vallorani-nicoletta.jpgCome viene punita la trasgressione nei mondi disegnati dalla letteratura di fantascienza
di Nicoletta Vallorani

alien3.jpgI procedimenti di pensiero che funzionano nell’ambito della narrativa di
immaginazione tendono a riportare meccanismi antropocentrici, perché di
fatto non esiste nessun’altra possibilità. Nelle società immaginarie,
cioè,
si finisce per riflettere un modello intellettuale che è dell’uomo: non è
contemplato il fenomeno per cui un essere umano riesca a immaginare
davvero
la struttura mentale di un marziano, anche ammesso che una creatura del
genere esista davvero. Se la società umana è strutturata su un modello
crimine/punizione teoricamente comprensibile (sebbene, in parecchi casi,
di
applicazione del tutto oscura) è ovvio che questo modello compaia, nella
sua
ossatura fondamentale, anche nella narrativa di immaginazione. Il
procedimento di estrapolazione tuttavia, può seguire percorsi diversi.

    
Esistono sostanzialmente tre modi di impostare il problema.
    

Il primo di essi,
il più semplice, appartiene all’equazione crimine comprensibile = punizione
consequenziale
. Molta fantascienza utopica del modello più tradizionale
riporta i concetti di delitto e pena sulla base di questa strutturazione
lineare: la trasgressione, che è evidente agli occhi di tutti, prevede una
sanzione disciplinare del tutto coerente e motivata nel contesto della
comunità descritta e, in qualche misura, anche nella realtà. In Brave New
World
, ad esempio, il crimine consiste nell’assunzione di un sistema di
vita non omologato alla rigida suddivisione dei ruoli e delle competenze
definita fin dalla nascita di ogni individuo. Che questo sia un delitto
appare evidente dalle caratteristiche inquietanti che riveste il
comportamento trasgressivo e, dunque, dalle sue possibili conseguenze
distruttive nei confronti dell’equilibrio sociale costituito. La pena e,
in
questo caso, la cura consistono nell’emarginazione: John il Selvaggio, la
cui nascita naturale invece che in provetta è il risultato di un’aporia
del
sistema, vive in una riserva, appartiene a un ghetto ed è destinato a
essere
ucciso nel momento in cui minaccerà di mettere in discussione la
tranquilla
immobilità dello status quo. L’autore del romanzo, Aldous Huxley, è in
realtà molto meno trasgressivo di quanto vorrebbe sembrare: tipico
rappresentante dell’intellettualità inglese degli anni Trenta, liberale e
anticomunista, finisce per elaborare un modello sociale sostanzialmente
statico. In esso, il fatto che il crimine venga punito con una sanzione
direttamente proporzionale alla colpa viene presentato come giusto e
sensato. La rigidità del procedimento punitivo sortisce un effetto opposto
rispetto a quello che si propone.
    
Il Selvaggio, invece di essere
trasgressivo, finisce per suscitare la pietà del lettore e la sua
punizione
ha caratteristiche di assoluta indiscutibilità etica:se John ha optato per
una
volontaria esclusione dal suo contesto sociale di origine,la punizione
accentuerà
e renderà definitiva la non appartenenza alla comunità degli uomini.

Da Zamjatin a 0rwell

Di natura tutto sommato analoga è il crimine di Winston Smith, in 1984, di
George Orwell. Il romanzo, costruito su evidenti analogie con il russo, e ingiustamente trascurato,
Noi,
di Evgenij Zamjatin, ha tutte le caratteristiche di una distopia. Il
protagonista, diversamente dal Selvaggio di Huxley, in apertura di romanzo
è
perfettamente integrato nella comunità alla quale appartiene. Nel suo
caso,
il crimine consiste nella scelta volontaria di non essere più parte di una
folla. In modo significativo, la trasgressione è esemplificata da un
particolare uso del linguaggio, che ha la forma di frasi stereotipate e di
slogan nella fase in cui Winston è omologato al resto del mondo, e diventa
invece un codice realmente comunicativo solo nel momento della
trasgressione. Questa risoluzione narrativa ha un senso palese: l’eroe
nasce
come individuo, dotato di procedimenti intellettivi originali, che possono
esprimersi solo attraverso un codice diversificato da quello tipico della
folla. Winston comincia a usare le sue parole per esprimere i suoi
significati solo dopo la ribellione. Coerentemente, nella fase successiva
alla punizione, egli torna agli slogan svuotati di senso.
    
