di Wu Ming 4
Premessa
Tra il 2002 e il 2004 ho lavorato come ausiliario nella gigantesca biblioteca-mediateca Sala Borsa, a Bologna. In questo periodo di tempo ho vissuto sulla mia pelle i meccanismi e le implicazioni della cosiddetta esternalizzazione. Insieme ai colleghi e alle colleghe, e con l’appoggio del sindacato, ho condotto un’estenuante guerra di logoramento (tutt’ora in corso) contro i vertici della cooperativa di cui ero socio lavoratore, tentando in tutti i modi di mettere anche la dirigenza comunale della biblioteca davanti alle proprie responsabilità.
La dinamica contro cui ci siamo scontrati è descritta nel pezzo che segue (pubblicato in versione ridotta su L’Unità-Bologna del 15/09/2004), scritto in occasione del mio congedo da Sala Borsa.
Il gioco delle parti prevede che gli enti appaltatori si disinteressino delle questioni lavorative, anche quando riguardano fette consistenti del personale impiegato, in nome appunto dell’esternalizzazione. Il risultato è che a cooperative raccogliticce, quanto mai disinvolte nella scelta e nell’applicazione dei contratti ai propri soci, è consentito gestire il personale nelle strutture pubbliche con logiche pre-moderne e pre-sindacali.
Gli amministratori pubblici fingono di non vedere e – nel nostro caso – anche di non sentire. Si adagiano su un quieto vivere ottuso e inerziale che, dietro la facciata luccicante e le grandi cifre sciorinate, nasconde passi indietro da gigante sul piano dei diritti dei lavoratori e dell’organizzazione del lavoro.
Sala Borsa è un caso emblematico in questo senso e qualcuno doveva dirlo. La fortuna ha voluto che io avessi una sigla nota da spendere, che poteva forare i media, e così insieme ai colleghi si è deciso di usarla.
Sono convinto che al fondo la battaglia per il libero accesso alla cultura e quella per un equo trattamento contrattuale di interinali o intermittenti o precari della cultura, siano la stessa battaglia, combattuta su fronti diversi. Bisogna portarla avanti a tutti i livelli, dai santuari dell’editoria fino ai gradini più bassi della filiera che tiene in piedi l’industria culturale.
WM4 15/09/2004
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Uno spettro si aggira per Sala Borsa: l’ausiliario. Nei grandi locali della “mediateca” cittadina lo puoi incontrare un po’ dovunque, dai banchi del prestito ai seminterrati, dal centralino ai bagni… la sua sagoma di lavoratore evanescente scivola tra i colonnati e negli ampi saloni senza lasciare il segno, quasi invisibile.
Non si spiega in altro modo il fatto che nonostante la biblioteca comunale sia da tempo alla ribalta delle cronache, qualcosa sia sempre rimasto fuori dall’ “affaire” Sala Borsa: il lavoro. O meglio, i lavoratori.
La grande biblioteca pubblica di Bologna infatti non è originale solo per la quantità di servizi che offre e per la mole dei materiali disponibili, ma anche per l’organizzazione del lavoro al suo interno. Metà del personale non è comunale. I servizi all’utenza sono stati esternalizzati, come si dice. I dipendenti pubblici sono stati distaccati alla gestione degli acquisti e del patrimonio librario, al coordinamento delle sezioni della biblioteca, alle informazioni bibliografiche. Il rapporto frontale con l’utenza e la maggior parte delle mansioni pratiche sono state invece appaltate a una cooperativa e ai suoi soci-lavoratori, definiti appunto “ausiliari”.
Ed eccoci lì: cinquanta conigli usciti dal cilindro dell’esternalizzazione. Per la dirigenza della biblioteca è senza dubbio un bel vantaggio poter disporre di metà del personale senza dovergli niente, senza problemi salariali o contrattuali di cui occuparsi, senza preoccupazioni come buoni pasto, turni, ferie, straordinari. Perché, come i dirigenti di Sala Borsa non hanno mai perso occasione di ricordarci, il Comune non è il nostro datore di lavoro, siamo soci della nostra cooperativa, e fuori dalla porta c’è una fila di giovani aitanti pronti a prendere il nostro posto se questa minestra dovesse sembrarci un po’ sciapa.
