di Silvana Morasso
[Silvana Morasso, nella foto a destra, è nata a Cuneo nel 1966 e attualmente svolge mansioni di pubblicista, essendosi laureata all’Università di Genova con una tesi di linguistica e stilistica. Ha collaborato con ‘Il Secolo XIX’, ‘La Stampa’ e ‘I Quaderni del Circolo Filologico’, in qualità di recensore e saggista]
“Il fuoco è fatto per raccontare, non per leggere”. Ma subito prima: “Dei tre volumi che mi sono portato dietro, ancora non ho letto una pagina. Pensavo di avere più tempo, invece sono sempre in giro, fa buio presto e la luce della fiamma che rimbalza tra le righe mi dà il mal di mare”. Al centro del romanzo di Wu Ming 2, Guerra agli umani, si pone una dichiarazione di poetica assai generale, che rimanda alla fondazione del romanzo in epoca Romantica, e affronta il tema del conflitto tra natura e cultura. La lettura che vorrei proporre di questo corposo romanzo, che unisce moltissimi tra i generi usuali del moderno e del contemporaneo, privilegia il piano formale su cui Wu Ming 2 risolve l’antica quaestio del rapporto tra natura e cultura. Si tratta di una lettura formalista, che tuttavia è incentrata sul tema politico del romanzo, esplicitato fino dal titolo: chi, se non la natura al di fuori dell’uomo, può fare Guerra agli umani?
Ingaggiando una molteplicità di generi narrativi, Wu Ming 2 sortisce in un’operazione che il contemporaneo stenta usualmente a portare a termine con successo. Si intenda che in Guerra agli umani la disposizione di temi, toni e strutture viene mutuata dall’intera tradizione, ma non secondo le modalità del pastiche o tantomeno della contaminazione. L’ideologia del montaggio, uno dei framework privilegiati del contemporaneo, che è inclusa ormai specificamente nell’ambito del Postmoderno, presuppone di fatto un’organicità aggiunta ai materiali di recupero. Osserviamo che il montaggio, in questo senso, viene polemicamente approcciato da Wu Ming 2, autore capace di narrazione fluviale, come riciclaggio antinaturale, antiecologico. Egli infatti pare avanzare secondo ipotesi contrarie al montaggio, al recupero dell’inorganico a cui un Autore aggiunge un’anima, o supposta tale. Tacciabile di autoritarismo autoriale, una posizione demiurgica non sembra rientrare negli apparati di ideologia narrativa del secondo membro del celebre collettivo artistico. Le metafore di “irraggiamento” e “irradiazione” infittiscono la selva del testo. La complessa parabola naturalistica che governa questo bosco selvaggio, in cui gli umani penetrano per recuperare salvezza e/o comportare distruzione, presuppone un’organicità mondana, terrestre e sovraterrestre, che costringe il lettore avvertito a ricuperare categorie critiche enunciate agli esordi dell’età Romantica. Categorie che il moderno, e soprattutto il contemporaneo, hanno evitato di reinterrogare. Il punto qualificante, sotto specie formale, di Guerra agli umani è il fatto che, evitando la “contaminazione” dei generi tramite rappresentanti materiali eterogenei, esso va a costituire un’unità nuova, fuori dagli schemi di ciò che immediatamente precede il contemporaneo, specificamente l’avanguardistico. Che cos’è, in somma, questo romanzo? Un romanzo politico? Un romanzo nero? Un romanzo di formazione? Esso rappresenta una storia di fantasia, connotata secondo i momenti di tracce di verismo (o veridicità) o di surrealtà (la vena comico-grottesca è una delle chiavi principali di lettura). La storia, sembra dire Wu Ming 2, è il fondamento. Essa costituisce la natura della cultura. Sul piano della storia, quella raccontata e non letta davanti al fuoco, quella vale a dire “irraggiata” dal fuoco, natura e cultura trovano una composizione istintanea, costituendo un’unità imprescindibile, primaria e, per l’appunto, organica. Soltanto in un secondo momento, che Wu Ming 2 sembra tacciare come umano, troppo umano, avviene la divisione, la rottura dei vasi, la separazione tra il naturale e il culturale. E allora separiamo, de facto, i generi e gli stili dalla lingua primordiale che le storie parlano attraverso l’umanità e in cui l’umanità è immersa. Perciò Guerra agli umani costituisce un tentativo di immersione nell’unicum, nell’a-generico formale, nell’a-specifico che, contemplando tutti i generi, non ne privilegi uno solamente. Sarà dunque, questo romanzo, un romanzo politico, un romanzo picaresco, un romanzo di formazione (o, più propriamente di deformazione del protagonista, che compie un’inversione di rotta psicologico-esistenziale e si dà a una nuova forma), un romanzo intimista e sociale. Tuttavia esso non sarà nulla di queste specificità che vengono lasciate all’urbanità degenerante, per darsi alla macchia.
