di Edward Bunker
[da "Educazione di una canaglia", Einaudi, 2002]

bunkerfolon.jpgL’estate dell’amore a San Francisco: ’67, ’68 o ’69, non ne sono più tanto sicuro, perché all’epoca ero recluso nel Penitenziario di Folsom e avevo perso la nozione del tempo. Anche allora, la California aveva le sue prigioni come la General Motors aveva le sue automobili: in una vasta gamma di modelli, stili e prestazioni. Certi istituti penitenziari disponevano di rampe d’accesso per il vecchio ladro in carrozzella che scontava la pena come recidivo, altri offrivano servizi medici per i malati e gli infermi mentali. C’erano penitenziari duri per i predatori, e altri più morbidi per i deboli che non avrebbero potuto pagare il loro debito altrove. Certi istituti di pena erano molto vecchi, e altri così moderni che il colore della vernice alle pareti era scelto dallo psicologo. Ce n’era soltanto uno che rispondeva ai requisiti della massima sicurezza: Folsom, bollato Represa.


A trenta chilometri a est di Sacramento, nel ventre della regione della Corsa all’oro, Folsom copre un’area di centottanta ettari anche se il settore circoscritto dalla cinta muraria è più piccolo. Ci sono soltanto tre muri. Il quarto muro è in fondo a un cortile creato spianando una collina, e in realtà è una gola in cui gorgoglia e spumeggia l’American River. Un detenuto imbecille una volta si trasformò in un sottomarino umano, con tanto di tubo respiratorio e tasche zavorrate, ma sopravvalutò la sua spinta di galleggiamento, e finì sul fondo annegando. Le possibilità di raggiungere il fiume sono minime, perché il cortile inferiore è recintato da due barriere di rete metallica sormontate da filo spinato, ed è dominato da torrette di osservazione munite di mitragliatrice. Un prigioniero sottoposto a misure di massima sicurezza non è autorizzato ad avvicinarsi al cortile inferiore. Se si spinge fin lì, l’aspettano un’altra torretta di osservazione e un’altra recinzione di rete metallica sormontata da filo spinato.
    
La campagna circostante fu completamente spogliata all’epoca della frenetica Corsa all’oro, un disastro ecologico ante litteram dal quale non si è mai completamente ripresa. L’unica vista che si gode dal penitenziario è il territorio che si apre di là dal fiume: colline basse cosparse di arbusti bruciati dal sole che offrono la loro piccola eruzione di verde per due settimane in primavera, prima di riprendere il loro aspetto abituale, un paesaggio triste e spoglio. Nel 1864, quando il posto fu proposto per la costruzione di una prigione, un medico provò a esprimere qualche riserva: il sito non era molto salubre. Quel parere convinse gli organi legislativi a deliberare la costruzione dell’istituto di pena. Nel 1880, un numero sufficiente di edifici era stato ormai ultimato, e il penitenziario era pronto a ricevere i primi ospiti. I detenuti furono messi a lavorare, e spettò a loro tagliare il granito che ancora oggi caratterizza l’architettura incoerente del penitenziario, talmente strana che si vedono enormi blocchi di granito fondersi senza giunture con la colata di cemento nello stesso muro. Strana simbiosi.
     La storia di Folsom è brutale e imbrattata
di sangue. Camicie di forza, pane e acqua e sospensione per i pollici
erano punizioni normali, che si sono protratte fin nel ventesimo secolo
inoltrato. Le impiccagioni erano frequenti. Novantuno uomini furono giustiziati
sulla forca di Folsom prima che la California passasse alla camera a gas,
usata per la prima volta a San Quentin.
    
