di Giuseppe Genna
Non si sa dire se sia ironia, degrado mentale o soltanto cinismo disumano a parlare per bocca liftata della jena sola al comando, che rubizza sentenzia sulla fase più tragica della guerra in cui ha spinto il Paese mentre taglia la fetta della torta di merda insieme all’allenatore e ai miliardari di sua proprietà. Silvio Berlusconi è festante per tutto: tra una settimana vola da Bush jr, e quindi è còlto dall’euforia del maggiordomo quando viene complimentato dal padrone; inoltre ha vinto lo scudetto, e si gode la ribalta politico/sportiva, uno degli esiti più comici della sua strategia di controllo sociale. Vuole il caso che muoia un soldato, a migliaia chilometri di lì, uno che non prende i miliardi di Shevchenko, accanto a cui il Padrone gongola, ma che è carne in qualche modo predestinata da Lui alla tragica e ovvia morte a cui il milite è andato incontro. Privo di pudore, tra champagne e fuochi artificiali quanto la sua faccia, il premier sentenzia: che i soldati nostri siano orgogliosi. Il cielo di Milano fibrilla di petardi, il cielo iraqeno di colpi di mortaio. Ma per Lui è tutto uguale, un unico campo di letame sopra cui il magnate sogna di fare il magnaccia – per portarsi a casa briciole di servile potere.
L’uomo lo conosciamo, ma dobbiamo fare i conti con un’amara verità: a poco serve conoscerlo, perché ditemi se questo è un uomo. In una settimana, questo sciacallo dell’etere e del potere esecutivo ha inanellato contraddizioni sofoclee, violazioni al galateo istituzionale, strafottimenti al sistema democratico e, per finire degnamente con l’apice domenicale, insulti a uno che in pratica ha ucciso con le sue contorsioni per evitare i limiti costituzionali. Il non-uomo in questione, Silvio Berlusconi, ha evitato per tutta la settimana di prendere il coraggio a due mani e di presentarsi in Parlamento, a rispondere al question time, una pratica vitale per una democrazia e alla quale, volenti o nolenti, perfino i signori Bush jr e Blair si sono sottoposti. Il nostro premier ha addotto di tutto, in spregio violentissimo alla pratica repubblicana, giungendo al risultato sorprendente di fare perdere la pazienza a quello che siede sullo scranno più alto di Montecitorio e che, avendo egli l’energia di uno yogurt magro, non pensavamo disponesse di staffe da perdere. Bisogna avere coraggio per essere scoraggiati: altro inatteso traguardo che Berlusconi ha fatto tagliare all’insospettabile Pierferdinando Casini. Se perfino la terza carica dello Stato, che proviene dalla coalizione dello stesso tycoon, grida allo scandalo – beh, significa che siamo alla frutta.
Invece Berlusconi non è mai alla frutta, è sempre all’antipasto del pranzo successivo. Nessuno si sarebbe mai atteso un atteggiamento irriguardoso come quello che ha sfoderato domenica. Nel momento di massima crisi bellica, nelle drammatiche ore che fanno sembrare i trascorsi del Check Point Pasta una vacanza alle Maldive, Silvio Berlusconi scopre di avere inviato 2.700 uomini in zona di guerra pesante senza il permesso di farla, la guerra. E mentre uno dei caporali ivi spediti sta tirando le cuoia, il che è il minimo che chiunque possa attendersi dal pantano in cui Berlusconi medesimo ha inviato suddetto militare, che cosa fa il premier? Convoca un gabinetto di crisi? E’ a consulto con chi, in periodo di guerra, è costretto ad avocare a sé tutti i poteri (cioè il presidente della Repubblica)? Si chiude in riunione plenaria con i ministri Martino e Frattini? Nulla di tutto ciò. Lui è a Milano, alla festa del Castello Sforzesco in onore del Milan neoscudettato, a tagliare la fetta di torta insieme a Carlo Ancelotti, il pezzo pregiato della sua attuale salumeria, e Adriano Galliani, il suo antennista di fiducia. Il che già sarebbe grave, in un momento in cui il calcio chiede al governo del premier Berlusconi un decreto che foraggi le casse delle società sportive, stremate dai voli pindarici e finanziari degli idioti che operano in quel bell’ambiente. E ancora più grave sarebbe nel momento in cui il circo calcistico si scopre essere viziato dai soliti ignoti scommettitori. Ma queste sono bazzecole, a confronto della realtà in cui versa l’Italia. Il fatto è che il Paese si scopre all’improvviso in guerra e lui, il premier, quel Paese, non è che ancora lo possiede: lo governa soltanto. Senza scomporsi, il borderline di Palazzo Chigi unisce l’utile al dilettevole: rilascia la dichiarazione sui soldati italiani mentre si stappa lo spumante.
Il caporale è morto qualche ora dopo.
Siccome la vita del non-uomo è una fiction, e nella fiction, perfino in Beautiful, il momento del lutto viene vissuto secondo le ipocrite leggi del dolore non provato per davvero, ci aspettiamo di osservare in digitale terrestre i lineamenti tirati e compunti del brianzolo governativo, al rientro della salma del caporale. Tanto lo scudetto vinto, tra qualche giorno, sarà acqua passata e bisognerà pensare alle elezioni alle porte o, tutt’al più, alla prossima Champion League.