di Gioacchino Toni
Dicevamo, precedentemente, che questa ristrutturazione comporta anche uno scontro generazionale, scontro che molti film tendono comunque a risolvere, in qualche modo, nel finale. Lo schema è sempre lo stesso; all’interno di una situazione di equilibrio iniziale, un evento improvviso viene a turbare quella tranquillità che, inevitabilmente, alla fine della storia sarà ristabilita. Insomma, i figli perversi del modello americano finiranno per soccorrere i vecchi valori della famiglia che, a sua volta, non potrà che rallegrarsi del ravvedimento del figliol prodigo.
I film che trattano lo scontro generazionale associandolo alle diverse concezioni degli affari e dei relativi valori messi in campo, hanno una struttura a contrapposizioni binarie; regole/assenza di regole, società contemporanea/famiglia, vecchio/giovane, valori/assenza di valori, individualismo/solidarietà, tutto subito (negazione del tempo)/pian piano (successo da costruire nel corso del tempo), costruire/prendere… Due film su tutti incarnano come il cinema americano ha rappresentato questi dualismi; I soldi degli altri di Norman Jewison e Wall Street di Oliver Stone.
Il film di Norman Jewison, tratto da una commedia di Jerry Sterner, inizia con le immagini patinate di un uomo d’affari alla finestra di un grattacielo di prestigio intento a presentarci la sua filosofia esistenziale: mettere le mani sui soldi degli altri. Improvvisamente cambia l’ambientazione e sullo schermo abbiamo le immagini, dai colori più grigi e verosimili, di un vecchio complesso industriale della provincia con tanto di ciminiera fumante e mura di mattone rosso a vista. In questo complesso ha sede la New England Wire & Cable, con i suoi operai che, di buona mattina, si apprestano a timbrare il cartellino e ad iniziare un’altra dura giornata di lavoro, scandita, al di là dei borbottii mattutini, da un sostanziale buonumore. L’ambientazione cambia di nuovo, siamo nuovamente nel mondo patinato di Wall Street, e Mr. Garfield – il personaggio interpretato da Danny De Vito – ha messo gli occhi sulle quotazioni della ditta; da questo momento si tratterà, per quanto lo riguarda, di mettervi anche le mani. Sui soldi degli altri, appunto. Questa sarà la struttura narrativa che il film avrà fino alla fine: la continua alternanza tra il mondo patinato degli affaristi solitari e senza scrupoli di Wall Street e la comunità solidale del lavoro fondata, oltre che sul sudore, su valori condivisi e rispettati.
Da una parte il lussuoso quanto freddo ed asettico ambiente metropolitano, fatto di white collars servili, quanto gelidi, e di immaterialità tanto delle informazioni di borsa, quanto dei rapporti umani ridotti al minimo; l’unico rapporto emotivo intrattenuto da Mr. Garfield, è con il suo computer dal nome di donna. Dall’altra parte abbiamo l’umanità di un ambiente di lavoro ove, come da tradizione, ci si riunisce in cortile per fare la foto di gruppo della “grande famiglia della New England”. Qui sono stati chiamati tutti, dal più umile degli operai al titolare che, acclamato dai dipendenti, conosce tutti per nome e si presenta sobriamente elegante come si conviene ad un titolare che passa più tempo in officina che in ufficio. Qui il freddo che fa fumare il fiato è però compensato dal calore umano che anima l’intera comunità. I due mondi sono stati, così, presentati: la tradizione della New England – esplicito, dunque, il riferimento al mitizzato spirito intraprendente e solidale dei pionieri americani -, ed il rampantismo “mordi e fuggi” di affaristi senza scrupoli che, impazienti ed incapaci di costruirsi con le proprie mani la ricchezza desiderata, non hanno altro obiettivo che quello di sottrarre ricchezze altrui.
