di Giuseppe Genna
[Questa è la versione integrale della prefazione, per motivi di spazio ridotta su cartaceo, al romanzo di Fredric Brown appena rieditato in Urania Collezione]
C’è un momento assurdo che chiunque ha vissuto. Questo: siete su un treno che è fermo, siete incantati, vedete le carrozze di un treno parallelo al vostro — a un certo punto, qualcosa si muove. Impossibile da capire: è il vostro convoglio che si sta muovendo oppure è l’altro? Sconcerto iniziale, poi lo sguardo prende le misure e permette di uscire da quella sospensione improbabile, in cui nemmeno si riesce a dire quanto non si sta capendo, quanto ci si sente catapultati in una fluttuazione di spazio e di tempo.
Sembra banale, ma non lo è poi così tanto, se in forza di questo esempio perfino Einstein si appoggia per spiegare la sua teoria della relatività e riformare la Scienza. Eppure si tratta comunque di un evento quotidiano. Una prospettiva fondata su un evento quotidiano va a stravolgere quello che sappiamo dell’universo: ci siamo abituati a questo scandalo, lo abbiamo mitologizzato così tante volte (arrivando perfino a fare cadere in testa a uno scienziato un’innocua mela) da avere perduto sensibilità rispetto a questi eventi ordinari e straordinari al tempo stesso. Eppure sarebbe ingiusto affermare che questa sensibilità è andata perduta: ci pensano gli scrittori e i lettori di fantascienza a tenere vivo quel fuoco che brucia e divora il mondo irradiando stupore e spalancando ovunque e in ogni momento l’assurdo. Penetrare nell’assurdo, fare esperienza di una logica che non è completamente la nostra usuale ma è comunque da noi riconoscibile: questa è la fantascienza, questa è la letteratura. Ed è il motivo preciso per cui Fredric Brown è uno dei padri a cui volere bene e le cui parole vanno divorate: perché accende in noi il fuoco del mistero, dell’assurdo, del parallelo. Se desiderate proprio credere che il mondo in cui vivete sia l’unico mondo possibile e sia vero in assoluto, siete liberi di farlo, ma devo avvisarvi: chiudete immediatamente il libro che state per leggere, buttatelo via e scappate. Sta per spalancarsi sotto i vostri occhi un universo abissalmente parallelo e tuttavia molto credibile — addirittura probabile.
La mente visionaria, irresistibilmente umorale e umoristica che ha partorito l’infinità di universi — questo genio che mette fuori sesto in continuazione e lo spazio e il tempo, è Fredric Brown, il Douglas Adams degli anni Cinquanta: anzi, il Douglas Adams di sempre. E’ assolutamente impensabile una Guida galattica per autostoppisti senza il patrocinio e il lavoro di esplorazione che Fred Brown compì proprio nel capolavoro che tenete adesso in mano: Assurdo Universo è l’inizio, la fine e il mezzo della moderna letteratura che gioca, come sempre ha fatto la letteratura, a dissestare la realtà e a inserirla in un infinito frattale e slogatissimo di storie ricorrenti e sempre diverse. Un genio, certo, Brown: e tuttavia consapevole di non esserlo, uno che ha sempre usato l’ironia per prendere le distanze da quel lavorio allucinante che è “convincere gli altri che sei un genio”. E come si fa a prendere le distanze da una simile opportunità? Fred Brown insegna la ricetta: si inventano storie. L’infinitudine delle storie è precisamente la riduzione di quanto narcisistico e personale può metterci dentro lo scrittore. Non è dunque un caso se, come testimoniava sua moglie, questo che è uno dei pesi massimi della letteratura fantascientifica del novecento odiasse scrivere. Il che non toglie che l’autore di Assurdo universo fosse un autentico Indiana Jones del linguaggio: sfido chiunque a inventarsi un titolo come Nothing Sirius e a non essere degno di un’universale Accademia della Crusca. Però è certo che questo aspetto stilistico è, secondo la grande lezione della letteratura di genere, enormemente minoritario rispetto all’invenzione delle strutture, dei ritmi della suspence, delle allucinazioni visionarie che quintessenziano il racconto. Raccontare è un contagio: la storia prescinde totalmente dalla lingua e dagli stili, come è chiaro a qualunque bambino anche incapace di intendere e volere, se Cappuccetto Rosso diventa narrabile a prescindere dall’effettività storica e dalla plausibilità del personaggio (per non dire del fatto che chiunque di noi può raccontare quella storia con qualunque lingua, con qualunque stile, in qualunque periodo della storia umana). La fascinazione infinita del romanzo di Fredric Brown è dunque questa: è il racconto della storia come trucco mai svelabile e sempre sorprendente, l’atto infinitamente piacevole e misterioso di un prestigiatore che non cattureremo mai con etichette ed apparati scientifici. L’unico in grado di svelare tutti i trucchi è lo scrittore medesimo: trucco supremo, quello che utilizza la totalità dei trucchi che si possono praticare. Allora, il libro diventa supremo e lo scrittore pure: è quanto accade a Fred Brown con il suo Assurdo universo.
