di Carlo Roccella (trad. Francesca Valentini)
da “La Marseillaise”, domenica 4 aprile
Molti francesi e italiani che vivono in Francia si mobilitano affinché l’ex militante rivoluzionario non venga estradato: non si tratta di “complici del terrorismo”, di “vecchi combattenti” o di ingenui romantici. Noi agiamo, e votiamo, quando ce lo permettono.
Come loro, io sono un cittadino impegnato nella costruzione di un presente migliore, convinto che le motivazioni della mia opposizione a questo evento ci riguardino tutti.
Nella Francia dei benevoli cliché si conosce poco la realtà italiana relativa agli anni in cui hanno avuto luogo gli avvenimenti di cui Cesare è accusato.
Si parla di corruzione, ma non ci si immagina un potere in grado di disporre a suo piacimento di un Paese di 50 milioni d’abitanti come Jacques Médecin ha potuto disporre di Nizza.
Si parla di Mafia, ma si è lontani dal Padrino. Si riesce a immaginare un intreccio di legami che, di villaggio in villaggio e di città in città, da amministratore locale a deputato, da finanziere a magistrato, riesce a controllare la totalità delle gare d’appalto e dei finanziamenti pubblici per ben cinquant’anni?
Oppure si parla di repressione; ma si riesce a capire cosa significhino, in un Paese che il rito delle elezioni permette di chiamare democratico, una polizia e un esercito che hanno insanguinato le strade e le piazze in cui i giovani e i lavoratori gridavano la loro fame di giustizia?
Infine, si parla di terrorismo, ma cosa vi dicono questi nomi, queste date, queste cifre, queste bombe: 12 dicembre ’69 Piazza Fontana 16 morti, 88 feriti ; 2 luglio ’70 treno Freccia del Sud 9 morti 139 feriti ; 25 settembre ’70 assassinio di cinque anarchici calabresi ; 28 maggio ’74 Piazza della Loggia Brescia 8 morti 94 feriti; 4 agosto ’74 treno Italicus 12 morti 105 feriti; 2 agosto ’80 stazione di Bologna 85 morti 200 feriti, sempre bombe esplose durante i periodi di maggiore mobilitazione popolare. Senza contare le decine di giovani militanti uccisi dai fascisti e dalla polizia durante le manifestazioni, da Nord a Sud.
Non desidero opporre i morti dell’una a quelli dell’altra parte; lasciamo i martiri ai generali e ai predicatori. Le vittime del regime democristiano e dei suoi alleati non giustificano senz’altro lo sviluppo di una controffensiva armata e clandestina, ma aiutano sicuramente a comprenderlo.
Tale sviluppo, d’altro canto, non fu opera di un gruppo isolato di attivisti. Esso nacque, era immerso, in un grande movimento sociale, colmo di utopia e di ribellione creatrice: non un Quartiere Latino d’avanguardia, ma un vasto carnevale dello spirito in cui giovani operai, scioperanti, studenti, femministe, a centinaia di migliaia hanno dato vita in un decennio all’unico barlume di speranza che fu dato vivere in quegli anni, resi di piombo dall’arroganza del potere.
E’ la nostra storia, la storia di una generazione che, tra contraddizioni e illusioni, sproloqui rivoluzionari e disperazione ha finito per partorire, tra le altre cose, l’impasse politico e morale che è stata la lotta armata. Ma è anche la storia di una generazione che ha detto “no” e che ha cercato la propria dignità fin negli angoli oscuri dove si stenta a riconoscere se stessi.
Oggi Berlusconi esige l’estradizione dei militanti che la Francia aveva accolto vent’anni fa. Il rimpatrio sbrigativo di Paolo Persichetti dimostra a qual punto l’ordine nuovo di Sarkozy e compagnia sia pronto a mettersi al servizio del potere italiano.
Perché questa sollecitudine, e perché proprio adesso?
Assediato dai giudici a causa di una lunga serie di malversazioni che gli hanno permesso di raggiungere il potere, spaventato dalla possibilità che le prossime scadenze elettorali gli facciano pagare una seconda volta il prezzo dello sfrenato liberismo, minacciato da destra (perché si può andare più a destra di Berlusconi!) dal suo alleato ex-fascista Fini, Berlusconi è in cerca di un nuovo afflato.
Niente di meglio, a questo scopo, del terrorismo, capace di ottenere l’unanimità e di chiudere il becco alla sinistra, già sufficientemente timida. Di più; per evitare lo smacco di un terrorismo recente crea delle macchie e può andare fuori controllo, è più opportuno andare a cercare delle storie vecchie, e dar loro una bella spolverata, cavalcando l’emozione causata dagli attentati e l’immunità che ne deriva, da Putin a Bush. Un bel tocco di antiterrorismo: niente di meglio per conferire un rinnovato candore ai nostri uomini politici, non è vero, José Maria?
Come tocco finale, abbiate fiducia nell’impero mediatico di Berlusconi per far di Battisti un nuovo Bin Laden, e il gioco è fatto.
Non bisogna neanche dimenticare i risultati che, con questa campagna, Berlusconi si aspetta di ottenere contro il movimento italiano dei no global, che ha dimostrato negli ultimi anni di aver imparato a mobilitarsi in modo incisivo ed energico, senza per questo scivolare nelle derive in cui caddero i suoi predecessori degli anni ’70.
