di Giuseppe Genna
[Narratori e poeti italiani interessano all’estero. Il Financial Times mi ha incaricato di stendere un lungo articolo sulla nostra letteratura attuale: non quella transitoriamente bestselleristica, ma quella che, a mio parere, resterà per incisività e potenza. Ho formulato alcune proposte di nomi, che la direzione dell’inserto letterario ha accettato. Ecco l’articolo, recuperabile qui in versione inglese, col vincolo però dell’abbonamento]
– books essay –
ITALIAN RENAISSANCE
So perfettamente che chiedere di fidarsi di un italiano è più improbabile che domandare a Patch Adams di dirigere le operazioni di Enduring Freedom. Non fidarsi di un italiano è bene, ma fidarsi di uno scrittore italiano è anche peggio – il che è tutto sommato irrilevante, dal momento in cui su Amazon gli scrittori italiani che risultano apprezzati dal mondo anglosassone sono passati a miglior vita da parecchio.
Fate il paragone: niente McEwan, niente Auster, niente Faber — come se degli inglesi, nel mondo, al massimo si leggesse D.H. Lawrence. Sarebbe una situazione terribile e, di fatto, è la situazione che hanno vissuto gli scrittori italiani negli ultimi anni. Fino a questo momento è andata così, ma questa stagione annuncia novità di rilievo: il 2004 si presenta come l’annus mirabilis della letteratura italiana, il nuovo Rinascimento. Quando parlo di letteratura, intendo parlare proprio di letteratura: ciò che rimane e ciò che i futuri lettori e scrittori ameranno con passione travolgente, testi che formeranno il loro immaginario. Lascio quindi fuori dalle segnalazioni i due o tre casi ‘di mercato’: che sono un comico che ha scritto un thriller à la Grisham e un’attrice che ha scritto un romanzo à la Nora Roberts — ed entrambi questi libri verranno presto tradotti in Inghilterra. Ciò che invece devo segnalare sono le occorrenze di scrittori che hanno sconvolto il panorama intellettuale italiano, rimettendo faticosamente in moto i meccanismi virtuosi della letteratura che, in Italia, si erano arrugginiti e ingrippati dai tempi di Calvino e Pasolini.
Immaginate un romanzo in cui, contemporaneamente, il nuovo Papa, che ha preso il nome di Elvis II, scioglie definitivamente la Chiesa cattolica; in cui le modelle sfilano su passerelle illuminatissime per uno stilista che è il Diavolo in persona e la sfilata consiste nell’erodere completamente il proprio corpo; e in cui si alternano personaggi quali piccoli feti che volano nel cielo strappati agli uteri dal vento, account pubblicitari che si autoduplicano per meiosi, piccole bambine in cerca dell’abbraccio più tenero e niveo della storia. Uno si chiede: è Pynchon? E’ una variazione impazzita da Body Artist di DeLillo? Esatto: è Pynchon e DeLillo assieme, ed è italiano. Lo scrittore in questione si chiama Antonio Moresco e in Italia è molto noto. Arrivato tardi alla pubblicazione, dopo essere stato rifiutato da molti editori, costituisce un’autentica leggenda critica italiana. Attualmente il suo editore è Rizzoli, che è anche proprietario del Corriere della Sera, il quotidiano più letto in Italia, e ha appena pubblicato la formidabile seconda parte di una triologia intitolata Canti del caos. Riassumerne la trama sarebbe come chiedere a Sir Ian McKellen di sintetizzare in una battuta Il Signore degli Anelli. Comunque, a grandi linee, la storia è questa: un’agenzia pubblicitaria viene chiamata a lavorare alla campagna promozionale più pazzesca dell’intera vicenda umana, essendo il cliente Dio (un personaggio molto misterioso, tipo Gola Profonda, che si nasconde dietro una maschera di porcellana e parla con voce afona e disumana) e trattandosi di promuovere la vendita del mondo. L’esplosione di paradossi è immediata: chi comprerà il mondo? Il mercato può sopportare di uscire da se stesso per acquistarsi? Che sconcertante transazione è questa? La campagna pubblicitaria ruota ossessivamente intorno a un parto: concepito per fecondazione artificiale, si attende l’avvento di un nascituro messianico, la cui nascita in diretta costituirà il cuore dell’inimmaginabile spot. Canti del caos è un capolavoro che proietta Antonio Moresco nel pantheon della letteratura italiana, iscrivendosi in una linea di superamento del postmoderno — esattamente come è molto chiaro che Pynchon supera il postmoderno. Moresco sta per essere tradotto in Germania e anche in Europa verrà percepito come uno scrittore che crea mostri letterari: un po’ come l’Esthérhazy di Harmonia Coelestis o, con ben altro stile e ambizioni, il Michel Houllebecq di Platforme. Non c’è il minimo dubbio, tuttavia, che ci troviamo di fronte a uno dei padri fondatori della nuova letteratura italiana.
