di Alberto Feoli
[docente presso l’università del Sannio]
La scoperta di una «zona abitabile» oltre alla Terra nella nostra galassia e le spedizioni su Marte riaprono la discussione sulla possibilità di altre forme di vita nell’universo
Nell’ultimo numero della rivista Science viene avanzata l’ipotesi che la nostra galassia avrebbe una «zona abitabile» oltre al nostro sistema solare. Un’équipe di astronomi australiani avrebbe identificato una precisa area della Via Lattea dove la probabilità di trovare vita extraterrestre sarebbe non trascurabile. In particolare ci sarebbe una maggiore probabilità in quella zona di trovare pianeti solidi e di media grandezza con caratteristiche simili a quelle della Terra o di Marte e quindi adatti ad ospitare la vita. Che la vita si sia lì effettivamente sviluppata è chiaramente ancora da dimostrare, ma già il fatto che sia possibile trovare nella nostra stessa galassia dei pianeti simili alla Terra, ha comunque delle forti implicazioni sul nostro ruolo nel cosmo.
Una possibile implicazione dell’esistenza di molti pianeti simili alla Terra riguarda il cosiddetto Principio Antropico introdotto ufficialmente dall’astronomo Brandon Carter nel 1974 anche se il dibattito sul posto dell’uomo nell’Universo e sul fine della creazione è chiaramente molto più antico. Il Principio Antropico nella sua versione “forte” sostiene che: «L’Universo (e quindi i parametri fondamentali da cui esso dipende) deve essere tale da ammettere la creazione di osservatori al suo interno in qualche stadio dell’evoluzione».
Questa versione del Principio Antropico si basa sull’osservazione che, variando di poco il valore di una delle costanti fondamentali della natura (carica elettrica, costante di gravitazione, rapporto fra la massa dell’elettrone e massa del protone, ecc.) oppure i valori di altre quantità caratteristiche del nostro universo o del nostro sistema solare (velocità di espansione delle galassie, età dell’universo, luminosità del sole, distanza Terra-Sole, presenza di atmosfera, strato di ozono, ecc.), non sarebbe stata possibile l’evoluzione di forme di vita basate sul carbonio come la nostra. Siccome la coincidenza che le costanti fondamentali assumano pro prio i valori che non ostacolano l’evoluzione è tanto improbabile quanto indovinare la combinazione giusta di una lotteria, si è portati a pensare che quella sequenza di numeri sia stata in qualche modo “preordinata” per il raggiungimento di uno scopo. Osserva Hawking nel suo libro Dal Big Bang ai buchi neri: «Il fatto degno di nota è che i valori di questi numeri sembrano essere stati esattamente coordinati per rendere possibile lo sviluppo della vita.»
Ma Carter fa di più. In un articolo del 1983 dimostra che, nonostante le leggi della fisica siano tali da consentire la produzione della vita, la probabilità che essa realmente si sviluppi è ancora bassissima perché l’evoluzione della specie richiederebbe l’accadere di una serie di eventi altamente improbabili. Egli connette il numero N di passi “improbabili” nell’evoluzione dell’Homo Sapiens, alla durata dell’esistenza di un sistema come quello solare in grado di ospitarlo e al tempo necessario a produrre una specie intelligente su un pianeta come la Terra. È stato stimato, infatti, che una stella come il nostro Sole può mantenere condizioni favorevoli alla vita su pianeti come la Terra solo durante l’intervallo di tempo T in cui brucia l’idrogeno, che dura circa dieci miliardi di anni.
Con un po’ di calcolo delle probabilità Carter stima che un sistema come quello solare, dopo che si sia evoluta una forma di vita intelligente, continuerà ad esistere per un tempo pari a T/(N+1). Dal dato sperimentale che la nostra evoluzione è stata completata in un intervallo di tempo di circa cinque miliardi di anni, Carter fu costretto a concludere che N=1 (o al massimo 2). In seguito, Barrow e Tipler (nel loro libro Il Principio Antropico cosmologico, recentemente tradotto anche in italiano), stimarono che l’evoluzione richiede un valore di N molto più grande che escluderebbe l’esistenza di esseri extraterrestri. La Terra sarebbe un caso più unico che raro e nell’universo esisterebbe un solo pianeta ab itato.
Portando il ragionamento di Barrow e Tipler alle sue estreme conseguenze si comprende, però, che la maggior parte dei pianeti attorno a stelle come il Sole sarebbero distrutti molto prima o appena dopo il tempo necessario all’apparizione della vita intelligente. Può la formula di Carter essere un argomento non solo contro l’esistenza di intelligenze extraterrestri, ma, in fondo, anche contro la nostra stessa esistenza? Se il calcolo di Carter è esatto, non esisterebbe nell’universo nessun pianeta abitato a meno di supporre che la Terra abbia qualche proprietà speciale rispetto al resto dell’Universo.
D’altra parte, è un fatto sperimentale che noi esistiamo e quindi ci deve essere qualcosa di cui Carter non ha tenuto conto nel suo calcolo probabilistico. Egli non ha considerato l’abbondanza della creazione. Se esistono nell’universo centomila, un milione o più pianeti abitabili, e ciò sembra oggi avvalorato dall’articolo apparso su Science, aumenta la probabilità che su almeno uno di essi i passi dell’evoluzione si siano potuti verificare tutti.
A distanza di quindici anni dall’articolo di Carter, il calcolo probabilistico, con questa nuova ipotesi, è stato eseguito per la prima volta nel dettaglio da me e dal collega Salvatore Rampone nel 1998 (quando l’indagine sui pianeti intorno ad altre stelle era ancora all’inizio) e dimostra che, persino con un numero grande N di passi evolutivi, la probabilità della vita intelligente è non trascurabile.
È un fatto sperimentale che l’evoluzione sia legata ad una serie molto lunga di passi, ciascuno dei quali avente una probabilità molto bassa di realizzarsi e Carter ha stimato che non basta che le leggi della fisica favoriscano l’avvento della vita intelligente perché essa appaia realmente. Potremmo però pensare che l’esistenza di un grande numero di pianeti come la Terra sia il trucco utilizzato dall’evoluzione per bilanciare il numero di passi improbabili.
Se l’organizzazione dell’universo secondo leggi sottende uno scopo e questo è la nascita, ad un certo punto dell’evoluzione, dell’Homo Sapiens (Principio Antropico), allora l’estensione e l’abbondanza della creazione (e quindi dei pianeti abitabili di cui parla Science) sarebbero ingredienti fondamentali per completare la strategia finalistica.