La sinistra italiana, e in misura ancora più marcata i suoi intellettuali, sembrano al contrario sprofondare nella palude del lealismo più spinto. E’ come se ogni personalità di sinistra, per evitare l’accusa di sostenere il terrorismo, si sentisse in dovere di unirsi al linciaggio nei confronti di Cesare Battisti, se non addirittura di rincarare la dose d’infamia e di manipolazione storica. Se ne vergogneranno, un giorno.
Dove sono le riserve che il governo francese, dai colori ormai confusi, esprimeva fino a poco tempo fa, in merito ai “cavallereschi” metodi di governo del loro vicino?
Ed ora, il risvolto francese della faccenda. Un cambiamento così repentino, rispetto agli impegni presi ai massimi livelli, non è sicuramente frutto del caso. Il fatto è che l’Italia, grazie ad uno straordinario arretramento nel campo dei diritti sociali e politici, è divenuta un modello neoliberista per numerosi Paesi europei. E ben si conosce la propensione dell’Europa ad imboccare, a livello economico e sociale, le vie più arretrate (ossia, moderne) tracciate da uno dei Paesi membri.
Lo stesso si può dire della giustizia. La creazione di uno spazio giudiziario europeo ove l’uso “arcaico” della domanda di estradizione col suo strascico di inutili e costosi ritardi non sarà più che un ricordo, è già scritta nel nostro futuro. Non ci sarà più la facoltà di lasciare un Paese le cui leggi o pratiche poliziesche siano contrarie ai diritti del cittadino, ma si verrà rinviati seduta stante alla casella di partenza senza alcuna possibilità di ricorso.
Per definizione ogni Paese europeo è una democrazia perfetta. (Che fare quando il voto lo sbalza invece verso gli estremi?)
Per estensione, lo è anche ogni Paese impegnato nella lotta contro il male (riempite pure questa parola con tutto ciò che dà fastidio ai regimi neoliberisti). Avviso a José Bové ed ai tramvieri (notori terroristi e rapitori): non è più certo che Rimini possa accogliervi.
Ecco cos’è in gioco nel caso Battisti. Capite voi stessi se ciò riguarda soltanto qualche esiliato italiano.
Del resto parecchi tra gli ostacoli legali che impedivano in piena logica l’estradizione in Italia (uso dei “pentiti” nel processo, impossibilità di ricorrere in appello dopo un processo in contumacia, diritti dell’imputato e durata della detenzione provvisoria, ecc.) fanno già parte dei progetti del governo francese. Perché dunque andare a cercare la colpa solo in casa di Berlusconi?
Ma al di là delle garanzie legali, che non dobbiamo mai considerare come delle semplici questioni formali (non dimentichiamoci che una legge, quando esiste, può essere violata o abrogata, mentre l’arbitrarietà delle “promesse presidenziali”…), si pone una questione politica. E’ la questione di quanto oggi sia legittimata la dirigenza italiana ad esigere il rimpatrio dei rifugiati.
Storicamente, non vi è simmetria tra questi rifugiati e la cricca che comanda in Italia.
I primi hanno analizzato e sezionato il loro impegno passato. Hanno riconosciuto errori e sbandamenti, quando non è stata la deriva etica e umana a condurli ad accettare la struttura mentale dei loro avversari. E’ stata realizzata una revisione totale di quegli anni. E’ stata scritta la storia.
I secondi, eredi del potere in Italia (e con loro i loro storici, giornalisti e intellettuali), non hanno nemmeno dato l’avvio ad un’analisi critica del sistema mafioso grazie al quale hanno saccheggiato le ricchezze e le speranze degli italiani. La campagna molto mediatica di “mani pulite” non è servita che a dare una ripulita alle scuderie, per lasciar emergere una nuova casta di politici maggiormente in grado d’incarnare lo stato ultraliberista e post-democratico.
Nessuno (o quasi) di costoro ha pagato per il proprio passato e chi ieri ha messo le bombe siede oggi a Montecitorio (parlamento), se non addirittura su una poltrona ministeriale.
La legittimità morale di questa campagna d’odio è ancora più dubbia. Evitando i processi, cambiando le leggi secondo la propria convenienza personale, violando esplicitamente le regole sull’audiovisivo e gli impegni presi, proteggendo ad oltranza la sua cricca, Berlusconi e il suo governo non posseggono alcuna legittimità morale per esercitare il “diritto di vendicarsi” sugli ex militanti.
La campagna antifrancese lanciata dai media di ogni risma (quasi tutti appartenenti a Berlusconi o alla sua famiglia) fa leva sulla motivazione più primordiale – non lasceremo che i francesi ci diano lezioni di democrazia! -. Persino l’impegno di personalità francesi più o meno note viene “venduto” in Italia come fosse un insulto all’orgoglio nazionale o una nuova moda parigina.
A ciò conviene rispondere che è l’estradizione richiesta da Berlusconi a costituire una grave ingerenza nell’autonomia e nelle tradizioni francesi.
La partita che si gioca attorno a questo caso è tanto una questione di umanità e solidarietà verso un uomo che ha già pagato un prezzo molto alto per le sue scelte, quanto una battaglia politica fondamentale per il futuro dei nostri diritti individuali e collettivi.
Per te, Cesare, che non conosco e che non ho letto (mi spiace, il noir non è il mio forte), ho soltanto una parola, un po’ desueta, ma che utilizzo nel più profondo dei significati: coraggio!