di Patrick Mougenet
[da Infocrise; traduzione di Alessandro Lattanzio, ripreso in Le guerre di Hollywood]

Hollycia2.jpgQuali rapporti — soprattutto dopo l’11 settembre 2001
– l’immagine ha con la realtà? Quando si tratta di film di fiction,
l’immagine è riducibile alla semplice funzione di distrazione?
O svela, piuttosto delle realtà nascoste? Non conviene vedere
il cinema su ciò che dice e ciò che non dice? Non c’è
un documento insostituibile che da uno sguardo sulle società
di produzione e quella che l’attua? [1] Una questione
che sembra necessario porsi alla proposito di una guerra contro l’Irak,
desiderata dal governo di Bush, poiché:
– Il peso della sindrome della guerra in Vietnam
pesa ancora pesantemente sulle spalle dello stato maggiore degli USA,
persuaso di aver perso il conflitto sul piano mediatico;
– La guerra del Golfo (1990-1991) ha versato sul mondo
un flusso continuo d’immagini cosiddette di informazione cui siamo investiti.
La produzione hollywoodiana dal 2001 ne diffonde un’altra,
di fiction, che merita di finire.
Che ne è oggi della definizione, seppur provvisoria,
di una simile questione?
Quali sono i rapporti tra le autorità USA e Hollywood? [2]



Hollywood intrattiene, in tutto il 20.mo secolo,
delle relazioni con le autorità USA.


Dagli anni 1920, i produttori più importanti
sono riusciti a imporre le Majors, stabilendo legami con gli eletti
della California per pesare e/o evitare una legislazione che potesse
essergli ostile. Hanno approfittato per costituire un gruppo di pressione
tramite la Motion Pictures Procucers and Distributors of America (MPPDA),
una sorta di sindacato patronale del cinema statunitense alla testa
della quale vi è sempre un politico.

Durante le due guerre mondiali, Hollywood partecipò
volontariamente alla propaganda governativa. Tra il 1917 e il 1918,
Charlie Chaplin, Mary Pickford o Douglas Fairbanks attraversarono gli
USA per vendere i buoni di guerra. A partire dal 1941, grandi film furono
commissionati a Franck Capra e John Huston [3].

Negli anni 1950, nel quadro della Guerra Fredda, la
produzione audiovisiva condusse la sua crociata anticomunista, coinvolgendo
tutti i tipi di produzione: attualità, documentari, magazine
filmati (The March of Time), film pedagogici (The Red Myth, 1960), cartoni
animati e la pubblicità. Dal 1947, Eric Johnston [4],
appellato “grande dittatore del cinema statunitense” dal giornale L’Humanité
del 20-21 luglio, affermava, davanti la HUAC (House’s Un-american Activities
Commitee – Commission des activités antiaméricaines):
“il cinema americano è e deve essere sempre soprattutto una arma
di lotta contro il Comunismo […] I film americani portano prove palpabili
della menzogna della propaganda totalitaria. La vecchia leggenda della
decadenza del capitalismo negli USA sparisce se il pubblico può
vedere i nostri film e di trarne le conclusioni” [5].

D’altra parte, le autorità USA, sotto forma
d’appoggio o d’intervento, prendono il controllo di Hollywood.

Un controllo commerciale. Nel 1947 la sentenza USA
verso Paramount Pictures emessa dalla Corte Suprema ingiunge alle Majors
di vendere la loro rete di sale affinché vi sia una vera concorrenza.
Questa disposizione antitrust introdusse delle restrizioni in parte
eliminate da Reagan negli anni 1980.

Un controllo politico. Nel 1947 e poi nel 1951 la norma
del prêt-à-penser delle autorità penetra a Hollywood
attraverso le due ondate di audizioni della HUAC nel quadro della “caccia
alle streghe”. La prima, su istigazione di Walt Disney e di John Wayne,
inquieti per l’influenza dei sindacati sulla professione. La seconda
condotta da Ronald Reagan, allora alla testa di una "Crociata per
la Libertà", in nome degli attori.

Negli anni sessanta, legami esistevano tra politica
e Hollywood, ma nello spirito di relazioni personali, in particolare
sotto la presidenza di Kennedy.