Più precisamente sarà necessario richiamare alla mente, nella lettura di questo libro, l’intiera parabola della tradizione silvestre in letteratura. In specifico, dall’ecloga e dall’elegia (qui elette rappresentanti anche degli scorci naturistici dell’epica omerica) fino alla figura del “ritiro al bosco” teorizzato da Ernst Jünger nella contemporaneità. Ricordando che il soggetto del “ritiro al bosco” è detto “anarca”, in opposizione al “Leviatano” sociale, principalmente quello che emerge dopo l’avvento della metafisica della tecnica. Tutti temi che ricorrono senza soluzione matematica, senza formula cioè, nel romanzo di Wu Ming 2. Lo stesso comico, che costituisce uno dei piani fondamentali del romanzo, sembra nascere secondo uno schema precisamente dedotto dal Romanticismo, quella che Ruskin chiama “pathetic fallacy”, non incongrua quando un dio o un semidio (sempre secondo Ruskin) è l’eroe dell’azione. Fu lo stesso Shakespeare, del resto, e precisamente in Venus and Adonis, a chiamare “solenne simpatia” quella che la natura esprime al momento del fallimento dell’opera umana, quando l’uomo è notevole o è divino. E sarà proprio un critico che molto ha riflettuto sui rapporti tra natura e cultura nel Romanticismo, cioè Northorp Frye, a illuminare la complessità dell’operazione stilistica condotta in Guerra agli umani. Il passo che qui si cita è tratto dal saggio Anatomia della critica e corrisponde, nella lettura qui data, a una perfetta descrizione dei meccanismi che presiedono alla composizione dell’opera di Wu Ming 2:
“Nel romance, in cui l’eroe è quasi un semidio, permangono le associazioni con il tramonto e la caduta delle foglie. La sospensione delle leggi naturali e la caratterizzazione delle gesta dell’eroe restringono la natura al mondo animale e vegetale. Gran parte della vita dell’eroe si svolge tra animali o, per lo meno, tra quegli animali che sono incurabilmente romantic, cavalli, cani e falconi, mentre il tipico ambiente di queste opere è la foresta. La morte o l’isolamento dell’eroe danno l’impressione di uno spirito che si libera dalla natura ed evocano uno stato d’animo che può essere ben definito elegiaco. L’elegia presenta una forma di eroismo non toccato dall’ironia. L’inevitabilità della morte di Beowulf, il tradimento nella morte di Orlando, le crudeltà che accompagnano la morte dei santi martirizzati sono più importanti, dal punto di vista emotivo, di qualsiasi complicazione ironica di hybris e hamartia. L’elegia è spesso accompagnata da un diffuso, malinconico, rassegnato senso del trascorrere del tempo, del mutamento e della sottomissione del vecchio ordine al nuovo”.
In Guerra agli umani si è dentro la polarità opposta a quella indicata da Frye, ma la materia e la forma sono le medesime. Nel romanzo di Wu Ming 2 il rapporto con la natura non è elegiaco, ed è a conferma di ciò che la tensione comica e ironica è tanto preponderante. L’eroe del romanzo non intende liberare il proprio spirito dalla natura, attraverso la morte d’eccezione, ma piuttosto vuole anonimamente morire alla vita sociale umana col fine di liberare le risorse spirituali. Se l’elegia viene riassumendosi in un atteggiamento melanconico e misoneista, è proprio il passaggio da un vecchio ordine a uno nuovo che gli eroi del romanzo tentano di abbracciare. E certo l’animale protagonista del romanzo, un cinghiale, è quanto di meno, e al tempo stesso di maggiormente, romantic si possa allestire in narrativa.
E’ perciò nel superamento dei generi e degli stili, verso un’esperienza diretta della fittissima e infinita rete delle storie, che Wu Ming 2 dirige la sua narrazione. Con una trasformazione del canone elegiaco in svuotamento dello stesso, viene praticato uno sfogo di storia, un rilascio di tensioni, corrispondente al risultato perseguito dalle mistiche pratiche dei santi nei boschi, e cioè la kenosi, lo svuotamento, il raggiungimento dello sguardo sazio di mondo ma che resta nel mondo, indifferente all’assalto del mondo ma anche all’assaltare il mondo.
Essendo questo il piano formale principe dell’opera, si comprenderà la rilevanza (non soltanto inventiva) del cartello appeso nel locale di Gaia Beltrame (si tenga presente che Gaia è il derivativo di Gea, Dea Madre planetaria, e matrona dell’idealismo ecologista), che enuncia un principio-perno: chi legge non paga. Il superamento della bipolarità natura/cultura, di cui sopra si è trattato, definisce dunque un diverso piano di conflitto, tutto etico e intraumano, che Wu Ming 2 pone al centro della sua riflessione: quello tra cultura e mercato. Il reale conflitto, perciò, è tra natura/cultura e mercato, in una tessitura di poli e di energie che fa emergere, anche soltanto dal punto di vista tematico, un nuovo genere narrativo nel nostro contemporaneo, cioè la saga dell’umano sul pianeta.