Il linguaggio di Winston Smith, dunque, finisce per seguire un modello
circolare: nella fase iniziale della ribellione, Winston passa dal
linguaggio
anonimo dell’uomo-folla al linguaggio realmente significante
dell’uomo. Quando la ribellione rientra, invece, il linguaggio
esiste solo come presenza coercitiva, strumento della rieducazione, che
ricondurrà il ribelle nei ranghi. Il modello che ne risulta è del tipo che
segue:

Winston = Folla

Linguaggio = Schiavitù

Winston = Vittima           Winston = Eroe

Linguaggio = Coercizione           Linguaggio= Rivoluzione

La punizione non è la morte fisica, ma una sorta di lobotomizzazione, il
riadeguamento coatto al consesso di origine. Anche in questo caso, dunque,
la
punizione è consequenziale alla natura del crimine e ha come risultato la
reintegrazione dell’elemento di disturbo.
    
Il concetto di rieducazione come strumento evoluto di una società che non
uccide i criminali ma li reintegra nella comunità compare anche, senza
sostanziali variazioni di contenuto, in A Clockwork Orange, di Anthony
Burgess. Articolando il discorso dell’importanza del codice nei
procedimenti coercitivi, il romanzo di Burgess riprende lo spunto offerto
dalla trasgressione, trasformandolo in una pulsione in qualche modo
involontaria, legata alla presunta insofferenza dei giovani per ogni tipo
di
norma. Il tono sarcastico della narrazione trasforma la tragedia in una
farsa, che ha per protagonisti non i personaggi, ma i procedimenti
rappresentati attraverso il linguaggio. Il lavaggio del cervello che fa
seguito ai crimini commessi conduce, come in 1984, a una ricostruzione
della
personalità, che implica una perdita, o una rimozione, dell’identità
originaria.
    
Il concetto di rimozione è ripreso da uno dei primi romanzi di Robert
Silverberg. Pubblicato nel 1972, Il secondo viaggio, è costruito intorno
alla figura di un artista geniale dedito ad alcune inaccettabili
perversioni
e del tutto incapace di controllarle. I delitti commessi in nome di
un’emotività geniale e scatenata vengono puniti con la soppressione
dell’identità e la sostituzione a essa di una personalità molto più banale
e
inoffensiva. Il problema nasce dall’impossibilità di realizzare una
rimozione perfetta dell’identità originaria, che torna a emergere,
dapprima
a intermittenza e poi in modo definitivo, con le prevedibili conseguenze
che
ne risultano.
    
Ancora, come in Brave New World, il crimine ha la sua radice nelle
emozioni
e nell’impossibilità di controllarne il libero manifestarsi; la punizione
è
un procedimento rieducativo, la cui efficacia si dimostra in realtà di
durata limitata e inabile a reprimere del tutto l’istinto originario.
    
Quando
quest’ultimo riemerge, la collettività tenta di riassorbire la
trasgressione
e di ripetere i meccanismi sanzionatori. Tuttavia, nel tempo richiesto per
organizzare la pena, la quieta superficie dello status quo è comunque
stata
turbata.

L’imprevedibile Vonnegut
Su un’idea analoga di trasgressione si basa Player Piano, di
Kurt Vonnegut. Distopia smandrappata che contiene la trama rivoluzionaria
di una società segreta dalle caratteristiche oscure, questo romanzo
di Vonnegut realizza un efficace capovolgimento del modello classico,
mantenendo lo schema sostanziale ma suggerendo che le regole trasgredite
forse non sono in realtà più solide, stabili e motivate
di quelle sostenute dai rivoluzionari.
    
Più complesso anche se più elementare nei procedimenti, appare il discorso
legato a società non evolute o comunque regredite a uno stadio primitivo.
    
In
Il signore delle mosche, di William Golding, ad esempio, la vicenda si
sviluppa interamente su un’isola. In questo spazio circoscritto, alcuni
bambini inglesi sopravvissuti a un incidente aereo ricostruiscono il
tracciato della loro esistenza prescindendo dalla presenza sanzionatoria
degli adulti. L’ipotesi è interessante e l’idea di narrare l’intera
vicenda
dal punto di vista dei bambini conferisce alla storia una definita
originalità.
    
Decisi a conquistare una loro individualità, i bambini finiscono in
realtà
per riprodurre, esasperandolo, il mondo degli adulti. La vita sull’isola
assume, nel giro di poco tempo, le caratteristiche di una recita, con
attori
che prendono molto sul serio il loro copione.
    
Ne risulta la costruzione di un modello sociale ridicolo,
incongruo, immorale e assolutamente non idoneo a garantire la pacifica
convivenza. Il meccanismo crimine/punizione poggia su una elementare quanto
manichea distinzione tra bene e male, e si regge, di nuovo, su concetti di
omologazione e adattamento.
    