Dopo due o tre anni, si può veramente parlare
di stretta collaborazione tra Casa Bianca/CIA/Pentagono e Hollywood
[6]

Da un lato, gli sceneggiatori e produttori hollywoodiani
fanno appello al Pentagono e alla CIA. Ciò per dei film di guerra
o di azione girati dopo l’11 settembre 2001, la cui produzione é
dopata dal successo mondiale del film di Steven Spielberg, "Salvate
il soldato Ryan" (1998). È un buon rivelatore dello stato
d’animo del pubblico statunitense e dell’opportunismo delle autorità.

Dall’altro, é Washington che, dopo l’11 settembre
questa volta, fa appello a Hollywood. È così che sono
organizzati dei meeting su iniziativa dell’Institute for Creatives Technologies
dell’Università della California del sud, sponsorizzata dal Pentagono.
Delle riunioni sono dirette dal Generale Kenneth Bergquist. Vi partecipano
sceneggiatori come Steven De Souza (Pieghe di cristallo 1988; 58 minuti
per vivere, 1990) o Joseph Zito (Portaerei scomparsa, 1984; Invasion
USA, 1986; Delta Force One: The Lost Patrol, 1999 ) con lo scopo di
immaginare degli scenari d’attacco terroristici probabili e di mettere
a punto una eventuale risposta!

Hollywood e la propaganda, dopo la seconda guerra
mondiale.


Catherine Bertho-Lavenir distingue ” due radici differenti
della propaganda”. Quella nata dallo sforzo militante del mondo operaio
che cerca di “farsi sentire in una società del 19.mo secolo poco
incline a concedergli il diritto alla parola”. L’altra, nata dalla mobilitazione
degli animi operata durante la prima guerra mondiale, avvantaggiarono
le istanze governative. È questa ultima che sensibilizzò
di seguito la opinione pubblica alle manipolazioni insidiose. Ma la
propaganda si trasforma rapidamente. Da una tecnica della manipolazione
dell’informazione, in particolare in tempi di guerra, si trasforma in
altri sistemi d’influenza diffusi (a profitto del governo o degli interessi
privati) che s’insinuano nei canali ostensivamente neutri, rendendoli
di fatto meno leggibili[7].

Una missione ideologica per Hollywood dalla seconda
guerra mondiale, e per la convergenza tra la produzione delle grandi
compagnie e la politica estera del governo USA.

Dalla fine degli anni quaranta e durante gli anni cinquanta,
vi è un numero elevato di produzioni anticomuniste di cui qualcuna
è rimasta celebre come The Red Menace (R.G. Springteen, 1949)
o I was a communist for the FBI (Gordon Douglas, 1951). Sugli schermi
cinematografici, come su quelli catodici, passano il canovaccio anticomunista
in ogni tipo di produzione, in piena psicosi maccarthysta.

Intanto, negli anni ’60, la riappacificazione bipolare
si rifletteva sulle produzioni cinematografiche senza tuttavia modificarne
lo spirito. Bisogna spargere la paura, soprattutto nucleare e mantenere
i popoli in allarme permanente. La science-fiction s’incarica di mettere
in scena questo pericolo possibile. Così viene girato Tarantula
(Jack Arnold, 1955), dal nome di questo ragno gigante, ormai simbolo
del bestiario dell’era atomica. Film dai titoli assai evocatori continuano
a impregnare un sentimento d’insicurezza legato al pericolo ignoto ma
mobilizzante: Red Planet Mars (Harry Horner, 1952), Invaders from Mars
(William Cameron,1953), It Conquered the World (Roger Corman 1956) ,
The Day the World ended (Roger Corman 1956)… [8]

Dopo la guerra del Viêt-nam, bisogna attendere
l’era Reagan, il cui film eponimo del periodo potrebbe essere "L’impero
colpisce ancora" (Irvin Kerschner, 1980), per indicare il ritorno
di una produzione filmica aggressiva, come nella serie di Rambo (Rambo
in Vietnam ; Rambo contro i comunisti dell’Afghanistan…) o, come Top
Gun (Tony Scott, 1986) realizzato con l’aiuto dell’aviazione degli USA,
dove se ne faceva l’apologia.