Folsom ha conosciuto evasioni finite nel sangue: la più importante, avvenuta nel 1903, fu capeggiata da "Red Shirt" Gordon, la Camicia Rossa, così chiamato perché quel colore rendeva gli irriducibili facilmente individuabili dalle guardie appostate sulle torrette di osservazione. Alla testa di una dozzina di prigionieri, irruppe nell’Ufficio del Capitano, accoltellando a morte una guardia che tentava di fermarli. Il gruppo di Gordon prese parecchie persone in ostaggio, tra le quali il direttore e suo nipote, il capitano e due secondini. Uscendo dal penitenziario, si fermarono nell’armeria e prelevarono un arsenale intero. Raggiunta l’aperta campagna, alcuni evasi si staccarono dal resto della banda e si fecero catturare. Una squadra di volontari, che si era formata tempestivamente e contava nelle sue file anche alcuni membri della milizia, riacciuffò il grosso dei fuggitivi, che si rifiutarono di arrendersi. Due soldati della guardia nazionale restarono uccisi, e molti cittadini furono feriti. I fuggitivi lasciarono un morto per terra. Gli altri riuscirono a scappare. Sei di loro non vennero mai catturati. Di quelli che furono ripresi, due furono impiccati, e gli altri rilasciati, dopo aver scontato la pena, per poi diventare cittadini esemplari.
     Il giorno più sanguinoso nella storia
di Folsom fu il Giorno del Ringraziamento del 1927. Armati di un revolver
e di coltelli, sei detenuti progettarono di impadronirsi di un settore
interno contiguo all’edificio dell’ amministrazione e di sequestrare il
direttore. Fecero irruzione nella prima zona, ma non riuscirono a trovare
una chiave che era d’importanza cruciale per il buon esito del loro piano.
Frustrati, tornarono sui loro passi e cercarono di passare per un altro
cancello, che non dava all’esterno del penitenziario, ma si apriva su
un settore meno sorvegliato. Un agente di custodia li vide sopraggiungere
e in fretta e furia chiuse il cancello. Si beccò una pallottola
nella gamba. Un secondo proiettile lo mancò, ma uccise un detenuto
addetto al cancello. Gli evasi, ormai pazzi furiosi, erano intrappolati
nella prigione interna. Si precipitarono nella sala di ricreazione, dove
un migliaio di detenuti stava guardando un film, l’ultimo offerto in visione
prima di Mr Smith va a Washington, una dozzina di anni più
tardi. Massacrarono una guardia che stava sulla porta, presero nuovi ostaggi
e cercarono di confondersi tra la massa dei presenti. I soldati della
milizia, armati di mitraglie, giunsero da Sacramento. Seguì un
assedio durato trentasei ore. Dieci prigionieri restarono uccisi e una
mezza dozzina feriti prima che i desperados si arrendessero. Furono
processati in tempi brevi e impiccati.
    
La loro esecuzione non funzionò da deterrente. Dieci anni dopo, un altro gruppo tentò di usare il direttore come biglietto di viaggio verso la libertà. Era una domenica, e il direttore Larkin conduceva gli interrogatori nell’Ufficio del Capitano. Una lunga fila di detenuti attendeva all’esterno, dietro una barriera di filo di ferro, sotto quella che oggi è la Torretta di Guardia N° 16. Sette degli uomini in attesa erano armati di coltelli, e non avevano in mente soltanto un colloquio con il direttore. Uno di loro era già evaso dal penitenziario del Kansas. Un altro scontava una pena per aver introdotto a San Quentin un certo numero di pistole, che erano state usate per sequestrare la commissione della condizionale al completo.
    
Non appena il cancello si aprì per lasciar uscire altri prigionieri, i sette lo varcarono usando la forza. La loro audacia impedì alle guardie sulle torrette di osservazione di vedere ciò che accadeva sotto i loro occhi. I detenuti fecero presto a ridurre all’impotenza il direttore Larkin e il capitano Ryan detto il Porco, nomignolo inevitabile, tanto se l’era meritato. Un paio di detenuti volevano accoltellare Ryan, ma il capo li dissuase. Un nodo scorsoio di filo di ferro fu passato intorno al collo del direttore. Due guardie, armate delle loro “mazze” con la punta di piombo, si lanciarono nel tentativo di liberare i due uomini. Furono accoltellate e respinte. Una morì.
    
A ranghi serrati, tenendo il direttore e il capitano al centro del gruppo, i prigionieri uscirono. Il direttore ordinò alla guardia sulla torretta di osservazione più vicina di lanciargli un fucile. Le guardie si tenevano a distanza, incapaci di muoversi. Una guardia appostata su un’altra torretta giocò il tutto per tutto e premette il grilletto. Fece fuori due detenuti con due colpi. Le guardie sulle altre torrette presero a sparare, mentre i restanti prigionieri, presi dal panico, incominciarono a pugnalare gli ostaggi da ogni parte, finché altre guardie si precipitarono e li sopraffecero a colpi di mazza. Il direttore Larkin morì in seguito alle ferite. I detenuti sopravvissuti ai colpi di fucile fecero la serata d’apertura della camera a gas. Bill Ryan sopravvisse, ed era ancora il vicedirettore di Folsom al momento del mio ingresso nel penitenziario.
    
Questo olocausto indusse gli organi legislativi a votare una legge che impediva ai detenuti di tentare la fuga contando sul sequestro di persone prese in ostaggio. La legge impediva agli agenti di custodia di obbedire agli ordini di chicchessia, a cominciare dal direttore. Nel 1961, una compagnia corale giunse a Folsom per offrire una rappresentazione nella cappella del penitenziario. Tra i coristi c’erano parecchie giovani donne. Furono prese in ostaggio da tre detenuti, che io conoscevo molto bene. Un detenuto si era intromesso ed era stato accoltellato a morte (fu insignito di un perdono postumo). Ma i cancelli di Folsom rimasero chiusi, e a nessuno venne in mente di aprirli. Tutti i detenuti conoscono la legge e sanno che sarà applicata. È una delle prime cose che viene loro insegnata quando mettono piede nel penitenziario.