di Bernardo Cinquetti
[Frédéric Beigbeder, l’autore di 99 fr. (uscito qualche tempo fa in Italia per Feltrinelli, con il titolo 26.900 lire), è una delle celebrità francesi da cui ci si attende il nuovo botto, il nuovo trend letterario. Per la rivista Palazzo Sanvitale lo ha intervistò Bernardo Cinquetti, prima della pubblicazione italiana. Riproduciamo parte di quell’intervista]
Esiste per te una scelta di strutture narrative, e nel caso qual è la struttura narrativa che preferisci?
Struttura narrativa, fa un po’ teorico del Nouveau Roman… io non ho un approccio tecnico, o artigianale come tu hai detto prima in modo più nobile, ma piuttosto estetico. Io parto veramente dalle frasi, e penso che uno scrittore è qualcuno che ama innanzitutto le frasi, lo stile, la forma. Quando rileggo le mie note, le mie frasi, vedo subito che sto dicendo sempre la stessa cosa, che le immagini ruotano attorno a certi temi che calamitano la tua attenzione, la tua intelligenza… come si diceva con il mio amico Roland Jacquart, abbiamo delle ossessioni, delle immagini che si ripetono; io mi ritrovo con un certo numero di pagine sulla coppia, sulla cocaina, o sulla manipolazione pubblicitaria, o sulla infelicità universale… insomma, questo comincia a diventare una scena, una sequenza, del resto come in una sceneggiatura, e io comincio a fare un piano, che è del tutto aperto e che cambia continuamente ma che mi permette di organizzare vagamente la mia storia, e di non cadere nel falso Faulkner : perché Faulkner è grande ma tutti quelli che imitano Faulkner rompono le palle.
Anche se io parto da suggestioni estetiche, l’idea di incasinare tutto non mi interessa troppo, sono abbastanza rigido, ho ancora l’ambizione di raccontare una storia, con dei personaggi delineati che vanno da un punto A ad un punto B.
Cos’è lo stile?
Eh eh eh… mi salvo citando dei grandi autori. Voltaire diceva che bisogna scrivere come nessun altro con le parole di tutti. A me piace molto la prima parte di questa frase, scrivere come nessun altro: mi piace capire chi è l’autore che sto leggendo senza aver letto il suo nome sulla copertina. Non so se si può fare questo con me, ma molti mi dicono che ho certi tic, un certo gusto per le formule, un gusto per la pertinenza, la provocazione. Qualcuno che ha dello stile è qualcuno che si può riconoscere subito, che dopo qualche frase puoi dire: ah, è quello… Si può riconoscere abbastanza alla svelta una pagina di Charles Bukowski o una pagina di Hemingway, con le sue frasi corte, i suoi dialoghi incessanti. Per me la scrittura è anzitutto gusto per lo stile, trovo che se non si ha voglia di fare delle frasi, non si deve fare dei libri, si può fare del cinema. Oggi si può più facilmente raccontare delle storie con una telecamera…
Si può anche guadagnare più soldi…
Tra l’altro. Dunque mi sembra abbastanza idiota voler raccontare soltanto una storia; innanzitutto scrivere le pagine, le frasi. Tradurre le proprie ossessioni in linguaggio come nessun altro potrebbe fare. Dire, se vuoi, delle banalità ma in un modo originale. ( e ride)
A proposito di stile, dimmi quali sono i tuoi riferimenti nella letteratura francese attuale.
È certo che sono abbastanza influenzato da Houellebecq, che pratica il naturalismo, ma nello stesso tempo è un poeta; è uno scrittore realista, si interessa alla realtà del nostro tempo, non parla di cosa è successo cinquanta, cento anni fa, ma dell’oggi, con i supermercati, i parcheggi, le discoteche, le imprese, una vita che è la nostra, eppure lo fa con poesia, riesce a fare una descrizione glaciale, spietata, anche umoristica, di tutto questo, della strada, delle locandine, della disperazione – in qualche modo confortevole – nella quale viviamo. Lui ha una grande influenza su di me.
Poi?
Poi tra i viventi, mi piace la malinconia in Patrick Modiano, mi piace il modo con cui Milan Kundera mescola la teoria e la fiction ; io ho cercato di farlo nel mio libro, che è sì un romanzo ma è un romanzo che parla di economia, di filosofia, di cose che non sono romanzesche ma un po’ più scientifiche, concrete. Mi piace anche l’energia semplicemente entusiasta e distruttiva di Virginie Despentes, di persone così, il loro modo di parlare della droga, del sesso, della violenza, anche questo è presente in quello che faccio, ho voglia di fare libri che incollino alla pagina.