Il conflitto nasce dalla mancata condivisione del modello sociale proposto
da Ralph, il personaggio positivo, da parte degli ex-ragazzi del coro, già
costituiti in una gerarchia rigida, che si inseriscono a fatica nella
struttura sociale improvvisata e anche così non rinunciano a essere una
setta. Lo sviluppo della vicenda, mettendo in discussione il concetto
stesso
di legge, finisce per rendere complicata anche l’applicazione di una
punizione: le norme della comunità diventano cioè, inevitabilmente, molto
relative.

Il bambino dei cristalli
Meno relativa e più palese, per ovvi motivi, è la sopraffazione
subita da un individuo che decide pertanto di vendicarsi, con modalità
che tendono a variare in base al registro espressivo scelto dall’autore.
Seria e in parte tragica, seppure profondamente giustificata, è
la punizione proposta da Theodor Sturgeon in Cristalli sognanti:
la coercizione educativa subita da bambino dal protagonista, l’angoscia
determinata da una figura paterna repressiva e ingiustificatamente crudele
determina modelli reattivi atti a ingenerare nel colpevole uno stesso,
insopportabile terrore. Fondamentalmente ironica, seppure ugualmente
esemplare, è la punizione di Bobbo in Vita e amori di una
diavolessa
, di Fay Weldon. La protagonista, moglie esemplare ingiustamente
trascurata e abbandonata, pianifica una vendetta diabolica che in pochi
anni capovolge i ruoli e costringe l’ex-marito ingrato a mendicare perdono
e comprensione.
    
In
entrambi i casi, il crimine, pur non avendo direttamente a che fare con la
trasgressione di una chiara norma sociale, ha le medesime caratteristiche
di
evidenza assoluta: è sbagliato seviziare un bambino o sottoporre ad
angherie
ingiustificate una donna fedele; dunque, su una base schiettamente etica,
diventa giustificata la pena che viene inflitta.
    
In alcune circostanze, tuttavia, la corrispondenza tra crimine e punizione
non è così chiara. L’anziano giudice che compare in alcune sezioni del
romanzo della Weldon, ad esempio, sottopone sua moglie a una serie di
punizioni che non sono conseguenti, in realtà, ad alcuna colpa. Il crimine
che le precede è, di fatto, incomprensibile, e la punizione perde pertanto
non solo il suo carattere esemplare ma anche la sua funzionalità sociale.
    
La
san ione è incomprensibile tanto quanto la trasgressione, perché entrambe
sono destituite di qualsiasi logica. E questo ci conduce alla seconda
modalità di uso del rapporto crimine/punizione nella narrativa di
fantascienza.
     Il crimine incomprensibile è, di fatto,
un principio strutturante di molta narrativa fantascientifica new wave.
Strutturata su una programmatica volontà di discutere qualunque
modello sociale rigido e concentrata soprattutto intorno a figure di
scrittori che gravitano intorno alla Cornell University, la scrittura
degli anni Sessanta e Settanta finisce per assumere a nucleo tematico
ricorrente l’assurdità di ogni meccanismo sanzionatorio, che
è privo di senso in quanto punisce un comportamento di per se
stesso non condannabile. Incomprensibili sono le ragioni per cui, in
un famoso romanzo breve di Philip K. Dick, Flow My Tears the Policeman
Said
, il capo della polizia Felix Buckman decide di eliminare una
famosa star dello spettacolo, sebbene spieghi la sua decisione riportando
una complessa ragnatela di motivazioni personali, a tratti intime e
comunque scollegate dalla portata sociale della divisa che indossa.
Ugualmente incongrua, anche se di segno opposta, appare la decisione
finale dei protagonisti di Non è ver che sia la mafia
di Cyril Kombluth: dopo aver scoperto che il governo degli Stati Uniti
è composto da una banda di ladri e truffatori, decidono di lasciare
tutto com’è e di ignorare il crimine, poiché una punizione
risulterebbe troppo eversiva e turberebbe l’equilibrio che si è
comunque costituito.
    
Di natura diversa, invece, è la colpa di Marva, la protagonista di Fools. La protagonista di questo romanzo di Pat Cadigan ha commesso un delitto
ma non se ne ricorda, e nel corso della vicenda scopre di avere nella
testa
frammenti di memoria che non gli appartengono. Attrice in un mondo futuro
in
cui questo mestiere implica il totale assorbimento della personalità
fisica
e psicologica del personaggio che si intende recitare sulla scena, Marva è
impegnata in una fuga impossibile per evitare la punizione per un crimine
che non ha mai commesso, quanto meno non consapevolmente. La sua fuga
disturba una struttura sociale complessa ma, comunque, come sempre, basata
sul rigido mantenimento tra sistemi di potere operanti nello stesso
spazio.
    
