Milano non è deserta. Un elicottero sorveglia dall’alto il centro della mia prigione dorata a un passo dalla Madonnina e a due dalla Madonna.
E’ un cielo di fuoco, ma stranamente sereno, terso.
Tra le grondaie che invirtuosiscono architettonicamente la mia piccola corte ci deve essere qualcosa che non va: uno scorrere continuo di acqua che, nella calma semipiatta di un Ferragosto in devolution, non è poi così fastidioso: se ci tento mi sembra quasi di sentire un ruscello, di quelli alpini, che trovi vicino alle baite della Val Ferrèt. Adesso sarà invasa dai turisti: in coda per uno scampolo di erba da rubare ad un cuore d’asfalto.
Sto leggendo “Oblivion” di David Forster Wallace: dicono sia un grande scrittore e questa sua nuova opera, struggente al punto giusto per mirare a diventare un altro formidabile genio, è molto attesa anche in Italia dove sarà pubblicata a Novembre (per Einaudi, con il titolo “Oblio”). Non amo particolarmente Wallace: mi ha sempre irritato. Come il Jonathan Franzen de “Le correzioni” anche il Wallace di “Oblivion” non è altro che una sorta di blob cartaceo a bobina impazzita dove di originale non c’è proprio nulla: prodotti intellettuali preconfezionati per diventare long seller di culto. Autori da esibire: più commentati che letti, più osannati che realmente amati.
Cerco requie al (mio) “oblio” leggendo qualche pagina dell’inserto ferragostano del Sole 24 ore, supplemento che mi ha sempre incuriosito, che mi ha sempre attratto. Quasi morbosamente. Un giallo… che la domenica non dimentico mai di districare.
A colpirmi – in modo violento, questa volta – tra i molti articoli scritti sull’acqua è a firma Cinzia Caporale: non la conosco, non ne conosco nemmeno il nome, ma ne leggo il titolo che subito desta la mia attenzione: “Fare figli nel mondo nuovo”.
Nel cappello – quello che i pubblicitari chiamerebbero headline- si legge:”Huxley aveva previsto il controllo totale dello Stato sulle nuove nascite”. Sono introdotto, curioso, alla lettura e mi imbatto nell’oblio del solito, artefatto, quotidiano: condizionamento, persuasione subconscia, ipnopedia, euforia chimica…
Il passo – penso- forse, finalmente, è di quelli giusti.
Poi, d’improvviso oblio, la virata: l’autrice ci porta, mano a manina, verso la più sfruttata delle interpretazioni al “Mondo Nuovo”: quella, per essere chiari, da quarta di copertina oscar mondadori che ad ogni nuova edizione condanna questo capolavoro distopico all’oblio, alla lettura distratta, alla disinterpretazione.
Riprendo tra le mani “Oblivion” di Wallace e ho come una sensazione di sconfitta.
Un televisore lontano disturba il gentil scorrere del mio personale ruscello metropolitano, mentre il rumore di un elicottero continua a ricordarmi che, lassù, se qualcuno proprio non mi ama, almeno mi protegge. Se non da Dio, almeno da Allah…
Sconfitto torno a pensare ad Huxley, al suo oblio – questo sì da obliare…
Ed invece, ogni volta, il “mondo nuovo” è obliterato: ai l(u)oghi comuni, al ghetto delle evoluzioni scientifiche.
Di tutt’altra ingegneria scrive Huxley!!!
Non genetica, ma sociale!
Nulla c’entra il campo di concepimento in vitro: nulla a che fare con le polemiche estive da chiacchierata a Capalbio e da dibattito con raccolta firme radicali.
Il dramma svelato da Huxley è un altro, mai troppo compreso.
Tra i pochi, un altro dimenticato: il Neil Postman di “Divertirsi da morire”(ora finalmente riproposto, dopo la prima fugace edizione Longanesi del 1982, da Marsilio).
Un pamphlet scorrevole: ben lontano dalle oneste, ma a dir poco elitarie digressioni dei vari Jean Baudrillard e Paul Virilio.
Un pamphlet che smaschera la genialità di Huxley rivelandone la visionarietà e demolendo, al contempo, le più demagogiche intuizioni del “1984” di George Orwell, assurto a profeta di questo nuovo millennio che al sangue nelle vene ha sostituito il plasma alle pareti.
Postman scrive: “Quello che Huxley insegna è che, nell’era della tecnologia avanzata, la devastazione spirituale viene più probabilmente da un nemico sulle labbra che da uno il cui comportamento ispira sospetto e odio. Nella profezia di HUxley non c’è un grande fratello che, per sua scelta, guarda verso di noi. Siamo noi, per nostra scelta, a guardare verso di lui.
Non c’è bisogno di carcerieri, cancelli, ministeri della Verità. Quando una popolazione è distratta da cose superficiali, quando la vita culturale è diventata un eterno circo di divertimenti, quando ogni serio discorso pubblico si trasforma in un balbettio infantile, quando, in breve, un intero popolo si trasforma in spettatore e ogni affare pubblico in vaudeville, allora la nazione è in pericolo; la morte della cultura è chiaramente un pericolo…”.
In sintesi Huxley non prevede, come Orwell, una società di schiavi, ma di bambini.
Una dittatura tota(e)litaria che sorveglia con i piaceri e non con le punizioni.
Perchè, scrive Postman, “quello che affliggeva la gente del mondo nuovo non era ridere anzichè pensare, ma non sapere per cosa ridessero e perchè avessero smesso di pensare”.
Sono indeciso, molto indeciso.
Il silenzio militarizzato di questo strano ferragosto milanese mi blocca: vorrei cercare l’autrice dell’articolo, regalarle in un bookcrossing a senso unico alternato, una copia di Postman. Magari la potrei invitare a mangiare una fetta di cocomero in uno di quei baracchini sorvegliati dalla asl; oppure potrei proporLe di venire a due passi da casa mia: in Piazza del Cannone al pranzo che il sindaco Albertini ha regalato agli anziani rimasti soli in città. E poi stasera, sempre lì, nel centro di questa Milano ferragostana ci sono i fuochi d’artificio. E magari saranno anche più belli di quelli davvero pirotecnici sparati da Berlusconi per festeggiare lo scudetto del Milan in contemporanea con l’ennesimo eccidio di soldati italiani in Iraq.
Mi ridesto: la sindrome ferragostana ha colpito anche me.
Illuso: non sono anziano, ho solo 30anni, quindi non potrò mai essere invitato da Albertini. E poi, e poi, chissà dove sarà l’autrice dell’articolo: come fare a rintracciarla? Sarà sicuramente in qualche riserva turistica, di quelle da sole 24 ore.
Sarebbe come cercare un idraulico a Ferragosto.
E cosa importa se, lontano dall’oblio, lontano da Huxley, scopro che quella soave e dolce rimembranza di un ruscello alpino era una tubatura che ha allagato il cortile?
E’ Ferragosto. Ed il sole non è certo qua.
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