Tu abiti anche l’altro lato della barricata, dato che sei un critico letterario per “Voici”, e hai pubblicato i tuoi articoli per “Elle”, “Canal Jimmy”, “Masque” et la “Plume di France Inter”. Che effetto fa criticare e analizzare altri autori? Questo ti pone a volte in posizioni difficili?
…come un giudice che ogni tanto diventa anche l’imputato. Come scrittore è mportante essere curioso, guardare cosa fanno gli altri. Critico spesso agli autori di non leggere i colleghi; io leggo molto, da sempre, e penso che a maggior ragione adesso che sono impegnato dentro un’arte è necessario essere al corrente di cosa si fa. Come critico invece c’è sempre la tentazione di servirsi del proprio ruolo per parlare bene di gente che un domani potrebbe parlare bene di te, o semplicemente per gelosia sminuire i concorrenti. Bisogna criticare invece molto attentamente, molto onestamente, dire cosa si pensa, e non bisogna esitare a riconoscere il talento degli altri. Credo sinceramente che sia il mio caso, io difendo un buon numero di giovani scrittori.
Molto spesso, a causa della nostra estetica, si ha l’idea dello scrittore e della sua personalità come unico fulcro dell’arte, come se veramente la letteratura non esistesse che in lui e grazie a lui, e non ci si occupa veramente del ruolo delle case editrici, dell’investimento che una casa editrice fa sugli autori, sulle scelte giuste o sbagliate degli editori. Invece anche questo fa parte della costruzione di ciò che chiamiamo letteratura. Secondo te, a livello del mondo editoriale, quali sono gli investimenti più nuovi e più importanti di questo periodo ?
Evidentemente le grandi case editrici francesi, Gallimard, Grasset, Seuil, hanno la tendenza ad essere un po’ polverose, un po’ istituzionali, a vivere sul loro catalogo e sui loro grandi autori d’anteguerra. Io sono di Grasset e potrei dirtene un gran bene, evidentemente, ma penso che lì qualcosa succeda davvero, il proprietario è cambiato, hanno ringiovanito un po’ i direttori letterari, che sono quelli di Virginie Despentes, di non pochi giovani autori, tra cui io stesso… Ma soprattutto ci sono le piccole case editrici, che fanno un lavoro di scoperta assai importante, penso a T.O.L., penso alle edizioni Minuit, che sono certamente ormai segnati dalla esperienza del nuovo romanzo di Marguerite Duras, Robbe-Grillet, ma che nello stesso tempo sono gli editori del giovane Echenoz, di Jean-Philippe Touccint, di autori che fanno qualcosa di minimale, post-moderno, con molto humour… C’è una casa alla quale sono molto affezionato, anarchica di destra, un po’ dandy, che si chiama Le Dilettante, che pubblica Anna Gavalda, Vincent Ravalec, dei giovani autori che forse non sono tradotti all’estero… sono autori soprattutto molto divertenti, un po’ menefreghisti (je-m’en-foutistes), ma con delle idee e della satira. Poi sul versante più politico che letterario in senso stretto c’è l’esperienza di una casa editrice come Allia, che mi piace molto; pubblica a volte dei piccoli testi letterari ma soprattutto dei libri molto impegnati, situazionisti ; conosco bene Gérard Bérréby, l’editore: quello che fa è notevole perché non ci sono più molte case editrici di questo tipo in Francia, delle edizioni così révoltées, così libere in definitiva. Quello che fa è spesso molto provocatore, molto critico contro la società, lo spettacolo, il capitalismo… insomma mi piace. C’è anche un’altra casa editrice che fa dei libri a 10 franchi (3.000 lire, ndr) – so che in Italia questo piace molto – che si chiama L’Esprit Frappeur, non so se ne hai sentito parlare. È nata sulla difesa della liberazione della droga leggera, hanno fatto molti libri sull’erba, la marijuana, l’hashish; poi hanno allargato alla contestazione del lavoro, degli organismi geneticamente modificati. Ecco, in quanto scrittore mi piace essere anchun critico, perché altrimenti non conoscerei tutto questo. Spesso gli scrittori in Francia hanno la tendenza a mettersi in una specie di torre d’avorio, l’autore con la sua piuma d’oca che lavora solo, a casa sua, rifiutando il compromesso, rifiutando i media… credo che sia una posa molto puritana, falsa sostanzialmente.