Se Antonio Moresco è un po’ il Giordano Bruno della narrativa, Tommaso Pincio, che ha riscosso successo di vendite sia in Italia sia in Francia, è un autentico alieno precipitato a Roma come David Bowie in The Man Who Fell In Earth. Tommaso Pincio è uno pseudonimo, l’italianizzazione di Thomas Pynchon complicata dal fatto che il Pincio è uno dei colli di Roma. I libri di Tommaso Pincio non hanno nulla di pynchoniano e sono piuttosto romanzi walseriani e dickiani contemporanei, storie fantastiche e ucroniche che si interlacciano con il nostro presente: incantano e lasciano attoniti. Prendete l’ultimo suo romanzo, Un amore dell’altro mondo: è la storia dell’amico immaginario di Kurt Cobain, Bodha, in piena dipendenza da una Sostanza che può essere eroina ma anche altro, e che vive vendendo per corripondenza giocattoli spaziali. In un romanzo precedente, Lo spazio sfinito, Pincio raccontava di un Jack Kerouac che non è Jack Kerouac, bensì uno sfaccendato di un presente/futuro, il quale riesce a ottenere dall’agenzia spaziale Coca Cola la possibilità di un viaggio interstellare, grazie al CEO della Coca Cola Arthur Miller. In quel romanzo, i personaggi femminili principali sono due, distinti. Marilyn Monroe e Norma Jeane. Chi ama Palahniuk, ma può fare a meno dell’isteria narcisistica di Palahniuk, e chi adora Pelevin, desiderando però che Pelevin fosse un po’ meno divertito da se stesso, può stare sicuro che l’italiano Tommaso Pincio lo affascinerà.
Fino a ora ho citato scrittori che hanno poco a che fare con la trionfante letteratura di genere. Il motivo risiede nel fatto che i romanzieri italiani hanno lavorato duro per fare della letteratura di genere una letteratura universale e allegorica, e i tre esempi che sto per fare confermano questa tesi. In Italia ci sono cinque scrittori che, sotto la sigla Wu Ming (che in cinese mandarino significa ‘Senza Nome’), hanno scritto romanzi che hanno dominato le classifiche di vendita, facendo saltare completamente l’equazione per cui il mainstream non sarebbe alta letteratura. Con il loro primo grande successo, Q, hanno venduto più di duecentomila copie e sono arrivati in finale al Premio Strega, che sarebbe una specie di equivalente del Pulitzer in Italia, anche se non proprio prestigioso come il Pulitzer è in America. Storia di una cospirazione impossibile, politica e spirituale, ai tempi delle rivolte eretiche muntzeriane, Q è l’esempio più luminoso del genere storico fatto esplodere in un’allegoria totale: gli europei possono leggervi dentro la storia del propri terrorismi, la mappatura dell’espropriazione dell’umano da parte dell’esercito mediatico, una controstoria dell’idea eretica. Prendete Il nome della rosa di Umberto Eco e fatene il libro di riferimento di un vasto movimento di antagonismo sociale: è quello che i Wu Ming hanno fatto in Italia. 54, il loro ultimo romanzo, è una storia incredibile che si svolge tutta nel 1954, avente tra i protagonisti il divo Cary Grant, che deve andare a incontrare il dittatore comunista jugoslavo Tito. E’ una specie di Ellroy (ampie le citazioni da American Tabloid) che diviene storiografo lisergico — e, anche in questo caso, i Wu Ming hanno sbancato le classifiche italiane. Attivissimi in Rete (www.wumingfoundation.com è il loro sito, uno dei web di riferimento della Rete italiana), i Wu Ming hanno un’importanza fondamentale nella riforma della letteratura italiana: l’idea di un collettivo autoriale, come di una band musicale, ha scalzato di colpo il primato dello scrittore tipico italiano, molto cerebrale e ispirato, che viveva come se il Duemila fosse Versailles nel 1788. I saggi, sia politici sia di teoria della letteratura, che i Wu Ming hanno pubblicato in questi ultimi mesi per Einaudi (la casa editrice di Calvino, per intenderci) hanno rianimato la saggistica in Italia, che in precedenza era dominata da una non scrittrice come Oriana Fallaci.