Negli anni 1990, dopo la scomparsa del nemico di sempre,
l’URSS, e l’incerta satanizzazione dei nuovi avversari, la fibra patriottica
è intrattenuta da qualche film isolato ma che conosce un chiaro
successo: Independance Day (Roland Emmerich, 1995) e Mars Attacks (Tim
Burton, 1996)

La stagione 2000/2001 lascia intravedere una vera collusione,
una sinergia tra le autorità di Washington e Hollywood.

Gli effetti dell’11 settembre rilanciano Hollywood
nella preparazione della seconda guerra del Golfo.


1991: scoppia la guerra del Golfo. I giornalisti devono
ottenere un accredito dello stato maggiore statunitense per rendere
conto delle operazioni condotte, un sistema che prevaleva durante la
seconda guerra mondiale(…). Il conflitto ha dunque per regista e produttore
esclusivo la catena statunitense d’informazioni continue CNN. Di fatto,
la rappresentazione che le popolazioni si fanno di tale conflitto dipende
dal prisma delle immagini selezionate dalla CNN e censurate dall’esercito.

Parallelamente, in più aspetti tecnologici destinati
a mostrare la “guerra propria” condotta dagli occidentali, le autorità
USA danno di questo conflitto uno scenario dell’informazione, moltiplicatore
(con il loro logo, il loro jingle, la loro colonna sonora, il loro montaggio
delle immagini) degli effetti di drammatizzazione propria della fiction
[9].

1998. Mentre la tensione s’accentua e l’avvicinarsi
di un nuovo conflitto in Irak sembra emergere, la CNN invia otto giornalisti
nella capitale irakena, tra cui tre corrispondenti d’eccezione: Christian
Amanpour, Peter Arnett e Brent Sadler. Il Presidente della CNN, Easen
Jordan, incaricato delle operazioni internazionali, esulta per la probabile
— ma finalmente vana — nuova guerra: “la nostra posizione è
migliore di quella del 1991. Noi saremo là dov’è l’informazione,
saremo in tutti i siti coinvolti. Se ci sarà un bombardamento
su Bagdad, vedrete le immagini in diretta. E avremo altre cose eccezionali.
Ma non posso dirlo a causa della concorrenza… ” [10]

2001. Precisamente, Al Jazeera, la catena d’informazione
del Qatar, si pone in concorrenza della CNN. Solo il cinema é
un mezzo esclusivo per controllare, di nuovo, le pulsioni, le immagini
come gli statunitensi avevano fatto nel 1991. Sollecitare o utilizzare
Hollywood permette di mostrare la guerra come la desiderano le autorità.
Permette ancora di controllare il contenuto delle fiction moltiplicando
i contatti con il mondo hollywoodiano. La fiction si rivela essere,
come ai vecchi tempi, un mezzo eccellente di condizionamento, preparazione
psicologica e mentale del pubblico statunitense.

Par quali film gli studi di Hollywood e le autorità
USA condizionano l’opinione statunitense sull'”ineluttabile e giusta”
imminenza di una guerra in Irak ?

2002: I film statunitensi formano un corpus coerente


La maggior parte dei film sono girati prima dell’11
settembre 2001, sull’ondata dell’enorme successo di Spielberg, "Salvate
il soldato Ryan", che rilancia il genere dei film di guerra. Molti
di essi sono concepiti in stretta collaborazione con le autorità
della Casa Bianca, della CIA e del Pentagono. Ognuno contribuisce alla
diffusione di un modo di pensare unico. Tutti preparano l’opinione pubblica
ad accettare l’eventualità di una guerra. Tutti spingono il pubblico
USA a un atteggiamento di coesione dietro il proprio governo.

Benché precedenti l’11 settembre 2001, questi
film subiscono l’impatto dell’attacco terrorista su New York. Infatti,
l’evento è troppo forte, troppo mondializzato, troppo mediatizzato
per non generare alcun impatto sulle immagini proiettate dopo. L’evento,
filmato in diretta, offre uno spettacolo da film d’azione! Di conseguenza,
si pongono nuove domande: dov’è la fiction? Dov’é la realtà?
Quando si distinguono? E poi, reale/irreale (cosa succede/non è
possibile!) introduce un flusso nella capacità di ognuno di correggere

le solite distorsioni della realtà indotta delle
immagini (è vero? È falso?). O, parallelamente, i media,
per descrivere e commentare l’evento, si sono impadroniti del vocabolario
cinematografico, moltiplicando le referenze appoggiate a fiction come
"La Torre Infernale" (Irwin Allen e John Guillermin, 1974),
Independance Day o Mars Attacks! Tutto ciò contribuisce a confondere
le piste sulla fiction proiettate inseguito.

