La stasi deflatoria peggiora, le soglie di povertà (certo, quelle all’occidentale) sono superate da sempre più ampie porzioni della popolazione continentale. In risposta a questo disagio sociale, i neonazisti tedeschi raggiungono il 9% nelle amministrative di certi significativi land tedeschi. Qui da noi, sepolta sotto il can can retorico e ipocrita fatto intorno alle due Simone – con tanto di recupero dell’inguardabile icona del genitore-tricolore di uno dei fu ostaggi -, passa una devoluzione assassina del sud e costituzionalmente illegittima, del tutto mortificante. E’ grazie a una sequela di atti compiuti da quei terroristi che si voleva eliminare se ora la Russia è a rischio definitivo di dittatura. Si allontana la soluzione del problema palestinese che Bush, all’indomani del crollo delle Torri, aveva indicato come priorità fondamentale per la stabilità del Medioriente e dell’intero pianeta, salvo dimenticarsene entro 24 ore. Conati di razzismo tra il pittoresco e il criminale si segnalano un po’ ovunque. In Olanda sta per passare una devastante riforma del sistema scolastico che ha partorito nobili cassandre – e si tratta di un modello che Bruxelles imporrà nel breve a tutta Europa.
E, al di fuori di questo contesto, nell’occhio del ciclone, morti, devastazioni, strazio di bambini, teste che rotolano, centinaia di rapimenti non denunciati dai media occidentali (dei camionisti turchi non frega niente a nessuno), torture, gabbie, un caleidoscopio da incubo hitleriano. Che si tratti delle falangi fondamentaliste islamiche o dei GI americani, ormai a parlare è un’unica lingua – mortuaria, agghiacciante. La grammatica di Zarqawi (o chi per lui) e quella di Bush sono identiche.
Proprio per questo va ribadito, con forza, ora più che mai, che bisogna smetterla con questa farsa della missione di pace. Bisogna che l’Italia ritiri le sue truppe. Bisogna rompere il circolo vizioso che sovrappone morte ad assassinio. Bisogna imporre la logica della pace. Che è, per l’appunto, una logica e non una semplice reazione emotiva. Non è che siamo di fronte a un Eden che non abbiamo compreso: i problemi, le contraddizioni, le difficoltà sono immensità da sciogliere. Esiste tuttavia un modo di scioglierle che non impone il taglio del nodo gordiano con la spada e il sangue.
La logica della pace ammette un’unica guerra: quella alla guerra. La si pratichi sulla scorta dell’esortazione formulata dalle due donne italiane sequestrate, che all’odio non hanno risposto con l’odio, bensì con quella logica virtuosa e tutt’altro che ingenua.