Conosci la letteratura italiana attuale? Ci vedi delle caratteristiche dominanti e delle differenze dominanti col romanzo francese attuale?
Io faccio una emissione in televisione sui libri che si chiama “Rive Droite Rive Gauche”, nella quale ho ospitato Niccolò Ammaniti due settimane fa; sono rimasto colpito dal fatto che il cinema italiano ha portato questo stile di descrizione della realtà, sempre con molto lirismo, con molta nostalgia, molto emozione… questo è molto italiano, e si trova meno in Francia e nei paesi anglosassoni, che sono spesso molto razionali, freddi, molto teorici e concettuali. In Italia vedo la capacità di venire a delle emozioni molto semplici, il riso, le lacrime, e le due cose insieme… lo vedo molto nel cinema di Scola, di Fellini, ma anche recentemente di Benigni, La vita è bella è un film importante in Francia. Io conosco un po’ il movimento dei cannibali, Tiziano Scarpa, ho letto il libro di Enrico Brizzi, Jack Frusciante, mi ha ricordato Salinger… io credo che se si prendono i nuovi autori di qui, me, Houellebecq, la Despentes, noi siamo più cinici, più nichilisti, meno teneri. Del resto della letteratura del ventesimo secolo in Italia non conosco molto, conosco Moravia, lo ritengo un autore fondamentale; in Francia gli autori italiani sono letti abbastanza poco, a parte Umberto Eco, e nello stesso tempo non sono sicuro che sia il migliore simbolo della letteratura italiana. Fa dei best-seller medioevali… Mentre penso che si sottostimi l’influenza di Moravia sulla letteratura mondiale ; anche in Houellebecq non ci sarebbe stata la descrizione della miseria sessuale, della impossibilità dell’amore oggi, se non ci fosse stato Il disprezzo. Il disprezzo è in fondo un libro sul fallimento del femminismo, questa donna che per il fatto che suo marito è gentile con lei lo disprezza… Moravia è molto moderno. Aspetta che finisco, c’è un autore che non sopporto è Alessandro Baricco. È qualcuno di importante in Italia ?
Il meno che si può dire è che sia famoso.
Io non capisco niente di quello che scrive… Seta mi era piaciuto, ma in OceanoMare e City non ci capisco niente. Ci sono troppi personaggi, tutto è calcolato nei minimi dettagli, è evidente, ma l’effetto che ne esce è come di un cocktail shakerato dove non distingui più i pezzi e tutto è uguale. Le ragazze so che lo amano molto.
È comunque un personaggio pubblico, ha fatto della televisione, e anche lì funziona molto bene, è affascinante, ha avuto un grande ascolto…
È un po’ il Beigbeder italiano, allora! (e ride) No, io voglio fare una battaglia in Francia perché si smetta di leggere Baricco, Eco e Tamaro, e si cominci a leggere piuttosto Ammaniti, Brizzi, dei tipi così, Tiziano Scarpa, che è almeno… completamente fuori. ( e ride di nuovo)
Parliamo del caso Paul Smaïl e del suo romanzo Alì le Magnifique. La tua critica negativa a questo romanzo ha provocato qui in Francia una levata di scudi indignata, soprattutto da parte dei giornalisti di Le Monde, ed ora si assiste a una specie di difesa a priori dell’autore offeso. Ma il tuo articolo era così feroce?
Non credo. Ho l’impressione che tra qualche anno non si avrà più il diritto di scrivere delle cose negative sull’arte. Molti prendono delle critiche spiacevoli per un attacco personale. Io rispetto molto Paul Smaïl, trovo che quel che fa è interessante, è una buona idea prendere un fatto diverso per farne un romanzo. Non è lui del resto che ha avuto l’idea ma è Stendhal ; resta comunque una idea replicabile. Io ho difeso i suoi primi tre romanzi, questo è il quarto e trovo che sia pessimo, e troppo lungo, poi i personaggi sono troppo in bianco e nero, i buoni buoni, i cattivi cattivissimi, insomma non esiste psicologia, e a me questo non piace.