di Wu Ming 4
J.K. Rowling non ha bisogno di presentazioni. E’ la più famosa scrittrice per ragazzi del mondo e il suo mago adolescente che sbanca librerie e botteghini è ormai entrato con tutti gli onori nell’immaginario collettivo.
La Rowling è inglese e anglofila, al punto da vincolare i produttori dei film tratti dalla saga all’utilizzo di cast e locations esclusivamente britannici. Uno strano “protezionisimo”, che le può essere scontato considerando che l’autrice impone agli editori di stampare i suoi romanzi su carta ecosostenibile; sicuramente un buon modo di spendere il proprio enorme potere contrattuale.
La Gran Bretagna magica dell’universo potteriano rispecchia il mondo e la società anglosassoni, fin nelle tradizioni e istituzioni: dall’austero college di Hogwarts, dove si studia per diventare maghi diplomati e le “Case” si sfidano in tornei meritocratici e sportivi, alla rigida suddivisione in ceti, all’organizzazione politica di ministeri e uffici magici.
Non meraviglia quindi che anche l’approccio della Rowling a tematiche più spinose, come ad esempio quelle giudiziarie, si conformi alla cultura e alla storia giuridica anglosassone.
E’ noto che i tribunali inquisitoriali, fossero religiosi o politici, che pure la storia inglese e quella americana hanno conosciuto, hanno sempre trovato una barriera nella cultura individualistica liberale anglosassone. Le classi dominanti di quei paesi hanno imparato a utilizzare certi metodi polizieschi e giudiziari per reprimere le insurrezioni sociali, per periodi circoscritti nel tempo, brevi e utili stagioni di “emergenza”, da archiviare in fretta, prima che informassero di sé l’intero sistema, prima che i mostri da esse creati diventassero incontrollabili. I processi sommari delle corti di Cromwell, piuttosto che i tribunali puritani del New England o la Commissione McCarthy, sono episodi talmente famigerati da essere diventati paradigmi negativi. Celebri espressioni idiomatiche che si richiamano l’una all’altra sono lì a dimostrarlo (“caccia alle streghe”, “maccartismo”, ecc.).
La cultura statuale prevalente nell’Europa continentale – e soprattutto quella italica, di derivazione fascista – non conosce invece anticorpi alla visione inquisitoriale della giustizia. Per niente scontate le garanzie giuridiche e quasi inesistenti le resistenze culturali, c’è poco da meravigliarsi che molte leggi del Ventennio siano ancora in vigore e informino i Codici; o che le leggi speciali varate negli anni ’70 in nome dell’emergenza terrorismo non siano mai state abrogate: in Italia l’emergenza diventa norma e si sedimenta nel “diritto d’arbitrio” acquisito dallo Stato e dai tribunali.
In particolare la prassi del “pentitismo” – sconto della pena al colpevole disposto a collaborare con la giustizia, facendo nomi di complici – si è travasata senza quasi soluzione di continuità dalla lotta al “brigatismo rosso” degli anni ’70 a quella alla Mafia degli anni ’80; fino a consolidarsi nel sistema giudiziario.
Chiunque sia minimamente informato sulle vicende processuali più eclatanti dei cosiddetti anni di piombo sa bene quanto i tribunali siano ricorsi alle confessioni fiume dei pentiti, senza preoccuparsi troppo di verificare in che misura davvero collimassero con prove e riscontri oggettivi, e accantonando la presunzione di innocenza. Il fine “giustificava” i mezzi.
