di Valerio Evangelisti (da L’Unità, 12 maggio 2004)
Ogni nuovo romanzo di Joe R. Lansdale è sempre una festa, e questo La sottile linea scura (Einaudi Stile Libero, pp. 306, € 14,00) non fa eccezione. Inoltre presenta una curiosa particolarità: è quasi una variazione sul tema, scritta a due anni di distanza, del suo In fondo alla palude, mandato in libreria da Fanucci proprio in questi giorni. Tanto che passare da un romanzo all’altro, non per rilevare le similitudini ma per prolungarne le atmosfere, diventa quasi d’obbligo.
Lansdale torna infatti, con La sottile linea scura, al Texas degli anni Cinquanta in cui trascorse la sua infanzia, e ancora una volta è con gli occhi di un ragazzino, il tredicenne Stanley Mitchell, che seguiamo la vicenda. Il titolo stesso ci annuncia che Stanley non l’attraverserà intatto, ma ne ricaverà l’ingresso nell’età matura. E ciò per via della raggiunta consapevolezza che il suo Texas, dall’apparenza placida e immobile nel tempo, è percorso da tensioni razziali e sociali, odi, drammi individuali dall’epilogo tragico.
Tutto nasce per Stanley, figlio del gestore di un drive-in (luogo-culto per Lansdale, già al centro del suo horror La notte del drive-in), dal ritrovamento di una cassetta contenente la corrispondenza tra due amanti, contrassegnati solo da un’iniziale. La curiosità del ragazzo lo spinge a indagare, con l’aiuto del proiezionista di colore del cinema: personaggio incline alla burla e alla filosofia, capace di cogliere e di esporre, con leggerezza sotto cui freme l’indignazione, le profonde ingiustizie del mondo circostante.
L’indagine, che nulla ha di poliziesco, metterà alla luce tutta una serie di delitti e un clima di violenza sulle prime difficile da percepire. E quando si giungerà alla soluzione, la si scoprirà incrostata in una delle tante forme di fanatismo che permeano sia la società texana che forse l’intera America. Col che Lansdale, capace di passare con disinvoltura dal western all’horror, dalla riscrittura di Tarzan e Batman al noir (con la bella serie delle avventure dei detective dilettanti Hap Collins e Leonard Pine, di cui prima Bompiani e poi Stile Libero ci hanno offerto qualche episodio), si conferma a sorpresa uno degli scrittori più “impegnati”, come si usava dire un tempo, della scena letteraria statunitense. Certo fa di tutto per non darlo a vedere, e questa è forse una delle sue maggiori virtù.
Perché parlavo di “festa”, a proposito dell’autore texano? Perché un orecchio minimamente sensibile non può che rimanere incantato dalla scorrevolezza estrema delle sue pagine e soprattutto dei suoi dialoghi, di una semplicità apparente che nasconde perizia e lavoro stilistico (qui si sente lo sceneggiatore di fumetti, quale Lansdale è, fra tante altre cose). Poi dalla finezza delle psicologie, a partire da quella del giovane Stanley: ragazzino tredicenne nei pensieri e nelle battute, nessuna delle quali rivela l’artificio. La mente corre a scrittori tanto diversi tra loro quali Richard Wright o Stephen King, senza trascurare il (quasi) dimenticato Cronin di Anni verdi. C’è un enorme professionismo in tutto questo; o, per meglio dire, un artigianato che raggiunge vette artistiche.
Quali le differenze tra questo romanzo e il precedente In fondo alla palude? Be’, in La sottile linea scura Lonsdale rinuncia anche alle ultime tinte horror, rimaste affidate a larve e fantasmi che scaturiscono dalla fantasia, ma che hanno anche valore simbolico rispetto ai fatti atroci messi pian piano allo scoperto. Poi la polemica politico-sociale, latente nell’altro romanzo, si fa esplicita, a volte persino troppo (Buster, il proiezionista nero, qualche volta eccede in verbosità e lucidità).
Resta e si rafforza l’interesse estremo dell’universo di Lansdale, capace come pochi altri scrittori tendenti al nero di capire quanto un sole cocente possa accentuare e scurire le ombre.