Posta la questione in questi termini, lo sviluppo narrativo del film è facilmente prevedibile; Mr. Garfield si prodigherà nel rastrellamento di azioni sufficienti per mettere in minoranza la vecchia dirigenza e, per speculazioni finanziarie, chiudere la ditta mettendo sul lastrico l’intera comunità locale, il cocciuto titolare – interpretato da Gregory Peck emblema dell’America tradizionale – si opporrà, in nome dei vecchi principi, allo smantellamento della ditta – che da ottantuno anni «resiste sul mercato» – ricorrendo anche ai servigi della figlia, avvocato di successo che da tempo non frequenta più la famiglia e la provincia.
Emblematico incontro tra i due diversi mondi si ha quando Mr. Garfield decide di recarsi a fare visita all’azienda. Già il contatto telefonico rimarca la presenza di due sistemi diversi: la segretaria di Mr. Garfield telefona da un ufficio ultratecnologizzato, mentre all’atro capo del telefono risponde, all’interno di un locale molto sobrio arredato con vecchi mobili di legno robusto, una segretaria non più giovane – che probabilmente occupa quel posto da svariati decenni condividendone gioie e dolori – intenta a correggere col bianchetto un foglio sulla vecchia macchina da scrivere. Una cosa, però, accomuna le due segretarie: entrambe si trovano a dover preparare il caffè ai rispettivi titolari. Il film vuole, comunque, suggerirci che mentre la professionale segretaria di Wall Street ha un atteggiamento servile quanto distaccato, la segretaria della provincia prepara “volentieri” il caffè, proprio come si conviene a una donna della famiglia.
La moglie del titolare accoglie nella ditta – nella provincia di Rhode Island – Mr. Garfield invitandolo a ripararsi dal freddo pungente entrando nel calore della fabbrica – parallelo con l’ambiente domestico – preoccupandosi anche del suo autista restato fuori ad aspettare. Garfield viene ricevuto in ufficio come si conviene ad un ospite che sopraggiunge a casa; tutti si mostrano disponibili nei suoi confronti, la segretaria ha già provveduto a preparare il caffè per tutti, il titolare ha riposto il camice di lavoro utilizzato fino a quel momento e di fronte a questa accoglienza l’ospite si mostra arrogante: «…non vedevo tanta merda da quando ho lasciato il Bronx», dirà tra sé e sé al suo arrivo in limousine. L’arroganza mostrata dall’uomo di Wall Street denuncia la totale mancanza in lui di quei valori che hanno fatto grande la New England (l’America stessa): la famiglia, la sua ospitalità, il rispetto delle regole e delle convenzioni, la solidarietà con l’intera comunità ecc.
Il titolare della New England ricorda con nostalgia un comizio, tenuto proprio da quelle parti da Henry Thrumann, l’uomo che «… ricostruì l’America… il solo Democratico per cui io abbia votato» e a questo contrappone la logica degli uomini di Wall Street che anziché voler costruire, vogliono soltanto distruggere. Emblematica l’immagine che mostra la bassa statura dell’ospite al cospetto dell’altezza di chi lo ha ricevuto. Di fronte a chi auspica, contro l’anarchia senza leggi, il rispetto leale delle regole, il mondo di Wall Street dichiarerà, per bocca di questo suo rappresentante, di non temere alcuna regolamentazione legislativa perché «potranno solo cambiare le regole (…) io non abbandono, mi adeguerò».
La figlia, avvocato di successo che si muove in elicottero tra i pescecani della città, nonostante sia ormai completamente integrata con il mondo degli affari metropolitano, non può far altro che accorrere in aiuto dei genitori; «…è per la famiglia!». L’unico modo per tentare di tenere testa a Mr. Garfield è quello di usare le sue stesse armi – così come accade nel film di Oliver Stone Wall Street -; abili giochetti finanziari ed infrazioni alle regole. In qualche modo la giovane è del tutto simile al nemico della famiglia; fa parte di un ambiente che non ammette altre possibilità; «… perché noi due siamo uguali… a noi due sta più a cuore il gioco dei giocatori», così i due finiranno per avere una relazione che si preannuncia durare nel tempo. La donna si unirà ai parenti attorno al focolare domestico a mangiare il tradizionale tacchino in famiglia il Giorno del Ringraziamento, ma, ormai, nonostante un certo senso di nostalgia, sente di non fare più parte di quel mondo, di difenderlo soltanto per “legami di sangue” e non perché crede che esso abbia ancora un futuro.