Alla necessità di costituire un nuovo equilibrio sociale dopo il naufragio
senza speranze di recupero su un pianeta alieno, fa riferimento il crimine
incomprensibile testimoniato in un complesso romanzo di Joanna Russ, We
Who
Are About To
. Interamente costruito sul manicheismo che regola il
rapporto tra i sessi in una situazione di regressione allo stato sociale
primitivo, il romanzo è una testimonianza interessante a proposito delle
possibili conseguenze di una colpa involontaria, com’è l’appartenenza al
sesso femminile. Condannata in quanto donna e per nessun altro motivo a
uno
stupro e a una maternità coatta, la protagonista si rifiuta di accettare
quietamente questa punizione incomprensibile. In questo modo, si rende
colpevole di un altro crimine, quello tradizionale della non-omologazione,
che condurrà appunto alla pena consequenziale: la condanna a morte.
Su scala più ampia, lo stesso movente, la stessa condizione di diversità
determina il genocidio di Il mondo della foresta di Ursula Le Guin. La
violenza scatenata dalla razza umana, in questo caso, se assume in alcuni
casi a pretesto un crimine di portata assolutamente minore, ha in realtà
la
sua motivazione in una colpa più profonda, incomprensibile perché del
tutto
inconsapevole: l’appartenenza a una razza diversa da quella umana. L’uso
di
modelli di comportamento differenti da quelli della razza più forte è
inteso
come un crimine; la colpa che ne consegue è l’eliminazione fisica
dell’elemento di disturbo, che non può, in questo caso, essere educato ad
appartenere alla razza degli uomini.

Sul filo di un altro tempo

Di uguale segno, anche se di scala più limitata, è la punizione di Connie
Ramos, chicana di NewYork e protagonista di Sul filo del tempo di Marge
Piercy. Pur essendo perfettamente sana di mente, la protagonista
finisce rinchiusa in un ospedale psichiatrico, dove combatte nella sua
mente
una battaglia per il futuro dell’umanità. Anche nel corso della battaglia,
il carattere inquietante della sua diversità è mantenuto, e determina
alcuni
comportamenti sui quali la protagonista non è in grado di esercitare una
mediazione razionale. Ancora conseguente a una condizione di marginalità,
dovuta sempre a un discorso di diversità razziale, è la colpa di David
Selig, in Morire dentro di Robert Silverberg. Ebreo, poco socievole e
per natura non ottimista, il protagonista del romanzo fruga impunemente
nella testa altrui, pescandovi i segreti meno confessabili, Il suo crimine
originario è nella diversità involontaria, che diventa trasgressione
consapevole nel momento dell’uso immorale di poteri telepatici. La
punizione, alla fine, avrà le caratteristiche di una nemesi e consisterà
nella progressiva sparizione delle voci estranee che animavano i silenzi e
la solitudine di David Selig. Per chi è sempre stato diverso, nulla è più
pericoloso e temibile dell’omologazione.
    
Questo ci conduce al terzo livello di analisi del rapporto
crimine/punizione. Esiste una trasgressione, cioè, che è in buona misura
coatta: essa è determinata dalla configurazione stessa del personaggio,
dai
suoi caratteri costitutivi nell’universo di appartenenza nel quale esso è
inserito. La condizione di Tommy Newton in L’uomo che cadde sulla Terra
di
Walter Tevis, è di questo tipo. Alieno confinato su un pianeta che
non conosce, in una comunità della quale gli sfuggono le regole, Tommy è
colpevole suo malgrado, nonostante faccia ogni sforzo pensabile per
espiare
e diventare parte di un mondo che lo esclude. La pena, di nuovo, è
l’omologazione, messa in atto contro ogni plausibilità. La metamorfosi
chirurgica, invece di aiutare l’alieno a inserirsi, finisce per
cuterizzarne
ad libitum la configurazione di entità intermedia, creatura per sempre
condannata a occupare un limbo tra le razze dal quale non gli riuscirà mai
di uscire.
     A un limbo tra i sessi, invece, appartiene
il personaggio protagonista di- La passione della nuova Eva di
Angela Carter. D’identità sessuale indefinita perché originariamente
maschio e tuttavia sottoposto a una metamorfosi chirurgica coatta nella
comunità femminile di Beulah, Eve/lyn è un uomo
che non riesce comunque a diventare donna, neanche dopo aver subito
uno stupro ed essere entrata a far parte dell’harem del poeta perverso
del deserto Zero. Incapace di appartenere completamente a uno dei due
sessi e dotato di un’identità che si dissocia completamente dall’apparenza
fisica, questo personaggio finirà per essere comunque punito,
dovunque vada, da entrambi i sessi, che lo accuseranno alternativamente
di appartenere al sesso sbagliato.
    
