di Roberto Sturm
Ci sono libri che lasciano il segno. E’ il caso di C’è tempo (peQuod edizioni, pp. 112, € 10,00), di Andrea Scanzi, che raccoglie alcuni articoli apparsi sul settimanale Il Mucchio Selvaggio. Ritratti di personaggi, come felicemente li definisce l’autore stesso, e affreschi di vita che hanno la capacità di penetrare il personaggio più o meno famoso per entrare nella persona, di scavalcare il fatto accaduto per rimuovere le emozioni e i sentimenti che ha provocato.
Non era un compito facile, quello in cui è riuscito il trentenne autore nato ad Arezzo.
Esemplare il pezzo d’apertura del libro, dove Scanzi rende omaggio a Gaber, suo mito e, come lo definisce lui stesso, maestro di vita.
Proprio per questo, Scanzi sarebbe potuto cadere facilmente nella celebrazione e nel retorico, cosa che non è affatto accaduta.
Di Giorgio Gaber l’autore sottolinea la coerenza, la semplicità, la costante ricerca di una morale (nel senso più laico del termine), lo spiccato atteggiamento provocatorio verso una politica in cui non si riconosceva, il dubbio (quindi la ricerca continua) come filosofia di vita.
Io sono di sinistra, non della sinistra, aveva affermato Gaber.
Personaggio poliedrico e scomodo, che aveva lasciato la TV proprio nel momento di maggior successo, Gaber ha scritto, spesso insieme a Luporini, alcune delle canzoni più belle del dopoguerra. Ma il suo rifiuto di essere etichettato, il suo rifiuto di adeguarsi politicamente a una sinistra in cui non si riconosceva gli ha creato parecchi nemici. Non che Gaber se ne preoccupasse, tanto che il cantautore milanese ha continuato fino all’ultimo a lanciare i suoi strali contro una politica corrotta e troppo rinchiusa nei palazzi che per questo mal lo sopportava.
Ma in questo testo non si parla solo di Gaber. Ci sono anche Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda, Compay Segundo, Falcone e Borsellino e tanti altri meno famosi ma con storie non meno interessanti. I luoghi partono dall’Eritrea durante la seconda guerra mondiale e passano attraverso Sarnano, un piccolo paese dell’entroterra marchigiano dove il 1° aprile del 1944 i nazisti compirono uno dei loro frequenti terribili eccidi, l’America dove si muore a 13 anni per un dollaro, Carlo Giuliani e De Andre e tanti altri in uno strano mix che risulta sorprendentemente omogeneo.
Forse perché, con uno stile asciutto e leggero, con una penna che punta senza tentennamenti verso i responsabili di alcuni dei misfatti più eclatanti della nostra storia senza la paura di prendere una posizione netta, di parte (ed è questo, secondo me, che dà anima a un testo), Andrea Scanzi ci parla sempre di una cosa che spesso bella non è.
O almeno non per tutti. La vita.