7 Aprile ’79, Cesare Battisti, Adriano Sofri. Solo per citare alcuni casi piuttosto noti in cui i pentiti hanno segnato la sorte di altre persone (a volte decine). Quanto quei pentimenti fossero sinceri o quanto piuttosto indotti dalla tentazione di evitare la galera, non è possibile saperlo. Se c’è chi per non andare dentro si è dato alla latitanza all’estero, non è impensabile che qualcun altro, magari meno svelto, abbia scelto di farsi venire una memoria di ferro; considerando anche che laddove la memoria non arriva, può sempre giungere la fantasia. Una prassi giudiziaria che lascia aperto questo margine di manovra è già di per sé pericolosa: oltre a creare mostri, può addirittura addomesticarli e tenerli al guinzaglio pronti a mordere a comando. Proprio come nelle storie di Harry Potter…
Sia chiaro: i “collaboratori di giustizia” esistono anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ma il ricorso al loro intervento non è proprio cosa di cui quella cultura sia disposta a vantarsi, consapevole che rappresenta un’arma a doppio taglio. E forse perfino un apparentemente innocuo romanzo per ragazzi è lì a dimostrarcelo.
Cosa c’entra infatti tutto questo con il maghetto di Hogwarts e la sua inventrice?
La risposta è nel brano qui di seguito, tratto dal quarto episodio della saga di Harry Potter (Harry Potter e il Calice di Fuoco, Salani, 2001, pp. 500-504, trad. di B. Masini), al quale è necessaria una premessa per i profani. Si tratta di un flash-back, un episodio riferito al passato, quando, all’indomani della sconfitta del lato oscuro della forza magica, i maghi “buoni” istituirono un tribunale speciale per vagliare, caso per caso, quali seguaci del perfido Voldemort (incrocio tra Sauron, Hitler e Dart Vader) avessero agito spontaneamente o piuttosto sotto l’influsso di una qualche stregoneria vincolante. Tramite un artificio magico, Harry viene trasportato indietro nel tempo per assistere a questo ricordo…
La folla in attesa si ritrasse mentre i Dissennatori spingevano l’uomo sulla sedia e uscivano silenziosamente dalla sala. La porta si chiuse alle loro spalle.
Harry guardò l’uomo seduto: era Karkaroff.
[…] Era scosso dai brividi. Sotto gli occhi di Harry, le catene sui braccioli della sedia scintillarono d’oro all’improvviso e strisciarono lungo le sue braccia, avviluppandolo.
“Igor Karkaroff”, disse una voce asciutta alla sinistra di Harry. Lui si voltò, e vide il signor Crouch in piedi al centro della panca al suo fianco. Aveva i capelli scuri, il volto molto segnato e sembrava sano e vigile. “Sei stato portato da Azkaban per deporre davanti al Ministero della Magia. Ci hai lasciato capire di avere delle informazioni importanti per noi”.
Karkaroff si raddrizzò meglio che poteva, legato com’era.
“E’ così, signore”, disse, e anche se il suo tono di voce era molto spaventato, Harry vi riconobbe la familiare nota melliflua. “Desidero rendermi utile al Ministero. Desidero collaborare. Io… io so che il Ministero sta cercando di… di isolare gli ultimi sostenitori del Signore Oscuro. Sono disposto a collaborare come posso…”.
Tra le panche si diffuse un mormorio. Alcuni maghi e streghe osservavano Karkaroff con interesse, altri con esplicita diffidenza.
[…]
“Sostieni di essere in grado di fare dei nomi, Karkaroff”, riprese Crouch. “Sentiamoli, allora”.
“Dovete capire”, disse in fretta Karkaroff, “che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ha sempre agito con la massima segretezza… preferiva che noi – voglio dire, i suoi sostenitori – e io ora mi rammarico profondamente di essere stato uno di loro…[…] che non conoscessimo mai i nomi di tutti i nostri compagni… solo lui sapeva esattamente chi eravamo…”
[…]
“Eppure tu dici di conoscerli?”, disse il signor Crouch.
“Io… io sì”, disse Karkaroff senza fiato. “Ed erano sostenitori importanti, badate. Li ho visti eseguire i suoi ordini con i miei occhi. Vi fornisco queste informazioni come prova della mia totale e piena rinuncia a lui, e sono pervaso da un rimorso così profondo che riesco a stento…”
“Allora, questi nomi?”, esclamò secco il signor Crouch.
Karkaroff trasse un profondo respiro.
