Vorrei formulare un appello a tutti i lettori di Carmilla che, disinteressati all’Europeo o dotati di coscienza civile ed estetica, il 24 e il 25 giugno avessero voglia di assistere a una delle rare opere d’arte trasmesse dalla tv. Su RaiTre, alle 21.00, va in onda in quei giorni L’uomo dell’argine, il film di Gilberto Squizzato su don Primo Mazzolari, straordinaria figura di prete resistente. Avendolo recensito qui, mi permetto di pubblicare su Carmilla un’intervista a Squizzato, a cui segue una notevole scheda. [gg]
Uno sceneggiato importante che sicuramente seguirà il successo che ebbe quello su don Milani interpretato da Sergio Castellitto. Autore e regista, Gilberto Squizzato. “L’uomo dell’argine” andrà in onda il 24 e 25 giugno su rai tre in prima serata.
Mazzolari, un altro prete “scomodo”, quale scelta ha fatto per raccontare la sua storia?
«Si sarebbero potuti raccontare tanti aspetti della figura di questo prete: il precursore del movimento per la pace; il profeta che anticipò tante riforme del Concilio Vaticano II; il sostenitore del dialogo fra credenti e non credenti, fra cattolici, socialisti, comunisti in tempi di aspre divisioni ; l’uomo in dialogo coi fratelli ebrei e protestanti… Io mi sono soffermato in particolare sul coraggio di un uomo che , in perfetta solitudine, spesso pagando l’incomprensione dell’autorità ecclesiastica, per più di vent’anni riuscì a resistere alle lusinghe, alle prepotenze, alle violenze, alle minacce, alle intimidazioni anche fisiche del fascismo, nel nome della dignità dell’uomo e della radicalità del Vangelo».
Un Mazzolari solo politico?
«Qui bisogna intendersi bene. La scelta politica di Mazzolari scaturiva dalla sua opzione per il Vangelo, per i poveri, per la difesa della dignità umana ferita e offesa. Non fu prigioniero di una ideologia, anche se fu tra i promotori dell’impegno dei cattolici in politica e in qualche modo tra i padri della Democrazia Cristiana nata nel 1942, dall’accordo per il quale si prodigò fra De Gasperi e i neoguelfi del nord, guidati da Malvestiti. Intorno a don primo si raccolse un nutrito numero di giovani cattolici che si impegnarono nella resistenza, alcuni furono trucidati dai fascisti, altri ancora dovettero fuggire in Svizzera… Ma sempre, alla radice, la scelta del Vangelo. E dalla stessa motivazione scaturì il suo impegno per la pace, già durante la campagna militare italiana per la conquista dell’Etiopia. Dall’interventismo degli anni della prima guerra mondiale la sua riflessione lo portò a schierarsi contro il militarismo e contro tutte le guerre, profeta inascoltato e anche condannato al silenzio. Il suo “Tu non uccidere” dovette uscire anonimo, perché il Santo Uffizio condannava le sue posizioni ritenendole troppo radicali. Fu il primo in Italia a rivendicare il diritto/dovere dell’obiezione di coscienza contro tutte le guerre, è don primo il padre del pacifismo italiano, inteso in senso attivo, come costruzione di rapporti nuovi fra i popoli di tutta la terra, al di là delle diverse ideologie e contro tutti i “blocchi” . Così pure la sua richiesta di una rivoluzione sociale cristiana non era scivolamento verso il marxismo, ma sfida i cattolici perché collaborassero insieme ai socialisti e comunisti per costruire una vera giustizia sociale, senza mai rinunciare alla specificità dell’identità cristiana.
Don Mazzolari fu un tenace antifascista, ma dopo il 25 aprile salvò chi lo aveva denunciato. Perché lo fece?
«Mazzolari fu l’unico degli abitanti di Cicognara, il paese del suo primo incarico pastorale, che non andò a votare sulla scheda unica imposta dal fascismo su una lista bloccata di candidati decisa dal Gran Consiglio… Fu uno dei pochi preti a non cantare il “te deum” a comando dopo il fallito attentato a Mussolini. Il suo amico don Minzoni fu massacrato dalle squadre fasciste di Balbo e contro di lui spararono le pistole dei sicari in camicia nera. Fu arrestato, sottoposto a pesanti interrogatori, dovette vivere in clandestinità per più di sei mesi , ricercato dai repubblichini che volevano eliminarlo. Eppure dopo il 25 aprile salvò molti di quegli stessi che avevano cercato di ucciderlo in quanto oppositore del regime. Per Mazzolari furono tutti uguali, vittime e persecutori. Il suo perdono evangelico non cancellò le responsabilità e le colpe degli aguzzini, ma chiedeva ed esigeva dai nuovi vincitori una nuova morale, un salto di qualità, capace di perdonare proprio perché la vittoria dei perseguitati di prima non doveva tradursi solo in uno scambio di parti nel teatro della storia. ” se non perché abbiamo sofferto tanto?, si chiedeva don Primo, solo per cambiare di colore alla nostra cattiveria umana?” Fu per questo che Mazzolari salvò dall’esecuzione sommaria, dopo il 25 aprile, anche chi l’aveva denunciato e fatto trascinare negli scantinati della Caserma Muti perché fosse interrogato, torturato ucciso».