I film che seguono all’11 settembre 2001, hanno, per
effetto di mobilizzare, di allarmare, far credere e convincere del pericolo
reale. Così, l’insieme delle produzioni che legittimano inconsciamente
una guerra futura. Tanto più che, in questo confronto tra reale
e irreale, le tecniche proprie del cinema degli effetti speciali tendono
a amplificare la percezione che si ha della potenza del nemico.

Questi film hanno, per le autorità USA, la doppia
virtù di:

– non designare dei nemici chiari, degli amici dei
criminali, dei tiranni o piuttosto delle nazioni nemiche.

– dare una “giustificazione etica”: davanti al nemico
criminalizzato, si conduce una “guerra per salvare delle vittime o evitare
delle catastrofi umanitarie”. [11]

Così questa produzione cinematografica scatenano
una guerra di rappresentazioni che si avvicina alla guerra secondo G.W.
Bush contro l'”Asse del male”: "esistono degli stati nemici perché
pericolosi, e degli stati pericolosi perché nemici” [12].

Delle produzioni che beneficiano dell’avallo, del sostegno,
delle autorità militari e politiche degli USA, al più
alto grado dello stato. Molti film attestano questa collusione tra Hollywood
e Washington :

– Black Hawk Down, (Ridley Scott) [13]

Il film, girato in Marocco, ricostruisce sotto una
visuale positiva la sconfitta statunitense in Somalia, un grande sforzo
di materiale militare: una quindicina di elicotteri, decine di blindati
ecc.

È il primo film per cui dei soldati USA sono
inviati in una terre lontana per facilitarne le riprese grazie all’intervento
personale di Donald Rumsfeld, segretario di stato alla difesa.

La sera della prima, nel dicembre 2001, a Washington,
i produttori beneficiarono della presenza di Dick Cheney in persona,
vice-presidente degli Stati Uniti e di Donald Rumsfeld. In seguito,
centinaia di cassette video del film furono inviate nelle basi USA situate
all’estero.

– La Somma di tutte le paure (The Sum of all Fears,
Phil Alden Anderson) [14]

IL film risuscita lo spettro di una guerra nucleare.
Dei terroristi neo-nazisti (inizialmente erano previsti, ma annullati
— prima dell’11 settembre… — dei terroristi arabi) che minacciano
di fare esplodere una bomba nucleare sul suolo statunitense.

La prima mondiale si svolge a Washington.

Il film gode di un collaborazione senza precedenti
– e la produzione l’ha fatto sapere! – della Casa Bianca, di un forte
appoggio del Pentagono e della CIA. Nientemeno. Così, una serie
d’autorizzazioni eccezionali emanata dal Dipartimento della Difesa e
ottenuto il diritto di filmare molti aerei e altri elicotteri dell’esercito.
Si autorizza anche la produzione a tracciare e fotografare delle parti
della Casa Bianca e del Pentagono alfine di permetterne la ricostruzione
identica negli studi hollywoodiani. CIA e Pentagono controllano strettamente
il contenuto del film prestando dei sergenti istruttori dell’esercito
per dirigere gli attori e utilizzando il film per il loro proprio reclutamento!
Charles E. Davis, ufficiale di collegamento del Dipartimento della difesa,
può allora felicitarsi di tale associazione: “Abbiamo collaborato
strettamente con i responsabili del film per conoscere i loro bisogni
e offrigli i loro consigli appropriati”.

– Bad Company (Joel Schumacher) [15]

Il film parla di agenti della CIA in lotta con la mafia
russa. Là ancora, l’organizzazione autorizza in modo “eccezionale”
la produzione, che arriva a visitare gli edifici dei servizi segreti
più occulti del mondo! Chase Brandon, agente del bureau delle
relazioni pubbliche della CIA spiega qual è il suo ruolo in questo
tipo di cooperazione: “Mi occupo di aiutare i realizzatori della televisione,
del cinema e dei documentari che vogliono dare una immagine giusta e
imparziale della CIA (sic). Rispondo alle loro domande, gli faccio visitare
i nostri uffici, li aiuto e gli porto tutto il sostegno logistico possibile”
[16] .