Già, la nostra cooperativa. In due anni non sono mai stato informato della convocazione di un’assemblea dei soci (sicuramente una mancanza mia, avrei dovuto interessarmene di più), né ho potuto avere una copia personale del Regolamento Interno. Per non parlare dell’unica volta che gli ausiliari hanno aderito a uno sciopero nazionale di categoria: il responsabile di commessa della cooperativa è piombato in Sala Borsa e si è piazzato di fronte a noi scuotendo la testa, ripetendo a quelli che lasciavano i banchi del prestito: “L’azienda ne terrà conto”.
Di “nostro” c’è solo la fantastica condizione di socio-lavoratore, che rende possibile fare l’assistente di biblioteca ricevendo un trattamento contrattuale e professionale da garzone di bottega o poco più.
Sia chiaro: nessuno ti obbliga a fare quello che non vuoi; nessuno se non la necessità stessa. Se hai un secondo lavoro puoi fare un part-time; ma se con la paga di Sala Borsa devi camparci, fai un orario regolare da 35-40 ore settimanali. E se non bastano, magari ti scopri disposto a fare qualche doppio turno, cioè 11-12 ore al giorno con la pausa pranzo. Alla cifra di 6,92 euro orari lordi, inclusivi di 13a e 14a, su un arco di turni che va dalle 8.00 alle 22.00, con i pasti a tuo carico. E chi lavora deve pure ringraziare, perché fuori dalla porta c’è quella famosa fila di aspiranti ausiliari pronti a sostituirlo e, come ci ha detto una volta la dirigente comunale di Sala Borsa con una buona dose di humor nero, “ci sono sempre i servizi cimiteriali del Comune”. Il sarcasmo è due volte pessimo, visto che sono stati esternalizzati anche quelli.
Resta la certezza della lingua italiana. Ausiliario è ciò che non è indispensabile. E a noi è sempre suonato strano essere definiti così, quando senza il nostro lavoro Sala Borsa si paralizzerebbe nel giro di cinque minuti. Quelli che sono stati appaltati sono servizi essenziali al funzionamento della biblioteca, pagati con il contratto Multiservizi (quello delle pulizie), che non viene nemmeno applicato integralmente, visto lo status giuridicamente “anomalo” dei soci-lavoratori. Ovviamente di diritti sindacali nemmeno parlarne, la cooperativa non ne vuole sapere e la dirigenza di Sala Borsa è ben contenta di non doversi confrontare con una RSU degli ausiliari. L’unica volta che noi “ragazzi” abbiamo organizzato un volantinaggio davanti all’ingresso della biblioteca per informare l’utenza della nostra condizione (con tanto di copertura sindacale di Filcams-CGIL) è giunta in Questura una telefonata che segnalava una manifestazione non autorizzata. C’è quindi poco da meravigliarsi che la dirigenza comunale si sia sempre disinteressata alla vertenza legale che i soci hanno in piedi da quasi un anno con la cooperativa: Ponzio Pilato docet (e si sa che aveva tutto da guadagnare).
Anche il “vero” datore di lavoro non ha perso tempo a inviare segnali di un certo tipo. Il sistema di assegnazione del premio aziendale per buona prestazione lavorativa è stato quanto meno oscuro. In prima battuta una serie di soci se l’è visto negare o dimezzare senza spiegazione di sorta. I criteri di giudizio non ci sono mai stati comunicati, quindi nessuno ha potuto sapere perché aveva o non aveva “meritato” il premio. Quando poi le lamentele sulla condizione contrattuale sono diventate azione sindacale – volantinaggio, magliette dimostrative, comunicati ai giornali – il premio è stato arbitrariamente sospeso a tutti i soci. Solo quando questi non hanno più opposto resistenza alle ultime proposte della cooperativa, è stato improvvisamente riassegnato a tutti quanti. Curiose coincidenze.