L’uomo dell’argine racconta anche un’epoca…
«Anche in questo lavoro utilizzo immagini di attualità, solo che allora non esisteva il TG. La cronaca era raccontata dai cinegiornali. Ecco perché in questo nuovo lavoro metto in atto un procedimento del tutto opposto a quello del fiction storiche tradizionali, che ricostruiscono ex novo episodi e vicende storiche. Io invece colloco Don Mazzolari e gli altri personaggi “dentro” le situazioni e dentro gli eventi descritti o evocati dai cinegiornali dell’epoca. Non si tratta di “siparietti” storici, di immagini di archivio usate solo come documenti d’epoca. Mediante raccordi di luce, di angolazione, di movimento, di montaggio, inserisco le vicende del mio protagonista all’interno degli ambienti e delle situazioni descritti o evocati dalle immagini di quel periodo storico».
A proposito del fatto che anche L’uomo dell’argine è una fiction “low budget”: una formula elegante per dire “basso costo”. Quanto costa questo genere di film in costume?
«E’vero: questo “film in costume” costa un quinto, o forse un decimo di quello che costerebbe una fiction tradizionale in costume. Ma non sento questo come una limitazione. Il basso costo, e la “troupe leggera” ( quindici persone invece delle quaranta tradizionali) mi consentono una grande libertà di movimento: posso rimaneggiare il copione giorno per giorno, girare in set reali trovati magari poche ore prima delle riprese, spostare con agilità il mio gruppo di lavoro da un posto all’altro in pochissimo tempo senza rallentare le riprese… E’ questo che rende il mio lavoro un “work in progress”: in pochi minuti posso riscrivere una scena, inventarne una nuova, girare con volti incontrati sul posto pochi minuti prima delle riprese…
Il film è stato girato nei posti reali dei fatti?
«In parte. Sicuramente nella canonica, nel famoso “studiolo” di don Primo, quello in cui formò una generazione di giovani che avrebbero fatto la resistenza e poi collaborato alla nascita della DC , sostenendo l’esigenza di profonde riforme sociali per riscattare la povertà dei contadini padani. E poi sulle rive del Po, nelle cascine, nei mulini, nelle strade, nelle piazze di paesi rimasti intatti dopo settant’annni dai fatti narrati».
Anche questo nuovo lavoro storico di Squizzato è, paradossalmente, un “real movie”, cioè un film dal vero” (realizzato con una troupe del Centro di Produzione della Rai di Milano) perché anche questa volta l’autore prosegue il suo lavoro di innovazione del linguaggio della fiction televisiva, sia girando nei set reali in cui si svolsero gli avvenimenti narrati, sia immettendo nel racconto i documenti originali dei fatti storici descritti (dalla Prima Guerra Mondiale alla nascita del Fascismo, alle guerra d’Africa, alla Seconda Guerra Mondiale, fino alla Resistenza e alla Liberazione).
Non un semplice documentario dunque, e neppure una fiction realizzata in studio, ma un’inedita forma di racconto cinematografico che colloca il protagonista dentro la realtà stessa della Storia, come essa ci è stata raccontata dagli operatori dei cinegiornali di quel periodo (le immagini di archivio dell’Istituto Luce e di Combat Film).
Nel descrivere la vicenda del prete di Bozzolo che per essere coerente col Vangelo si oppose al totalitarismo del fascismo trionfante rischiando molte la vita senza mai piegarsi alle minacce e alle violenze del regime, Squizzato racconta in questo modo anche trent’anni della storia italiana, vedendola con gli occhi dei contadini della bassa padana, dei poveri, dei deboli, di cui don Primo condivise la vita, le speranze e le sofferenze.
Autentico “uomo dell’argine”, non solo perché figlio di contadini del Po, ma soprattutto perché irremovibile baluardo morale contro soprusi e prepotenze di ogni tipo, benché confinato in due piccoli paesi ai margini della Storia, Mazzolari ne fu in realtà protagonista attivo e consapevole, coraggiosamente aperto ai drammi dell’intero continente europeo, diventando così il maestro spirituale di una nuova generazione di giovani che si sarebbero presto impegnati nella Resistenza (due dei suoi discepoli furono torturati e uccisi dai nazifascismi) e, conclusa la guerra di Liberazione, impegnati in politica per la giustizia sociale e per la pace.
Fra i temi “caldi” toccati da questa fiction quello del rapporto di don Mazzolari, stretto fra il dovere di ascoltare la propria coscienza di cristiano e quello di obbedire all’autorità ecclesiatica, che spesso gli intimò il silenzio censurando i suoi libri e la sua predicazione , sia quello del rapporto con i fascisti sconfitti dalla guerra partigiana.
Proprio perché aveva sempre pagato di persona in tempi non sospetti, quando il fascismo trionfava e lo perseguitava, Mazzolari nei giorni della Liberazione potè alzare con forza la voce perché non si versasse “il sangue dei vinti”, distinguendo fra le colpe storiche del regime e le debolezze di chi per viltà o per comodo, nella bassa mantovana, lo aveva assecondato. Senza dimenticare o cancellare la storia, solo il perdono, secondo don Primo, avrebbe potuto inaugurare un mondo nuovo, impedendo che i vincitori ripetessero le colpe dei vinti: vendette sommarie e rivalse personali avrebbero reso inutile un ventennio di sofferenze e di resistenza morale alla violenza.
“L’uomo dell’argine” è interpretato da Emanuele Fortunati e da Maurizio Tabani che impersonano le due stagioni di Mazzolari, prima giovane pretino a Cicognara e poi parroco di Bozzolo. Le riprese si snodano in più di un centinaio di set, fra cascine e paesi attestati sulle rive del Po, ma anche nella Milano dell’epoca, con la partecipazione di attori professionisti e di centinaia di figuranti presi dalla vita.
[da Varesenews]