di Silvana Morasso
[Silvana Morasso, nella foto a destra, è nata a Cuneo nel 1966 e attualmente svolge mansioni di pubblicista, essendosi laureata all’Università di Genova con una tesi di linguistica e stilistica. Ha collaborato con ‘Il Secolo XIX’, ‘La Stampa’ e ‘I Quaderni del Circolo Filologico’, in qualità di recensore e saggista]
Una trilogia narrativa sulla narrazione è quella che Philip Roth, eminente esponente del romanzo americano contemporaneo, ha composto a cavaliere del decennio Settanta/Ottanta, con The Ghost Writer (1979) e The Anatomy Lesson (1983), intervallati, nel 1981, con Zuckerman Unbound. Quest’ultimo titolo viene ora proposto da Einaudi nell’eccellente traduzione di Vincenzo Mantovani (Zuckerman scatenato, pagg. 182, euro 16,00), il quale ormai conosce lessico e ritmiche dell’autore di Pastorale americana quasi fossero i propri. E’ opportuno notare che l’aggettivazione del titolo (l’unbound dell’originale, reso con lo scatenato della versione italiana) non rimanda affatto, se non per ricorso a pratica dell’ironia, ad alcun vitalismo, a parte appunto l’eco ironica o, se si vuole, più propriamente comica. Esso è piuttosto legato (si perdoni il banale giuoco di parole) alle catene del Prometheus Unbound di Percy Shelley, il dramma lirico in quattro atti, nella cui prefazione l’esimio poeta annota che gli scrittori tragici greci “nell’assumere quale soggetto della loro scrittura porzioni della storia nazionale o della mitologia, hanno impiegato, nelle loro trattazioni poetiche una certa quale arbitraria discrezione”. Il che si dica della lingua utilizzata da Roth nell’esporre la propria materia mitologica, e si intenda qui il mito del solipsismo assoluto di cui lo scrittore è, nella contemporaneità, l’unico incarnante.
Philip Roth viene spesso denotato dalla cifra emotiva che emana dalla sua scrittura. Soprattutto il cinismo è di volta in volta l’obbiettivo polemico dei detrattori di Roth e, al tempo stesso, in un esercizio critico di incredulità compiaciuta, la nota distintiva che esaltano i suoi ferventi ammiratori. Lungi dall’essere un corifeo dell’illuminismo, quale i suoi ammiratori più entusiasti desidererebbero fosse, Philip Roth è più che altro un ironico aderente alla religione laica dell’ebraismo di formazione americana, un composito di distanza emotiva e adesione incondizionata alla materia della colpa e alla sua medesima contraddittorietà. In Zuckerman scatenato, tuttavia, Roth prende distanza, apparentemente, da un simile atteggiamento, che propugna l’adesione etica più che etnica. Egli infatti, mediante l’identificazione con il Prometeo scatenatodi Shelley, sembra piuttosto inerire a una tradizione di felicità e di infelicità pagana. E’ una variazione del tema della colpa, sulla cui meditazione lo scrittore, per destino, è condannato. In questo caso, il ricorso alla figura tipicamente pagana della “nemesi” è più che appropriato, poiché è il rovescio del successo il punto dolente su cui Roth indaga, indagando a proposito dello scrittore.
Il protagonista del romanzo, assoluto come assoluto deve risultare qualunque solipsista, è Nathan Zuckerman, doppio dell’autore americano e figura ormai leggendaria nel contesto della letteratura contemporanea americana. Roth è stato sempre affascinato dal tema del doppio, fino a giungere a farne un’esplicita trattazione in Operazione Shylock, dove il nucleo del “romanzesco” sprigiona proprio in terra di Israele, nel corso di un equivoco tra due Philip Roth, equivoco che non è plautino soltanto perché è shekespeariano, come indica anche in quel caso il titolo. Fatto sta che Zuckerman sembra essere la più felice delle mediazioni tra Roth e la materia stessa del suo scrivere, che è lo scrivere stesso. In Zuckerman scatenato, il protagonista, che nel corso della sua storia successiva subirà perfino un intervento alla prostata vissuto quale moncamento della caratteristica sessuale che connota i personaggi cari a Roth, lo scrittore alter ego incontra un successo improvviso e viene investito dalle conseguenze negative che ogni notorietà comporta, sia nel pubblico che nel privato. Questo prezzo pagato in fiele è un prezzo senza sconti, in cui Zuckerman (e, quindi, lo stesso Philip Roth) si gioca la questione centrale della paganità, su cui si impernia anche il poema di Shelley: la libertà. Ogni legame viene adunque avvertito, da parte di Zuckerman, quale catena e lacciuolo che lo inchiodano alla realtà, qui evidentemente in coincidenza con la nozione di “responsabilità”. E sarà la dinamica del desiderio, o meglio il reclamo di vivere senza colpe quella stessa dinamica, il target a cui Zuckerman mira, più o meno inconsapevolmente, nella sua traiettoria in forma di monologo.
Analisi della soggettività del narratore, Zuckerman scatenato è un esempio, oggi ancora assai vitale, di una metaletterarietà che non si astrae dal mondo, ma fa dello scrittore il suo simbolo di elezione.