Ma di cosa si lamentano questi giovani mestatori, che osano incrinare la bella vetrina della biblioteca migliore del mondo? Chi ha orecchie per intendere intende. I “ragazzi” e le “ragazze” di Sala Borsa non sono studentelli alle prime armi che arrotondano la paghetta di papà. La media dell’età è più verso i trent’anni che i venti, è gente che ha studiato, che conosce la biblioteca, che ha una vita famigliare. Lavoratori come tutti gli altri, insomma, che in tre anni hanno acquisito una professionalità. I responsabili comunali questo lo sanno benissimo, tant’è che tendono a fidelizzarci: le direttrici delle singole sezioni della biblioteca pretendono di avere a disposizione una selezione stabile di ausiliari, sempre gli stessi, che conoscono il lavoro e ogni angolo della sezione. Malleabili e affidabili factotum. Un momento fai l’interprete con l’utente straniero, un momento dopo corri a fare le pulizie d’emergenza perché qualcuno ha rovesciato il caffé sulle scale; un attimo prima registri i prestiti e indirizzi gli utenti, un attimo dopo spolveri e fai il facchino di libri e mobilio; prima aiuti lo studente a trovare il testo d’esame e ricollochi i volumi fuori posto, poi ti prendi cura dell’utente border-line che sta diventando molesto; e via così.
“Ma questo non è un lavoro pesante, al massimo ti sporchi le mani di polvere…” ti ripete la dirigente comunale, prima di raggiungere il suo ufficio al quarto piano, lasciandoti giù ad affrontare i 3.000 prestiti e i 5.000 utenti giornalieri. Non ci sono dubbi che esistano lavori ben più pesanti, anzi, si potrebbe aggiungere che al mondo c’è perfino chi muore di fame, e non sono pochi. Ma chissà perché, questo discorso l’ho sempre sentito fare dai datori di lavoro che volevano pagarmi poco e a zero diritti, e non era mai del loro stipendio che si stava parlando. “Questi problemi non riguardano il Comune, prendetevela con la vostra cooperativa…”, il solito ritornello. Pare proprio che alla dirigenza di Sala Borsa non importi niente del fatto che gli ausiliari vengano inquadrati con i brandelli di un contratto nazionale inadatto e non abbiano alcun riconoscimento professionale. Lavoriamo in un luogo prestigioso, dove la cultura trasuda da ogni colonna, mica pretenderremo anche un contratto adeguato al nostro mansionario e i diritti sindacali!? Ringraziare e sorridere! Altrimenti aria.
Mi chiedo allora se la questione possa interessare la nuova amministrazione comunale, che ha annunciato di voler rivedere a fondo il piano di Sala Borsa.
La campagna elettorale di Cofferati ha dato molto spazio alla questione della cultura a Bologna, intesa soprattutto come investimento e come risorsa, ed è evidente che la futura gestione di un luogo come Sala Borsa sarà un banco di prova tra i più importanti in questo senso. Sarebbe un bel segnale che la nuova amministrazione vigilasse sulle forme contrattuali e le modalità d’impiego del personale esterno nelle strutture comunali; che verificasse l’adeguatezza dei contratti applicati e imponesse almeno il riconoscimento dei diritti sindacali; che non sprecasse la professionalità e la conoscenza accumulate in anni di lavoro, lasciando preziose risorse umane in balia dei cambi d’appalto, e garantisse un minimo di continuità nel percorso formativo e lavorativo. Del resto, come si sente dire da molte parti, è difficile ambire a un’alta qualità del servizio se non è alta la qualità del lavoro di chi lo fornisce. Dentro la complessa questione Sala Borsa non può non rientrare anche la voce “lavoro”.
Altrimenti bisognerà rassegnarsi a constatare che la più grande e innovativa biblioteca pubblica italiana è all’avanguardia anche nella precarizzazione dei lavoratori che la fanno funzionare.
Wu Ming 4