di Ferdinando Camon
Los Angeles non è una città: è un insieme di varie città, ognuna completa e interessante, che tentano di fare una città. Fatte le debite proporzioni, Lettera a Dio di Vincenzo Pardini (peQuod, 14 euro) è un insieme di diversi libri che convergono in un libro. C’è il libro su Alarico Regnante, bandito, anarchico, vendicatore, giustiziere, terrorista, portatore di un superiore concetto di giustizia e di dovere, ma nemico del concetto imposto dalla società e dallo Stato. O, se volete, dalla polizia e dai carabinieri. Le sue scorribande vorticose, imprevedibili, di uomo-animale-fantasma, sempre braccato e sempre inafferrabile, sempre sul punto di venire ucciso e sempre pronto a uccidere per primo, inizialmente amico di colui che nel libro racconta tutto, e tuttavia alla fine impegnato con lui in un duello all’ultimo sangue. E questo è un libro, bello, drammatico, avventuroso, teso.
C’è il libro sulla natura, i boschi, la vita delle Guardie Forestali, il ripopolamento dei lupi, la visione delle aquile, la neve, il vento, le case abbandonate, la solitudine, la paura, le leggende, gli spiriti, i diavoli, le potenze dell’aldilà: e questo è un altro libro, ha un’altra “mozione”, ma si sposa bene al primo, entra in ogni avventura e la fa diventare fisica e (strano a dirsi) perfino metafisica. Poi c’è il libro di Marfisa, la donna che inizia sessualmente il giovane protagonista, che di per sé sarebbe innamorato di una coetanea, la sogna, la cerca, viene cercato, ma la donna sta alla ragazza come un uragano sta a una pioggia: spazza tutto, fa il vuoto. E questo è un terzo libro, che sbatte sugli altri due con violenza, non li completa ma li sostituisce. Quando questo libro comincia (pag. 29), senti un urto, vieni spostato, entri su un altro piano. La naïveté della narrazione “naturalistica” viene spazzata via dal travolgente sesso degli incontri fra la donna Marfisa e il ragazzo io narrante. E’ la storia di una iniziazione erotica. Un thriller sentimentale che si aggiunge al thriller poliziesco. Infine c’è, ma è pura cornice, il contenitore del tutto, il senso ultraterreno che dà il titolo al libro, un titolo non pertinente, perché estraneo, voluto ma non vero. Non è una lettera a Dio, e non ha nessuna volontà di “fare luce”. Il ragazzo protagonista, quando avvengono i fatti, si trova invischiato in una storia più grande di lui, della sua famiglia, di tutta la Pieve, del maresciallo, dei magistrati, di tutti. La storia di Alarico Regnante, tornato in paese per vendicare la morte del padre, fucilato dai tedeschi. Ora la Pieve è in un suo ordine, la cicatrice si è chiusa. Ma la ferita è invendicata. Chi ha tradito quel padre? Chi protegge i traditori? Chi deve pagare, affinché scenda la pace? Regnante ha un sesto senso nell’avvertire chi sono i repubblichini, nello sfidarli, nel punirli, nel mettere trappole come i vietcong, nell’usare frusta, coltello da lancio, pistole e fucili. Si lascia dietro una scia di cadaveri. Sono tutti variamente implicati nella morte del padre, anche se il narrante lo capisce a posteriori. La polizia non sa prevenire né punire. Brancolando nel buio, si aggrappa a tutti gli espedienti, e se non li trova li crea. Se non ha una verità, la inventa. Scoperto che il ragazzo è un amico di Regnante, comincia col sospettarlo di complicità, e quindi accusarlo, cercare di arrestarlo, inseguirlo. Il libro è la storia di un doppio inseguimento, poliziesco e giudiziario.
Una bella storia; raccontata bene. In una lingua originale, arcaica e potente, iper-toscana. Con sapienza descrittiva, costruttiva, intuitiva. Assistito da un avvocato, il ragazzo viene consigliato di scrivere un memoriale per “fare luce”, e l’espressione “fare luce” lo spinge a rivolgersi direttamente a Dio, affinché la luce sia definitiva.
Ma questo salto dal poliziesco al metafisico resta limitato alle intenzioni, non arriva ai risultati. Il libro di Alarico è inobliabile, sa di selvaggio o di selvatico. Senza sforzo, si può conciliare col libro della natura, le foreste, i lupi. Il libro di Marfisa non contrasta ma si somma: compri un libro ne leggi due. Per fortuna, il libro di Dio non c’è. Non c’è bisogno che ci sia. L’autore ha scritto un libro diverso da quello che voleva scrivere. E migliore.