Torniamo un passo indietro: siete in treno e non ci capite un’acca, non comprendete se si stia muovendo il vostro convoglio o quello parallelo. In questo caso, possiamo dire che voi abitate un universo (la vostra carrozza) che fa parte di una serie coerente e sistematica di universi (l’insieme delle carrozze legate a comporre il treno su cui dovrete viaggiare), ma in qualche modo avete presente l’immagine di un universo parallelo (il treno a fianco, che spiate perifericamente con lo sguardo attraverso il finestrino). Se uno dei due universi si mette in moto, ecco che tutto il sistema di riferimenti e relazioni subisce una variazione e voi siete violentemente sbalzati in mezzo al movimento degli universi. Proprio così: ci state in mezzo, non sapete più quale sia reale, quale stia veramente muovendosi, non riconoscete più la concretezza della situazione perché siete minacciosamente esclusi dal gioco del vero e del falso. Tutto diventa relativo: tutto, tranne il vostro sguardo, che vede e sa che tutto è relativo. E’ questa, precisamente, l’attività metafisica che veicola ogni atto letterario: il mondo in cui credete di vivere non è assoluto, e nel muoversi infinitamente sovrapposto di universi paralleli potete contare soltanto sul vostro sguardo straniato. Questa effettiva realtà, che comprende il moto assurdo e impazzito di qualunque realtà manifesta o immanifesta, è il segreto di ogni autentica religione e di ogni verace letteratura: è la materia di cui sono fatti i sogni, che non tocca minimamente chi sogna, ridotto a sguardo che vede gli universi onirici sorgere, svilupparsi e spegnersi in vista di un nuovo cambio di universo — per approdare al sogno che chiamiamo veglia.
Questo processo, che è tutta la letteratura e quella fantascientifica in particolare, vive di un trucco specifico, che si chiama ucronia.
L’ucronia è lo slogamento del tempo e dello spazio. Cappuccetto Rosso vive nel nostro mondo: ci sono gli alberi, c’è la merenda e c’è la nonna. A un dato momento, ci si accorge che il mondo si sloga: esiste un lupo che parla. Non siamo più nel mondo che intendevamo come unico — siamo in un universo parallelo. L’ucronia è anche uno slogamento dello spazio: in Arc d’X, capolavoro di sf avantpop, c’è uno che infila la testa nel water del bagno di casa sua, viene risucchiato, entra in un mondo parallelo, spalancatosi attraverso una toilette. Dal primo romanzo fantastico della storia occidentale, la Storia vera di Luciano (che è anche il primo romanzo tout court della storia occidentale), le cose vanno così: “Ho visto cose che voi umani…”. Perfino negli scritti sacri andava così: aprite le Upanishad e osserverete demoni e dèi in forme fantastiche, che intrattengono rapporti domestici e assurdi. Sebbene il maestro dell’ucronia sia uno dei feticci degli amanti della fantascienza, cioè Philip k. Dick, nessuno nel Novecento ha utilizzato in maniera così affabulatoria l’ucronia come Fredric Brown in Assurdo universo. Questo romanzo è, per la fantascienza, quello che Moby Dick è per la letteratura americana non di genere: un riassunto fantastico (e difficilissimo da superare) di tutto quanto si era inventato finora.
