di Daniela Bandini
Danilo Arona, Palo Mayombe, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2004, pp.318, €16,00.
Tra il rutilare di offerte e promozioni commerciali, sconti sensazionali, 3×2 imperdibili, la “lettura del quotidiano” è un esercizio praticamente avulso dalla notizia. C’è la rete, e forse la radio, le uniche che possano vantare lo status politico e la predisposizione culturale per interrompere la programmazione e dirci: “E’ successo qualcosa di grave”. Il quotidiano sta diventando sempre più la verifica di un evento, la sua pubblicazione sempre più la conferma di un fatto accaduto, e il suo incidere o meno nella politica è il vero motivo del suo esistere. Niente di nuovo. Così, quando nel romanzo di Arona si riprendono alcuni articoli noti di qualche tempo fa non possiamo che sobbalzare. Ma allora è successo davvero! C’era qualcosa dietro… Eppure non se è saputo più nulla!
Qui, a mio parere, la singolarità giornalistica si fa romanzo, ci fa percorrere tutti gli spazi della memoria che avevamo lasciati vuoti, in attesa di conferme. Vi ricordate il titolo di un articolo a tutta pagina de La Repubblica del 27 luglio 2003, dove spiccava: “Messico, il segreto della frontiera: trecento donne uccise nel deserto: il mistero delle operaie, giovani, povere e belle, violentate e assassinate dal 1993 ad oggi?” E le ipotesi: “Narcotraffico, Militari Americani, Trafficanti di organi”? Ricordate i “Sacrifici voodoo sul Tamigi, retata di nigeriani a Londra”, sempre su La Repubblica del 30 luglio 2003? E “New York, i riti del demonio” a firma di Gianni Riotta, del 2 agosto 1989?
Le date, dalla più recente alla più remota, sono il percorso che faremo per aggiornare questa drammatica catena di eventi del passato recente più cupo e spietato, che comunque vada a finire, che ovunque vada a parare, ci insegna a diffidare delle notiziole insignificanti o scandalistiche che crediamo verranno archiviate come tali: la nostra lucidità dovrebbe portarci, giornalisticamente parlando, a una valutazione del presente come possibile campo di investigazioni del futuro.
Ma questo è un altro discorso. Veniamo al romanzo. Jimi Hendrix, anzitutto: con la sua mano sinistra ci ha presentato un mondo che veleggiava ben oltre i confini del nostro onnicomprensivo occidente, con fulminei sprazzi di spiagge inviolate e religioni benevole, dio tra gli dei, che ti accompagnano con una canna e ti dicono che questo è buono e giusto. Un dio rassicurante, che non giudica la disperazione intellettuale e lo smarrimento, che fa della catarsi psichica l’apice della conoscenza…
Gli accordi “assoluti” di Hendrix volavano alti sopra le nostre province, svettavano oltre i nostri campanili, si intrufolavano nella cucina di una mamma che preparava il ragù mentre la domenica sportiva accompagnava le nostre domeniche da centinaia di radioline che filtravano dalle finestre aperte. Hendrix era la liberazione, il nostro 25 aprile, in bilico tra il partigiano ancora sul punto di combattere e la Jamaica, così bella e perduta… e così spietata.
Tra la Jamaica, Cuba, la Nigeria, e le varie isole gemelle sparse per il mondo, compreso quelle del nostro Mediterraneo, si compiono ancora oggi riti spaventosamente efferati e sanguinari, che vanno sotto la generica e tenebrosa definizione di “Regla del palo Mayombe”. E su questo indagheremo. E’ il “Nganga, prenda o caldero”, a sfamare la bestia… Avrete già immaginato di cosa si nutra questo “caldero”, che paradossalmente mi ricorda certe fiabe nordiche, come Hansel e Gretel. Sfamare. Dare da mangiare. Roba fresca, sangue, carne, possibilmente tenera, carne di bambini, di innocenti, di vittime tout-court.
Religioni e riti che non lasciano spazio alla conversione: una volta abbracciati, come carnefici o martiri inconsapevoli, la penna dello scrittore scivola inesorabilmente verso un copione già noto. Particolarmente in questo romanzo. Così come esprimendo un desiderio, l’innocente speranza affidata a una stella cadente, ma pronunciato nel posto sbagliato e con l’amuleto sbagliato vi ritroverete in una moderna trasposizione culturale più efficace di quella consunta della lampada di Aladino.
Esprimere un desiderio, in quel momento il più grande, che sa di immediato e categorico, come una birra ghiacciata in certi momenti o passare tutti gli esami con il massimo dei voti, o suonare da dio come lui per una sera, dannazione, suonare come Jimi Hendrix. E “sentire” la mutazione. Già le labbra sono quasi tumefatte, i capelli stranamente ribelli al pettine e la faccia sembra la conseguenza persino ridicola di un eccesso di lampada abbronzante. Il chitarrista bravo, bravino, quella sera farà furore, sarà “lui” – ma LUI, lo spirito roso da un’invidia cieca e definitiva per ciò che tu puoi ancora dimostrare è lì, nella sala. E ti guarda. Ciò che hai ottenuto esprimendo un piccolo desiderio, se vogliamo neanche troppo ambizioso, si è “incarnato”, come nelle migliori religioni.
“E’ un negro. Vestito come quando l’hanno rinchiuso nella bara. Una giacca scura impolverata. Ha i capelli con le treccioline, come i rasta. E ti odia”. La mano sinistra di dio, di Hendrix, che si incarna e chiede vendetta, circumnavigherà (e detta così è grottesco) il mondo dalle Antille alla Gran Bretagna, da Ibiza alla Nigeria, sarà il collante inaspettato di delitti spaventosi, dalla ritualità precisa e dettagliata e dalla triste, monotona casistica…
E’ un romanzo, ma anche la testimonianza di una ricerca, di una curiosità intellettuale, non un pretesto giornalistico. Vi troveranno posto anche Muzio, sì, quello che ci rimise la mano, ma quella destra, e l’uomo spazzatura, in fase avanzata di decomposizione, che accompagna i turisti per l’isola, Esmeralda Conchito, la regina della notte, la dea oscura, il Biondo, tanti altri. Nonché il Nkisi, la protezione dell’amuleto di Hanibal Chupete, che ha il potere di proteggere, liberare dal male, e “guarire” anche dall’omosessualità più ostinata. Africa, Spagna, Caraibi, musica, band, la passione della notte, e provare a legare gli eventi, e racchiuderli all’interno di un cerchio magico da guardare dall’alto. Attenti solo a non perdere l’equilibrio…