di Chiara Martelli
Nel XX secolo della Storia versione Moratti non c’è spazio per il nazisfacismo e per la Resistenza, né per il colonialismo. Scompaiono, assieme alle grandi rivoluzioni russa e cinese, dai piani di studio, dissolti nella riscritura dei programmi. Le «Indicazioni nazionali» infatti costruiscono intorno ai fatti tragici degli anni 30 e 40 una sorta di Torre di Babele temporale. I ragazzi delle scuole medie studieranno, compresso tra «la prima guerra mondiale», «l’età delle masse e la fine della centralità europea» e «la seconda guerra mondiale», un generico «i totalitarismi», dentro cui tutto si mescola, tutto si confonde e appiattisce.
«Il ‘900 è diventato un secolo senza parola. – afferma Alberto De Bernardi, direttore del dipartimento di discipline storiche all’Università di Bologna – Il ministro lo ha relegato a poco più che un’appendice cronologica che ruota attorno ad un’impostazione di programmi strutturati sulla falsa riga di una favoletta edulcorata, eurocentrica, cristiana e autoassolutista. Stiamo assistendo a una mera operazione ideologica che cancella di fatto la memoria del paese e pone il veto su un tema d’interesse delle nuove generazioni. Derubricato un pezzo di storia nazionale, che si compone anche di fascismo e di antifascismo, abbiamo un obbrobrio culturale di cui una società civile si dovrebbe vergognare». Dianella Galliani, docente di storia della II° guerra mondiale e dei movimenti partigiani dell’Università di Bologna sostiene che «non affrontare la resistenza come un fenomeno europeo di recupero di un universalismo e dei diritti dell’uomo è profondamente sbagliato.
Il termine totalitarismo è stato apposto a mo’ di schermo attraverso cui non riusciamo a leggere le differenze diversi così diversi come il comunismo o il nazifascismo». Il ministro però di indicare specificamente una parte di programma al «crollo del comunismo nei paesi dell’est europeo» non si scorda affatto.
Capriole sulla storia
Ma la rivoluzione storiografica – che sembra ispirata alle idee di Antonio Socci – non finisce qua. Infatti chi da settembre siederà sui banchi dell’ultimo anno della scuola primaria sfoglierà l’evolversi della civiltà al contrario. Lasciatosi il medioevo alle spalle i bambini di quinta elementare si troveranno all’improvviso nella società greco-romana. Per i più piccoli in arrivo dalla terza, di contro, il tempo si fermerà. Per tre anni.
Sulle stesse cinquanta paginette del sussidiario: storia antica. Questo è il paradosso delle indicazioni che Letizia Moratti e il professor Giuseppe Bertagna (consulente Miur) hanno allegato al decreto legislativo numero 59. Lo stesso che si era «dimenticato» nel rispetto «del ruolo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche» di far riferimento alle teorie darwiniane (ora reinserite). «Ci sono troppe incongruenze che meritano una revisione – conferma il segretario generale Uil scuola, Massimo di Menna – Per effetto della transizione tra vecchi e nuovi programmi i ragazzi che frequentano la quinta elementare e il prossimo anno passeranno alle medie, non studieranno la storia romana. Chi sceglierà poi il canale della formazione professionale, l’antichità rimarrà per sempre solo uno sbiadito ricordo di terza». Infatti, per evitare di ripetere lo stesso sistema di conoscenze per ben tre volte – dalla scuola primaria a quella secondaria di II° grado – si è assegnato all’ultimo biennio delle scuole elementari ciò che attualmente è insegnato in prima media che avvierà, invece, i suoi studi a partire dall’anno Mille. All’epoca classica ci si tornerà soltanto al liceo. E ci torneranno soltanto gli studenti che continueranno a seguire il cammino della cultura «d’elite».
Percorsi forzati
«La riforma non conosce la scuola che vuole riformare» commenta l’ex rettore dell’università di Pisa e membro della commissione Cultura al Senato Luciano Modica. Intanto però ai docenti è stato reso più agile il compito di arrivare all’ultima pagina del libro di testo. Il tutto sempre a spese dei ragazzi. «È disastroso pensare che per qualcuno la storia delle origini della nostra società possa essere una reminescenza infantile. – afferma Fabio Muzi, insegnante al II° circolo di San Bartolomeo di Ferrara – Ma quel che è peggio è il taglio prescrittivo delle indicazioni nazionali. Il tutto è stabilito in rigidi tempi cronologici che mettono in discussione la libertà degli insegnanti di strutturare percorsi di conoscenza per quadri di civiltà. Un bambino non ha ancora introiettato il concetto di tempo. Parlare di dieci anni fa, cinquanta o cento, non è molto differente. Pertanto è aberrante voler impartire dalle elementari uno studio della storia in termini sistematici».
Venti anni indietro
Le scelte di viale Trastevere sembrano pertanto essere una vera e propria regressione rispetto a quanto prevedeva il testo di programmazione del 1985: aperto all’alfabetizzazione dei più piccoli attraverso lo studio della storia per quadri di civiltà in un telaio cronologico a maglie larghe. «In teoria la scuola Moratti vuole essere modernissima – afferma Modica – con tanto di tre “i”, ma in pratica è antichissima. Hanno costruito una scuola pedagogica per miti che tende a tenere per più tempo possibile il bambino lontano dalla realtà in cui vive».
Ma chi adotterà le indicazioni della scuola d’avanguardia? «La riforma partirà solo in senso organizzativo – sostiene Irene Marche, docente del I° circolo di Alghero – Abbiamo l’autonomia scolastica e la libertà d’insegnamento. In quinta il prossimo anno si studierà ancora il novecento. Tra l’altro i nuovi sussidiari che stiamo vagliando ripropongono la storia come l’abbiamo insegnata fino ad oggi».
[da l’Unità]