“C’era Antonin Dolohov”, disse. “Io… io l’ho visto torturare innumerevoli Babbani e… e non-sostenitori del Signore Oscuro”.
[…]
“Abbiamo già arrestato Dolohov” disse Crouch. “E’ stato catturato poco dopo di te”.
“Davvero?”, disse Karkaroff, con gli occhi che gli si dilatavano. “Io… io sono lieto di saperlo!”
Ma non lo sembrava affatto. Harry capì che la notizia era stata un grave colpo per lui. Uno dei suoi nomi non valeva nulla.
“Altri nomi?”, chiese Crouch con freddezza.
“Be’, sì… c’era Rosier”, disse Karkaroff in fretta. “Evan Rosier”.
“Rosier è morto”, rispose Crouch. “Anche lui è stato acciuffato poco dopo di te. Ha preferito combattere invece di seguirci, ed è stato ucciso durante lo scontro”.
[…]
“Nessuno… nessuno se l’è meritato più di Rosier!”, esclamò Karkaroff, una nota di autentico panico nella voce: cominciava a temere che nessuna delle sue informazioni sarebbe stata di alcuna utilità al Ministero. Gli occhi di Karkaroff saettarono verso la porta nell’angolo, dietro la quale certo incombevano ancora i Dissennatori, in attesa.
“Altro?”, disse Crouch.
“Sì!”, esclamò Karkaroff. “C’era Travers… è stato complice dell’assassinio dei McKinnon! Mulciber… si era specializzato nella Maledizione Imperius, ha costretto tantissime persone a fare cose orribili! Rookwood, che era una spia, e passava a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato informazioni utili dall’interno del Ministero!”
Stavolta Karkaroff aveva fatto centro. Un mormorio corse tra la folla.
“Rookwood?”, chiese Crouch, facendo cenno a una strega seduta davanti a lui che prese a scrivere in fretta su un rotolo di pergamena. “Augustus Rookwood del Dipartimento dei Misteri?”
“Proprio lui”, disse Karkaroff con impazienza. “Credo che usasse una rete di maghi in posizioni strategiche, sia dentro il Ministero che fuori, per raccogliere informazioni…”
“Ma Trevers e Mulciber li abbiamo già presi”, disse Crouch. “Molto bene, Karkaroff, se questo è tutto, verrai ricondotto ad Azkaban mentre decidiamo…”
“Non ancora!” urlò Karkaroff, disperato. “Aspettate, ne ho altri!”
Harry lo vide sudare alla luce delle torce, la pelle candida che faceva un netto contrasto con la barba e i capelli neri.
“Piton!”, gridò. “Severus Piton!”
“Piton è stato assolto da questo tribunale”, disse Crouch in tono gelido. “Albus Silente si è fatto garante per lui”.
“No!”, urlò Karkaroff, tendendo le catene che lo legavano alla sedia. “Ve lo assicuro! Severus Piton è un Mangiamorte!”
Silente si alzò. “Ho già risposto a questo proposito”, disse chiaramente. “Severus Piton è stato un Mangiamorte, è vero. Però è tornato dalla nostra parte prima della caduta di Voldemort e ha fatto la spia per noi, a suo rischio e pericolo. Ora non è un Mangiamorte più di quanto non lo sia io”.
[…]
“Molto bene, Karkaroff”, concluse Crouch freddamente, “sei stato d’aiuto. Riesaminerò il tuo caso. Nel frattempo farai ritorno ad Azkaban…”
Giudici buoni che per eccesso di zelo diventano cattivi. Imputati cattivi, indotti a diventare buoni con minacce o sconti di pena. Compravendita di nomi e cognomi. Tribunali come mercati della memoria e della coscienza. Nessuna garanzia personale.
Il mondo fantastico di Harry Potter, precipitato davanti a una corte di giustizia, ancorché magica, assume i contorni più sinistri della realtà.
Chissà se la più famosa scrittrice di romanzi per ragazzi firmerebbe l’appello contro l’estradizione di Cesari Battisti? ;)