La resa dei conti finale tra la vecchia e la nuova America, si avrà al cospetto degli azionisti ai quali è demandato il compito di decidere – il riferimento alle elezioni è facilmente identificabile – quale delle due ideologie dovrà governare il futuro: la tradizione della New England ed il suo senso paternal-solidaristico, o l’individualismo d’assalto neoliberista-finanziario dai facili ed immediati profitti. Chiaramente il film ha scelto da che parte stare, nelle parole del vecchio ed indomito titolare è racchiusa tutta la nostalgia postmoderna in crisi d’identità; «Le cose sono cambiate… che cosa ne è stato della gente che si aiutava a vicenda?…». L’assemblea finale, tenuta di fronte agli azionisti che hanno il diritto di voto – tra i quali vi sono anche alcuni dipendenti -, viene trasmessa con i megafoni all’esterno della sala, ove vi sono i blue collars con le rispettive famiglie a protestare contro la possibile serrata; in qualche modo richiamando la passività con la quale i più sono costretti a subire decisioni che altri prenderanno per loro. (L’attesa di fronte ai megafoni richiama anche la passività televisiva). Questa assemblea prende i connotati della messa in scena processuale, le dichiarazioni delle due parti sembrano, infatti, l’accusa e la difesa in tribunale, in un tribunale ove più che il “popolo sovrano” – o meglio, i suoi rappresentanti – si hanno i soli azionisti sovrani (simboleggianti la minoranza che negli USA ha potere decisionale reale).
Riferendosi a Garfield, e con esso al “nuovo corso dell’economia Americana”, il vecchio capitano d’azienda, lo descrive come un «operatore economico dell’America postindustriale che fa il dio giocando sulla pelle e sui soldi degli altri… i magnati-ladri del passato almeno lasciavano qualcosa di tangibile nella loro scia; una miniera di carbone, una strada ferrata, banche… quest’uomo non lascia niente e non costruisce niente… non crea niente e non dirige niente… lui dice “io vi ucciderò perché in questo particolare momento sul mercato voi valete più da morti che da vivi”… Dio salvi questo Paese se questo veramente è il segno del futuro!… E’ un omicidio di massa… solo che Wall Street lo chiama “massimizzare il valore delle azioni”…».
Al patto sociale qui (ri)proposto, il nuovo corso contrappone la – reale – distinzione di interessi tra azionisti e dipendenti, riservandosi il compito di parlare solamente a nome dei primi. Il voto finale – degli azionisti – premierà il nuovo corso… ma ciò sarà reso possibile soltanto dal tradimento di un azionista che, legato alla grande famiglia della New England venderà i propri voti. Il film suggerisce, dunque, che questo nuovo corso si è reso possibile soltanto grazie al tradimento (anche elettorale) che la middle class ha attuato nella scelta dei valori che dovevano guidare il futuro – Reagan-Bush – lasciandosi comprare da sogni liberisti che poi, inevitabilmente, porteranno alla catastrofe: i cancelli della fabbrica chiusi e le strade deserte. L’unico riscatto per la vecchia America, nel film, sembrerebbe però derivare dalla donna-avvocato-in-carriera che, mantenuti i rapporti col nemico, tenta di conciliare i suoi interessi con quelli della comunità (proponendo, in sostanza, di rinnovare il prodotto adeguandolo alle esigenze del mercato). Ma tutto questo a quale prezzo? La perdita delle sue origini e la vendita dell’anima – si innamorerà dell’uomo di Wall Street – al demonio.