La condanna all’ibridismo compare anche, in una dimensione più tragica e
straniata, in un racconto di James Tiptree Jr pubblicato nel 1971 e
intitolato And I Awoke and Found Me Here on the Cold Hill’s Side. Il
protagonista, un vecchio astronauta che vive su una base spaziale
frequentata da alieni di ogni razza, racconta la storia del modo in cui è
diventato vittima del suo stesso incontrollabile impulso a conoscere.
    
L’intrusione nel mondo alieno, vissuto e considerato come un crimine, ha
determinato l’esclusione da una vita umana normale. La pulsione che
determina il processo educativo è intesa come irresistibile perché
genetica:
"L’uomo è esogamo", dice la voce narrante. "Tutta la nostra storia è un
lungo impulso a trovare lo straniero e a metterlo incinta. O a farsi
mettere
da lui: vale anche per le donne. Qualunque creatura abbia un diverso
colore,
un naso diverso, un sedere diverso, qualunque cosa di diverso, l’essere
umano deve scoparselo, o morire nel tentativo. E un impulso, capisci? Fa
parte di noi". Il crimine è nel mancato riconoscimento dei limina che
separano la razza aliena da quella umana, e la punizione è conseguente al
delitto e ha le caratteristiche di una penalità prevedibile e comunque
quasi
desiderata: "Adesso abbiamo incontrato alieni che non riusciamo a scopare,
e
stiamo morendo nel tentativo di farlo… credi che io riesca a toccare mia
moglie?". La pena, dunque, consiste di due momenti collegati: da una parte
l’esclusione psicologica da ogni possibilità di vita normale, sulla Terra,
insieme al resto del genere umano, dall’altra un marchio fisico,
conseguente
alla sofferenza inevitabile per il corpo di un essere umano in seguito al
contatto con un corpo alieno.
    
Il fatto che sofferenza e punizione si colleghino a un atto sessuale, in
realtà, non stupisce. Nella prospettiva puritana tradizionale, quella
anche
letteraria e riflessa da Nathaniel Hawthorne in La lettera scarlatta, il
discorso sviluppato dalla Tiptree ricuce alcuni fili importanti nella
cultura americana e ne mostra le incongruenze, riagganciandole poi a un
discorso più ampio, di nuovo di colpa inconsapevole perché determinata da
pulsioni istintive non resistibili. In Love is the plan the plan is Death
il
protagonista, un alieno di nome Moggadeet, è predestinato ad allevare la
femmina della specie per poi esserne divorato dopo averla fecondata.
    
L’irresistibilità di questo compito trasforma il crimine, cioè l’atto
sessuale incestuoso, in una necessità adattiva, che ha il suo senso
nell’istinto di conservazione operante al livello della specie.

La trasgressione positiva

Alla fine, dunque, il crimine come trasgressione dei limina imposti dalla
comunità, può trasformarsi in una trasgressione prevista e persino
positiva
per il mantenimento della specie. La punizione, quindi, non è più
percepita
come tale e si manifesta di fatto come una necessità della specie che deve
conservare se stessa. È trascurabile, come sempre accade, il sacrificio
dell’individuo, che compare solo transitoriamente e la cui storia assume
il
senso di una parabola esemplare. Al di là di questo scopo, il singolo
scompare: non gli viene riconosciuto cioè, nella fantascienza esattamente
come nel nostro vissuto quotidiano, nessuna unicità, nessun legittimo
diritto di esistenza. Chi si rende colpevole di un crimine, di qualunque
natura esso sia, gode di una temporanea popolarità, che tuttavia ha la
stessa natura irrisolta del ruolo che Vonnegut, nelle poche righe
introduttive di Le sirene di Mano, attribuisce a chi non si è macchiato
di alcuna colpa: "Nessun nome è stato cambiato per proteggere gli
innocenti, poiché a proteggere gli innocenti ci pensa Dio Onnipotente nel
corso del Suo celeste tran-tran".

Fonte: rivista Volontà del 1994, numero tematico Delitto
e castigo