L’ucronia è il perno di tutto il libro di Brown. Concedo ai lettori soltanto una particola di trama: Keith Winston, redattore capo di una rivista SF, viene proiettato in universo parallelo, all’apparenza identico a quello da cui proviene, per colpa del crollo sulla Terra del primo razzo messo a punto per allunare. Una tragedia che la CNN ci racconterebbe con tutti i crismi della pappa emotiva con cui ha diffuso sul pianeta ogni tragedia considerata tale, dalle Torri allo Shuttle. Vuole il caso, però, che la CNN non fa letteratura, mentre la tragedia è una categoria letteraria: il che già definisce il vantaggio di uno scrittore, Fredric Brown, su un’emittente televisiva, supposta bibbia informativa del nostro presente. Infatti, dal momento in cui Keith si trova catapultato nell’universo parallelo (in cui spuntano “ragazze lunari” che torneranno ad apparire nella grande narrativa italiana contemporanea, e precisamente ne Lo spazio sfinito di Tommaso Pincio) incomincia una vicenda che nessun servizio giornalistico, anche il più esasperatamente retorico e piagnone, potrà mai raccontare. In quel luogo si pone il momento fontale della letteratura: e proprio lì va a installarsi, armi e bagagli in mano, il nostro Brown.
Si badi bene: il protagonista di Assurdo universo è egli stesso un operatore della fantascienza. Dirige la rivista Storie sorprendenti. Si trova a vivere sul serio una fantascienza: e, ovviamente, pur essendo lui attrezzato rispetto all’immaginario sconvolgente SF, è travolto da quello che sta seriamente e materialmente vivendo. Questo evidenzia non soltanto l’enorme consapevolezza letteraria di Fred Brown, che con questo gesto mette fuori gioco tutta la tradizione della narrazione scritta; in realtà, quello che fa l’autore americano è molto più profondo. Il giochino cerebrale di prendere uno scrittore come protagonista del libro potrebbe diventare sterile e algidissimo (in Italia ne abbiamo un esempio lampante con certo Calvino fintamente fantascientifico): poiché ci troveremmo di fronte all’icona di un videogioco, spostabile con movimenti opportuni e chiusi nel limite del disco su cui i pixel sono stati inseriti. Cioè: qualcuno ha già giocato per noi, qualcuno ha già predefinito il limite del gioco. Non accade che in Final Fantasy si entri nel supermercato di viale Sabotino a Milano: i creatori del gioco non l’hanno previsto. Ciò che fa Fredric Brown in Assurdo universo è, come dico, più profondo: fa vivere una storia come se non fosse già stata scritta, già limitata e pensata.
E poiché Brown è un genio autentico, ci mette sotto gli occhi la spiegazione del trucco che usa: ci dà la prova della sua mistificazione, mistificandola all’infinito. Ecco la prova: “Di qualunque cosa si tratti, non la conosciamo. Ma tu conosci i particolari, lo schema dei circuiti? Non rispondere a voce alta, basta il pensiero, è un sistema più rapido e il tempo conta… Cerca di ricordare… sì, hai visto gli schemi e i valori… l’equazione. Tu non li conosci coscientemente, ma essi sono nel tuo subconscio, credo che potrei farli venire alla luce sottoponendoti a una leggera ipnosi. Accetti di sottoporti all’esperimento?”. Non esiste nel Novecento una definizione letteraria più precisa di ciò che fa la letteratura: essa ha fornito i particolari della storia, ce li siamo dimenticati, e la letteratura è la “leggera ipnosi” a cui lo scrittore ci sottopone, senza darci assolutamente la garanzia che ci ricorderemo quello che intendiamo ricordare: nel frattempo, avremo vissuto in ipnosi un ‘viaggio’, un’esperienza reale di sogno, soltanto apparentemente guidato, in realtà tutto nostro, poiché ogni esercizio di ipnosi è diverso dall’altro.
Accettate di sottoporvi all’esperimento?