Con Wall Street di Oliver Stone entriamo direttamente nelle stanze dei bottoni. Assistiamo alla rapida ascesa di un giovane yuppie, figlio di un operaio sindacalista vecchio-stampo, che si lascia corrompere dal successo facile ottenuto con la pratica illegale dell’inside trading (si tratta, in sostanza, dello sfruttamento di informazioni interne di compagnie quotate in borsa con finalità speculative). Il film è sorretto da una forte nostalgia per un glorioso passato ora calpestato dal mito yuppie dell’arricchimento facile, a questa deriva contrappone l’elogio al self-made-man che si è costruito la propria fortuna con i sacrifici di un duro lavoro quotidiano. La struttura del film resta interna alle modalità canoniche; c’è una seduzione (far soldi in poco tempo), una corruzione (necessaria per raggiungere lo scopo) ed una redenzione (il ritorno alla famiglia). Superficialmente sembrerebbe una critica serrata alla struttura corrotta del mercato, ma in realtà, diversamente da quel che sembra, il film risolve i suoi dilemmi etici nella mitizzazione della tradizione retta (anch’essa) da individualismo e dalla famiglia come base sociale. Non siamo di fronte ad una critica radicale della mentalità del capitalismo, ma a quella che Norman K. Denzin definisce acutamente come «apologia conservatrice della struttura che sta alla base di quel che si vorrebbe criticare» (Denzin 1991: 82).
L’intero film è sorretto da una continua compresenza dualistica dei valori in campo; da una parte quelli positivi della vecchia America, dall’altra quelli degenerati del cinismo contemporaneo. Denzin (1991) sottolinea come Stone esprima qui quel senso di nostalgia, tipico del clima post-modernista americano degli ultimi decenni, che tende a contrapporre la morale individualista-moderna (con la famiglia alle spalle come sostegno solidaristico in caso di necessità) all’amoralità individualista post-moderna (soli contro tutti, ma quando si cade in disgrazia non c’è nemmeno una donna a casa pronta a consolare…). Alla base della perdita dei valori post-moderni ci sarebbe l’abbandono della famiglia (valore cardine della modernità). Il padre sin dall’inizio chiede al figlio di tornare a casa ed, alla fine, caduto in disgrazia, sarà proprio la famiglia a soccorrere il giovane.
Siamo di fronte a due diverse modalità di concepire il sogno americano; la prima dà il “giusto valore” al tempo, capace di costruire nel corso di esso, abituata più a produrre le comodità che a sfruttarle (dopotutto il vecchio genitore costruisce aerei presso la Bluestar, comodità per altri, mentre lui è costretto a cercarsi un parcheggio anche davanti al tribunale che giudicherà il figlio), la seconda modalità di concepire il sogno americano vuole tutto e subito, è del tutto esterna a qualsiasi etica moderna degli affari. Se gli affari sono affari, perché sottostare a regole? In realtà siamo di fronte ad una semplice evoluzione, in qualche modo, la seconda modalità non è che la realizzazione della prima: accumulazione infinita (ad esempio le opere d’arte acquistate come mero investimento), individualismo antisolidale portato all’estremo (negazione anche della famiglia), competitività estrema (tutti contro tutti e vinca il migliore). Gordon Gekko – il malvagio uomo d’affari che corrompe il giovane – non è forse il figlio che il vecchio commesso viaggiatore sognava?! Il giovane Bud sembrerebbe essere incapace di svincolarsi dall’etica moderna appresa in famiglia e di far piazza pulita di ogni remora, ma se l’affare finanziario non avesse riguardato la Bluestar si sarebbe preoccupato dei licenziamenti? A ben guardare, suggerisce Denzin, Bud è corrotto ben prima di conoscere Mr. Gekko; già nelle prime battute del film sogna di essere all’altro capo del telefono e lo stesso padre non può che essere consapevole sin dall’inizio delle ricadute sociali comportate dal mestiere del figlio. Piuttosto che addossare le colpe alla malvagità di un intero sistema si preferisce individuare nell’infrazione di qualche sua regola le responsabilità. In definitiva padre e figlio non sono meno responsabili di Mr. Gekko.
