di Valerio Evangelisti
Ci siamo già soffermati sull’udienza del processo Battisti di mercoledì 12 maggio e sulla singolare interpretazione che ne hanno fornito i media italiani (e alcuni media francesi, in testa un Le Monde folgorato da pentitite acuta): quello di una pronuncia dei magistrati parigini a favore dell’estradizione. Solo un misto di cialtroneria, di ignoranza, di pressappochismo e di malafede poteva indurre a un simile fraintendimento. Tutti i presenti hanno potuto vedere i corrispondenti italiani da Parigi precipitarsi fuori dall’aula non appena il “Parquet” (vale a dire “la procura”, il Pubblico Ministero) ha concluso il proprio atto d’accusa. Aveva reclamato l’estradizione, e tanto bastava. A che pro ascoltare la difesa?
Per di più, da perfetti coglioni, alcuni di costoro credevano che il “Parquet” fosse il tribunale. E giù comunicati e titoli uno più delirante dell’altro. Del resto si era fatta sera, ed era tempo di cenare. A che pro tornare in aula? Male che andasse, era sempre possibile copiare l’articolo on line di Le Monde, delle ore 20,15 (redatto, cioè, a metà seduta), che dava Battisti già sulla via dell’estradizione.
Così i corrispondenti da Parigi della stampa italiana (ma come li selezionano? In proporzione inversa al QI?) si sono persi il più bello. Vale a dire lo smantellamento completo, a tratti fin troppo facile, del castello accusatorio che ha gravato finora su Cesare Battisti. E, in via subordinata, l’ingresso di chi lo giudicò sul banco degli imputati.
Ma procediamo con ordine.
La seduta è il 12. Il giorno 11 l’ambasciata d’Italia manda la propria, ennesima memoria. Lo aveva già fatto alla vigilia dell’udienza del 7 aprile, riuscendo a farla spostare di oltre un mese. Questa volta il tentativo non le riesce. Il fascicolo inviato la volta precedente era carta straccia. Delle sue circa 800 pagine, solo una quindicina contenevano argomenti. Il resto erano fotocopie di comuni atti processuali già noti alla magistratura francese. Tornerò tra breve su quelle paginette introduttive.
Per capire la balordaggine delle nostre agenzie e della nostra stampa, bisogna tenere presente un dato. In Francia c’è separazione delle carriere tra procuratori e giudici. Ciò significa che i primi sono diretti portaparola del ministero della Giustizia. Asserire, quindi, che la procura (il “Parquet”) si è pronunciata a favore dell’estradizione confina con la tautologia. Cos’altro dovrebbe fare? E’ il ministero che, su pressione italiana, ha fatto arrestare Cesare Battisti e vuole che sia estradato.
E’ ben vero che il PM francese aggiunge del suo: oltre a riprendere le tesi già formulate in Italia dal procuratore Spataro (non vi sarebbe stata contumacia, dato che Battisti fu difeso in ogni fase del processo dal suo avvocato Giuseppe Pelazza; il rigetto dell’estradizione da parte dei giudici francesi, nel 1991, sarebbe stato basato su atti istruttori e non sulla sentenza definitiva di condanna, emessa lo stesso anno e confermata nel 1993), asserisce che se Battisti fosse estradato, e potesse dimostrare che la difesa fu a suo tempo insufficiente, avrebbe diritto a essere processato di nuovo.
Si permette anche una battuta volgare. Battisti è in Francia “solo” dal 1991. Prima è stato altrove. Non è che la Francia gli piaccia particolarmente: può dunque anche andarsene.
Cesare Battisti, che ha a fianco la figlia maggiore, replica che, fuori della Francia, l’unica sua meta turistica possibile sarebbe il carcere a vita.
E’ a questo punto che la maggior parte dei giornalisti lascia l’aula, diretta ai telefoni o ai ristoranti in cui ha prenotato la cena.
Peccato. E’ il momento dei difensori. Tra questi, un uomo anziano, vestito come un avvocato d’altri tempi, con tanto di toga e cordone dorato. Si tratta di Giuseppe Pelazza, venuto da Milano. Ogni sua parola è un colpo di maglio sull’impianto accusatorio. Spiega che:
– La legge italiana non permette alcuna ripetizione del processo. Del resto si sono perdute da tempo le tracce del pentito Mutti, unico accusatore. Le altre testimonianze indirette si contraddicevano l’una con l’altra.
– In occasione del processo d’appello del 1986 che condannò Battisti all’ergastolo, questi non ebbe difensori. Il mandato di Pelazza era scaduto un anno prima. Non aveva alcuna notizia del suo ex difeso, che d’altra parte non rappresentava più.
– Al momento della condanna definitiva in Cassazione, nel 1991, i magistrati italiani si guardarono bene dal trasmettere gli atti ai colleghi francesi chiamati a pronunciarsi sulla richiesta di estradizione. Lo fecero a ragion veduta: una giurisprudenza francese costante nel tempo vieta di estradare chi, giudicato in contumacia, sia condannato all’ergastolo. Ciò non impedì ai giudici francesi di entrare in possesso della sentenza, che anzi allegarono agli atti.
– L’ulteriore pronuncia della Cassazione, nel 1993, fu, per quanto riguardava Cesare Battisti, identica a quella del ’91.
A questo punto l’avvocato Irène Terrel, altro difensore di Battisti, richiama la giurisprudenza anch’essa costante che lega la natura di un atto ai contenuti, e non alla forma. Irène Terrel dimostra che nel 1993 non si produsse alcun fatto nuovo. Revocare il diniego dell’estradizione sarebbe pronunciarsi su materia già giudicata, violando uno dei principi base del diritto universale.
E, già che c’è, l’avvocato Terrel si sfoga sulle quindici paginette messe assieme dall’Ambasciata italiana, In poco spazio questa, per conto del ministro Castelli, non solo trova il tempo di accusare i difensori di Battisti di inganno ai danni della corte, ma fa candidamente riferimento alla corrispondenza privata e sigillata tra Guido Pelazza e il suo difeso (in cui il primo informava il secondo della condanna del ’91).
A questo punto si alza un personaggio del tutto inatteso, l’ex presidente dell’ordine parigino degli avvocati, esperto di diritto tra i più noti e rispettati. Appoggia la denuncia presentata dai legali francesi di Battisti contro l’ignoto estensore della memoria del 6 aprile e contro l’ambasciata d’Italia che l’ha inoltrata, per ingiurie e per intercettazione illegale di corrispondenza.
E’ un vero peccato che, in quel momento, molti corrispondenti italiani da Parigi siano intenti a digerire, a suon di rutti, l’andouillette appena ingurgitata. Perché la sensazione che prevale in aula è che, sul piano giuridico, la battaglia sia stata largamente vinta. Il PM è scuro in viso (chissà se, per empatia, simile malumore non abbia raggiunto anche il procuratore Armando Spataro). Se la sentenza fosse sfavorevole, vorrebbe dire che le pressioni governative sul potere giudiziario avrebbero avuto la meglio. In Italia ciò può essere ammissibile, altrove un po’ meno. La decisione è attesa per il 30 giugno.
Il giudizio sui processi tenuti in Italia nel periodo dell’ “emergenza” lo aveva fornito, inconsapevolmente, lo stesso Cesare Battisti, nel corso della seduta. Circa i motivi che l’avevano indotto a evadere dal carcere, aveva risposto: “Non avevo più fiducia nella giustizia italiana. Avevano appena arrestato il mio avvocato difensore.”
L’arresto dell’avvocato difensore era raccomandato dai principali manuali dell’Inquisizione.