Restando nella letteratura di genere, in Italia è ammirato temuto e amatissimo un romanziere che è noto col nickname di Magister, Valerio Evangelisti. Si tratta dell’autore che più vanta, tra gli scrittori seri italiani, una dimensione internazionale: in Francia è praticamente un divo e non solo nell’àmbito della SF. Valerio Evangelisti è il creatore di un serial medievale riuscitissimo, incentrato sul protagonista Nicholas Eymerich, inquisitore violento di Santa Madre Chiesa: anche qui, sembrerebbe al lettore straniero di avvicinarsi alla galassia Eco, con la differenza però che Evangelisti è uno scrittore estremamente più bravo dell’autore de Il pendolo di Foucault: mentre in Eco non troverete mai e poi mai tracce di Philip Dick, in Evangelisti entrerete in molti universi paralleli, fantastici e tolkeniani, tenuti insieme da una profondissima meditazione sul potere e sull’umano, come dimostra l’ultimo romanzo della serie Eymerich, Mater Terribilis. Il cinema, il fumetto, i videogame e la televisione sono rimasti preda del fascino emanato dall’incredibile Inquisitore Eymerich, che a questo punto sta trasformandosi in un clamoroso format che affonda le sue radici nella letteratura e però supera la letteratura stessa. Evangelisti è autore anche di un’altra saga, quella del cowboy meticcio e sciamano Pantera, protagonista dell’ultimo Antracite: in questo caso dovete sostituire l’atmosfera medievale e sprofondarvi in un western di Sergio Leone, immergendovi al tempo stesso nei dendriti di un visionario che vi spiazzerà di continuo con colpi di scena a effetto veritativo.
Terzo esempio di allargamento della letteratura di genere: è Cesare Battisti, l’uomo che ha sconvolto i paradigmi di quello che in America è noto come l’italian giallo (dovrebbe essere il titolo del prossimo film di Quentin Tarantino). Cesare Battisti vive a Parigi e pubblica prima in Francia che in Italia. La sua vicenda esistenziale di nomade politico e planetario ha evidentemente ottenuto un effetto virtuoso: la sprovincializzazione dello scrittore italiano. I noir di Battisti sono autentici spari al cuore nero del potere istituzionale, grazie all’impiego di un linguaggio scabro ed essenziale, mentre sullo sfondo scorrono geografie ed epoche che ben ci ricordiamo e che rivediamo attraverso lo sguardo acutissimo del genio letterario: la resistenza al Fascismo, la baraonda del Sessantotto, fino alla mobilitazione internazionale dopo Seattle — sono i tre perni temporali che Cesare Battisti utilizza per fare ruotare le sue piattaforme narrative nell’ultimo, splendido Cargo Sentimentale, un romanzo che ha conquistato la Francia e si prepara adesso ad aprire un profondo dibattito in Italia. Non bisogna aspettarsi, dagli hard boiled di Battisti, la rassicurante figurina del private eye alla Marlowe o del poliziotto alla Maigret: qui il noir si fa cifra sociale e collettiva, sempre storicamente verificabile nei suoi movimenti topici, che richiamano grandi esplosioni della nostra storia continentale.
Fuori dal genere, totalmente fuori dal genere, è l’ultimo romanzo di Tiziano Scarpa, anch’egli molto conosciuto in Francia, che negli ultimi anni è stata la nazione più interessata all’esperienza della narrativa italiana. Il romanzo di Scarpa si intiola Kamikaze d’occidente e, anche in questo caso, pone non poche difficoltà a chi volesse riassumerne il plot. Si può dire questo: uno scrittore italiano viene contattato da un ineffabile agente segreto del governo cinese in Italia, il quale dichiara di lavorare per un fantasmagorico Ministero Cinese per la Fiction, e che ingaggia lo scrittore italiano insieme ad altri scrittori europei per la stesura e la pubblicazione di un proprio diario, in cui finirà per essere descritto tutto ciò che di esecrabile lo scrittore fa e pensa, a testimonianza della decadenza dell’occidente. Specie di caleidoscopio che varia da Dante Alighieri a Peter Handke, il romanzo di Tiziano Scarpa è un diorama barocco della contemporaneità italiana ed europea, che non teme di mettere in luce gli aspetti più ambigui e germinali della vita di questa porzione di pianeta: che si tratti del governo Berlusconi o dell’ormai evidente crollo dei cattolici in Italia, Kamikaze d’occidente è un libro scabroso, che ha il vantaggio di scorticare qualunque lettore, depistandolo rispetto alle certezze acquisite e reimmettendolo nei circuiti di una critica all’esistente.
Esattamente come in Inghilterra Simon Armitage o negli States Raymond Carver, esistono in Italia poeti che hanno accettato la sfida narrativa e meditativa lanciata dalla fiction letteraria. Si annuncia come caso letterario dell’anno il libro di Mario Benedetti, dal titolo Umana gloria, sorta di racconto di un tempo trascorso, poema in cui i morti sostituiscono i vivi e viceversa, nell’eruzione di un sentimento dell’universo e della terra che, davvero, colloca la raccolta poetica di Benedetti tra i libri fondamentali della letteratura italiana contemporanea. Non è un caso che in Italia, sempre più spesso, la poesia compia autentici exploit degni della narrativa più venduta: i libri di poesia di Carver sono vendutissimi e lo stesso Armitage ha costituito un piccolo culto tra i lettori italiani. La poesia di Benedetti, che è lirica ed epica allo stesso tempo, richiama ai reading un pubblico numerosissimo e segnala come, qui da noi, la letteratura è viva e vegeta e sta benissimo.