Il film descrive un’epoca ove non sono soltanto le informazioni – come dice Gekko – ad essere mercificate, ma anche il tempo – gli operatori con gli occhi sempre rivolti all’orologio che segnala le contrattazioni, la fretta… il tempo è denaro -, gli individui – ad esempio la ragazza “a caccia di vincenti” -, gli stili di vita – il consumismo più sfrenato -, l’idea di status e di prestigio – «mettiti un abito adatto…», «sarebbe una villa da spiaggia popolare…» – ed i sentimenti umani – «…ci tenevo veramente al nostro rapporto… ma non mi basta vivere normalmente…». Come già era successo in Americani e in I soldi degli altri, anche Wall Street mostra come le informazioni si sono trasformate in merci da comprare e vendere sul mercato. Di fronte a questo, Stone sembrerebbe mostrare una certa nostalgia per un tempo andato «ove le cose reali riflettono il valore reale del duro lavoro degli individui» (Denzin 1991: 88).
Emblematica anche la colonna sonora utilizzata; Denzin nota come la scelta delle canzoni d’apertura e di chiusura corrispondano ad un’ideologia ben precisa. Il film inizia con Fly Me to the Moon cantata da Frank Sinatra, il middle-class hero; conservatore, maschio e bianco. “Fly me to the moon… Let me play among the stars… please be true”; allo stesso modo il giovane yuppie vuole vivere dall’altro capo del telefono, sul pianeta, scarsamente abitato, di Gekko. Egli desidera che successo e denaro divengano una realtà, “please be true”. L’utilizzo di Sinatra in apertura indica una certa nostalgia per il “come eravamo”, è, in qualche modo, l’antefatto alla storia narrata. La canzone finale è This Must Be the Place dei Talking Heads e la scelta del gruppo non è casuale. Il gruppo, dopo un avvio più radicale, sta ultimamente riattualizzando valori andati perduti dalle ultime generazioni: amore, comunità e famiglia. Dunque, se il film inizia su note nostalgiche per un passato che non tornerà – che non può tornare -, si conclude con un riadattamento contemporaneo di ciò che stava alla base di quel passato andato ormai perduto; i nuovi Talking Heads rappresentano proprio questa capacità di utilizzare ritmi e melodie contemporanee – ascoltate dai giovani – per rispolverare vecchi valori. Sinatra rappresenta la figura paterna che, al giovane rinsavito, può soltanto lasciare in eredità vecchi valori che il figlio deve essere in grado di non fraintendere e di saper immettere nei ritmi contemporanei. Così, il presente proposto dal finale del film altro non è che un passato vissuto al presente; attualizzazione nostalgica di un passato mitizzato al presente. Che sia necessario adeguare, senza rinunciarvi, i propri principi di fondo alle esigenze di sopravvivenza all’interno della giungla degli affari, è segnalato anche – come già era successo nel film I soldi degli altri -, dal ricorso, per combatterlo, agli stessi mezzi del nemico. Ma questi mezzi hanno forse cambiato qualcosa nel sistema americano? Hanno ristabilito, seppur momentaneamente, le regole; questo hanno fatto. Ristabilito il nucleo base della componente “buona” dell’American system (la famiglia) attraverso la legge (le regole del gioco) tutto torna all’ordine di partenza. Ma in quell’ordine iniziale non esistevano già tanti Gordon e tanti Carl e Bud che o fanno finta di non vedere fino al loro coinvolgimento diretto, o tentano di prendere parte al sogno del guadagno immediato?
