di Giuseppe Genna
La Chambre d’accusation parigina ha dunque fornito parere favorevole all’estradizione di Cesare Battisti. A leggere i titoli dei quotidiani italiani on line, come capita da mesi, cascano le braccia e si impelle il dovere di specificare che quello della Chambre è soltanto il primo di diversi grado di giudizio. Ultimativo sarà il parere del Presidente francese Jacques Chirac, che dopo i vari gradi processuali, se persisterà un giudizio favorevole al reimpatrio di Battisti, verrà consultato. Se ciò accadrà, la Francia vedrà messa a nudo la reale e scottante questione che alimenta il caso Battisti: un Presidente della Repubblica dovrà ridicolizzarne un altro, suo predecessore, e cioè Mitterrand, per acconsentire a deliranti pressioni politiche da parte degli italiani, e in particolare del ministro leghista Castelli e del premier Berlusconi. Si profila il rischio che tanti paventavano a Parigi (ne ho avuta la riprova personale andando ad assistere alla giornata per Battisti tenutasi alla Mairie del IX arrondissement): la svendita dell’onore nazionale francese in favore del servaggio a Berlusconi.
“Honte!” hanno infatti urlato ai membri della Corte coloro che hanno assistito alla seduta odierna. “Vergogna”: a testimoniare della posta morale che è in gioco per i francesi. Chi, senza essersi studiato le duemila pagine dell’allucinante processo italiano a Battisti, ne ha preteso la testa con indegna leggerezza giacobina, si scorda che, al momento, il caso Battisti è una questione anzitutto francese. Cesare Battisti si è fatto una vita in Francia su proposta di François Mitterrand. Senza l’invito del Presidente francese, Battisti non sarebbe stato raggiunto dai tentacoli di questa piovra demente, accecata dal sangue, proterva, assetata di vendetta, pronta a frantumare nella maniera più scellerata un lento processo di metabolismo della nostra storia nazionale. Il fatto principale che rende tanto sensibile l’opinione pubblica francese al caso Battisti è, a conti fatti, l’incredibile manovra del bulldozer giudiziario con cui si vuole passare sopra la decisione presidenziale adottata da Mitterrand, che tanto ha contribuito al chiudersi di una stagione altamente ambigua e disumana, come furono gli anni di piombo. A distanza di quindici anni, arriva una variabile impazzita e brianzola, che decide di fare di Battisti un emblema del terrorismo internazionale e che cinicamente approfitta del clima barbaro impostosi nel mondo dopo l’11 settembre, pur di riaprire la questione dei Settanta nella maniera peggiore: quella del rinnovato muro contro muro, della vendetta postuma e, in quanto postuma e consumata a più di vent’anni di distanza, sommariamente ingiusta. La giustizia non è un’algebra, soprattutto quando è in ballo una tragedia nazionale o collettiva. La legge del taglione, invece, quella sì è un’algebra, si risolve con la freddezza e il disincanto di un’equazione, prescindendo dai contesti e dal tempo. A proposito del caso Battisti non ci sono pro o contro: o si sta dalla parte della giustizia umana o si prende partito per la legge del taglione.
I giudici francesi non hanno applicato il taglione: hanno semplicemente assentito alle pressanti richieste sottobanco delle autorità italiane, capitanate dal ministro Castelli. Creando tuttavia un precedente che preoccupa moltissimo i francesi: il comportamento del ministro della giustizia francese Perben verso la magistratura, tenuta sotto scacco dalla minaccia politica. Abbiamo già visto come questo atteggiamento di conflitto e ricatto tra poteri, qui in Italia, sia in grado di arrestare lo sviluppo di un Paese – è questo l’autentico virus berlusconiano, cresciuto nel brodo primordiale di forcaiolismo e acritica libido sanguinaria ai tempi di Tangentopoli, e adottato quale modello di lotta tra istituzioni lungo l’arco dei due governi Berlusconi. Ora il virus, dopo questo primo parere della Chambre, appare inoculato anche oltre le Alpi. Sono e saranno problemi di Francia, ma anche di Europa. Il modello con cui viene fatta maturare una decisione piegata alle pressioni politiche avrà certamente riflessi sul futuro politico transalpino, ma anche su quello continentale, da cui sta emergendo proprio in questi giorni il disegno dei futuri assetti tra potere esecutivo e giudiziario.
Quanto all’Italia, si continuerà qui a misurare la profondità dei solchi mnestici incisi nel conscio e nell’inconscio collettivi da mesi di condizionamento psichico. Nessun organo di stampa e nessun media è immune dall’accusa di acefalico condizionamento: hanno tutti sparato contro Battisti, la litania è salita di intensità fino a vertici a cui, personalmente, non mi era capitato di assistere in precedenza. Perfino qualche giorno fa, a Pordenone, dove nell’àmbito di una presentazione letteraria ero stato costretto a impiegare venti minuti a rispondere a domande su Battisti, tornato in albergo, all’una di notte, ho assistito all’ennesima intervista, retorica fino alla nausea, a cui i media hanno costretto i figli delle vittime, tutti uniti a esprimere le opinioni più atrabiliari e meno motivate contro Battisti – una replica di un servizio datato, già trasmesso due volte su Rete4 un mese addietro, che irradiava con naturalezza la tesi preacquisita dell’eventuale colpevolezza di Battisti. La persistenza dell’atteggiamento mediatico è condannabile almeno quanto il contenuto che veicola. E questa è soltanto la metà del problema. Perché, a monte, c’è l’indegnità di una decisione presa con l’assenza più rude di cautele, non soltanto istituzionali (Battisti, ricordiamolo, in Francia era stato comunque prosciolto in sede giudiziaria da ogni accusa), ma soprattutto civili. Riaprire, con quest’orgia di violenza giocatasi sul 100% della superficie mediatica italiana, una questione tanto delicata come gli anni di piombo fa giustamente il paio con l’incredibile detenzione di Adriano Sofri e rischia di rendere virulenta l’atmosfera nel Belpaese. Si pensi all’atteggiamento irrisorio del ministro Castelli nei confronti del presidente Ciampi, quando la massima carica dello Stato ha domandato al leghista il fascicolo Sofri per valutare i termini di una grazia non richiesta. Lo humus in cui matura il caso Battisti è questo: il massimo gradiente di inciviltà culturale e giuridica a cui l’Italia sia stata esposta da decenni. Siamo arrivati al punto che, parlando con un alto magistrato, ho dovuto faticare parecchio per convincerlo che non poteva affermare che “questo stronzo del gruppo di Barbone deve andare in galera”, non essendo per nulla questa la storia di Battisti. E’ anzi auspicabile, nel malaugurato caso che in futuro Battisti venga estradato, che si rendano pubblici gli atti del vergognoso procedimento contro di lui: è materia degna di un saggio, una vicenda emblematica della violenza fintogiuridica con cui si è arrestato un processo di estremo rischio per le istituzioni partitocratiche in Italia.
Se la cronaca, cosa che non ci auguriamo, ci costringerà a compiere questa faticosa opera di pubblicistica civile, sia detto fin da ora che l’impegno verrà profuso.
Per il momento, attendiamo il prossimo grado di giudizio. La Francia è ancora in tempo per evitare una seconda, ingloriosa sepoltura dell’eredità politica di uno dei suoi più grandi Presidenti.