Stone sembrerebbe credere, dopotutto, che il mondo di Wall Street non è che la componente deviata del sistema (fatta da chi crede nelle illusioni e tenta di realizzarle con lavori immateriali); il resto è “sano” (fatto di gente che crede nella realtà realizzandola materialmente). Questa, in sostanza, la morale che guida uno degli autori di successo hollywoodiani che si vorrebbero “criticamente impegnati”, e con esso una nutrita schiera di realizzatori impegnati nel difficile compito di addolcire una realtà che non offre alcun elemento per perpetuare quell’American dream che sembrava inossidabile.
Di particolare interesse il ruolo riservato alle donne in questi film. Si dovrebbe aprire un discorso a parte circa le trasformazioni di gender e dell’idea di famiglia che il cinema nordamericano dell’ultimo ventennio ha rappresentato, limitiamoci qui ad accennare brevemente a tale problematica che ci ripromettiamo di trattare più approfonditamente in futuro.
In Wall Street la figura femminile della moglie vecchio-stampo, interna ai canoni della modernità (la madre di Bud) divide – nel bene e nel male, finché morte non separi…- col marito la quotidianità fatta di giorni che si succedono l’un l’atro, così come si succedono gioie e dispiaceri. Questa donna starà al fianco del marito in pericolo di vita all’ospedale, e sarà sempre pronta a consolarlo al rincasare da una dura giornata di lavoro. La donna viene rappresentata nostalgicamente come angelo del focolare con un abbigliamento ed una acconciatura anni ’50, abituata a stare nell’ombra, non ha infatti, nel film, nessun ruolo se non quello di seguire il marito all’ospedale o di accompagnare il figlio in tribunale (in entrambi i casi spunta quando le cose vanno male… e la famiglia si stringe attorno agli eroi in difficoltà). Al contrario la compagna “post-moderna” resta al fianco del suo uomo fino a quando costui non cadrà in disgrazia, non appena Bud si mette contro Gekko, capisce che è iniziata, per il proprio compagno, la fine, dunque lo abbandonerà rinfacciandogli di non poter accontentarsi di una vita normale-benestante. Questa figura femminile, al contrario della donna-moglie, è spesso presente sullo schermo, anche quando si parla di affari (non apre bocca, però), è spigliata, sa quel che vuole (denaro e potere), ma anche lei sta al “suo posto”, pronta a soddisfare l’uomo che torna stanco da una giornata di affari. Non ha però un legame duraturo col suo partner, non è una “moderna sicurezza” a cui aggrapparsi; resterà unita soltanto “nel bene” e si separerà ben prima che morte provveda. E’ un oggetto d’arredamento post-moderno “usa e getta” ed, allo stesso tempo, un soggetto che sa come “usare e gettare”, in questo consisterebbe la sua emancipazione dalla famiglia moderna.
Entrambe le donne non sono null’altro che oggetti: la donna-moglie, nella sua modernità, è un arredamento durevole, un investimento indistruttibile, la donna-postmoderna è una moda temporanea, sostituibile in qualsiasi momento, capace però di arredare tanto la camera da letto quanto un party d’affari. La prima è una bambola di pezza, alla quale ci si affeziona, la seconda è di plastica, di silicone, intercambiabile; entrambe sono di contorno, non hanno ruoli primari.
In Americani non compaiono figure femminili in tutto il film, quest’ultimo, infatti, descrive un mondo competitivo maschile dal quale la figura femminile è completamente bandita, anche come mero “oggetto sessuale” solitamente presente nel cinema nordamericano. Soltanto due sono le figure femminili di cui si sente parlare nel film; la figlia del personaggio interpretato da Jack Lemmon, ricoverata all’ospedale, per la quale il genitore arriva a rubare per poterle pagare le cure necessarie, dunque una figura che l’uomo/famiglia deve proteggere e mantenere, e la moglie di un cliente lasciatosi abbindolare dal venditore interpretato da Al Pacino. Quest’ultima imporrà al marito, totalmente succube della personalità istrionica del venditore, di farsi ridare l’assegno ed annullare il contratto entro i tre giorni che la legge concede loro; l’imbarazzo dell’uomo tradisce la sua sudditanza psicologica, oltre che nei confronti del venditore, anche alla moglie che si rivela essere il vero “capofamiglia”. Le figure femminili, anche se solamente evocate, nel film prospettano comunque un’idea di famiglia che oscilla tra ultimo baluardo di “tenuta solidale”, seppur fragile, in una società individuale ove, l’individuo, una volta in difficoltà, è lasciato a se stesso – e di conflittualità, e di inversione di ruoli, fino ad allora, consolidati. La mancanza di figure femminili è, d’altra parte, consequenziale ad un ambiente di lavoro sempre più militarizzato; il giovane yuppie inviato per ristrutturare l’ufficio, si comporta in maniera del tutto simile a quella che il classico istruttore militare – su tutti si veda Full Metal Jacket (id., 1987) di Stanley Kubrick – tiene nei confronti dei suoi sottoposti per fare di loro dei “veri uomini”, delle macchine da guerra, in quel caso nelle pericolose giungle vietnamite, nel caso dei nostri venditori, nella giungla selvaggia della concorrenza e del mercato.
Ne I soldi degli altri, abbiamo già visto come i due ambienti rappresentati siano “arredati” da due diversi tipi di figura femminile e come la giovane-avvocato in carriera rappresenti una possibile mediazione contemporanea; spregiudicata e fredda come è richiesto dal cinismo contemporaneo e sempre disponibile, nel momento del bisogno, a difendere i cari vecchi valori della famiglia.
Come abbiamo visto, la nostalgia che pervade molte opere cinematografiche nordamericane si pone oltre la classica distinzione tra “visione progressista” o “visione conservatrice”. In questo caso l’esito è il medesimo; si cerca rifugio in un passato mitizzato che si vorrebbe incolpevole del presente reale. E’ in questa nostalgia postmoderna – nella definizione data da Denzin (1991) – che si inseriscono molte delle rappresentazioni delle trasformazioni in atto negli Stati Uniti. Se così stanno le cose, e le immagini, allora meglio la fredda e lucida visione altmaniana o il nichilismo adrenalinico allucinato del Killing Zoe (id., 1994) di Roger Avary.
Indice dei film citati:
Americani (Glengarry Glen Ross, 1992) di James Foley, USA
America oggi (Short Cuts, 1993) di Robert Altman, USA
Full Metal Jacket (id., 1987) di Stanley Kubrick, USA
Killing Zoe (id., 1994) di Roger Avary.
Nashville (id., 1975) di Robet Altman, USA
Piovono pietre (Raining Stones, 1993) di Ken Loach, UK
Pretty Woman (id., 1991) di Garry Marshall, USA
I protagonisti (The Player, 1992) di Robert Altman, USA
I soldi degli altri (Other People’s Money, 1991) di Norman Jewison, USA
Wall Street (id., 1987) di Oliver Stone, USA
Indice dei libri citati:
Berardi F. “Bifo” (1991), Politiche della mutazione, Milano-Bologna: Es/Siynergon – A/traverso.
Bignardi, I. (1996), Il declino dell’impero americano, Milano: Feltrinelli.
Burgoyne, R. (1994) «National identiy, gender identity, and the ‘rescue fantasy’ in Born on the Fourth of July», in Screen, 35:3, Autumn.
Cartosio, B. (a cura di) (1995), Senza illusioni. I neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Milano: ShaKe Edizioni.
Denzin, N. K. (1991), Images of Postmodern Society. Social Theory and Contemporary Cinema, Newbury, CA: Sage.
Hobsbawm, E. J. (1995), Il secolo breve. 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, Milano: Rizzoli.
Tratto da Cinéma — Rivista universitaria di studi sul cinema, Anno III, Nr. 5, febbraio 1997, Edizio-ni Kappa Vu, Udine