– We Were Soldiers (Randall Wallace) [17]

Questo film, che nuovamente sulla guerra del Viêt-nam,
è proiettato privatamente a G.W. Bush, Donald Rumsfeld, Condoleeza
Rice (consigliere del Presidente per la sicurezza) così come
a molti quadri del Pentagono. Una pratica che non può non ricordare
le proiezioni private di Villa Torlonia ai tempi dell’Italia mussoliniana
[18].

Tutti questi film, girati prima dell’11 settembre 2001,
godono ampiamente dell’avallo delle autorità. È vero che
tutti vi si ritrovano:

I militari, che se ne servono come mezzo gigante di
promozione.

I servizi segreti, che vi vedono l’occasione di rinnovare
il loro blasone o di migliorare la loro immagine.

Il governo, che non può che rallegrarsi nel
vedere il pubblico statunitense vedere in massa queste produzioni e
compiacersi del ritorno del patriottismo.

I produttori di Hollywood, che intascano i benefici
sonanti e traboccanti.

E altri che contribuiscono a esacerbare il nazionalismo
USA.

In Mission Evasion (Hart’s War) realizzato da Gregory
Hoblit [19], si ritrova un tema classico: il confronto,
in piena seconda guerra mondiale dei soldati USA che combattono le “forze
del Male” di allora: i nazisti.

L’ultimo James Bond, Die Another Day (Lee Tamahori)
[20] partecipa a tale visione manichea del mondo.
Tale co-produzione anglostatunitense prepara gli animi a una eventuale
aggressione alla Corea del Nord, il baricentro dell'”Asse del Male”
di G. W. Bush. I nord-coreani sono dipinti come psicopatici degenerati,
fisicamente e mentalmente.

L’insieme di questi film rinnova il semplicismo e la
violenza visiva dei film dell’era reaganiana degli anni 1980. E’ in
rottura con film di guerra di grande sensibilità come "La
sottile Linea rossa" (Terrence Malick, 1998) in cui la guerra è
vista come una catastrofe per i due campi.

Veicola una visione manichea dei rapporti internazionali,
ignorando la complessità geopolitica e demonizzando dei personaggi
grotteschi e ridicoli e altri terroristi la cui azione si svolge in
regioni occupate, afflitte dalla ingiustizia e dall’oppressione.

Tale visione filmica caricaturale del mondo oppone
i Buoni e i Perfidi. Sembra provare che la “crociata del Bene contro
il Male”, ” contro il terrorismo” (G.W. Bush) é largamente trasponibile
in fiction. Il giornalista Robert Fisk evoca il cinema hollywoodiano
fagocitato dalla “Bush-Productions” [21].

Una stonatura: a Hollywood manifestano anche degli
oppositori alla guerra.


Circa 30.000 artisti del cinema, ma anche universitari,
intellettuali hanno firmato degli appelli o si sono pronunciati contro
un conflitto con Bagdad. Così la petizione “Not in our name”,
comprende, per esempio, i nomi di Oliver Stone o di Robert Altman. La
creazione dell’organizzazione degli Artisti Uniti per Vincere senza
Guerre, raggruppa molti attori come Kim Bassinger. Altri sceneggiatori
o registi si sono pronunciati a titolo personale come Robert Redford
che ha pubblicato una tribuna libera sul Los Angeles Time [22].

La critica non sembra d’altra parte così a suo
agio di quanto appaia. Dustin Hoffmann, invitato a una serata di gala
organizzata il 10 febbraio 2003 a Berlino sul tema Cinema per la Pace,
dovette giustificarsi e avvertire che lui “non é antiamericano,
ma contro le posizioni del governo attuale” prima di pronunciarsi contro
la guerra [23].

La critica stessa della propaganda può dare
l’impressione che operi contro il proprio paese. E’ ciò che aveva
spinto, nel 1942, l’Institute for Propaganda Analysis, fondato qualche
anno prima da alcuni universitari di sinistra, ad occuparsene un anno
dopo Pearl Harbor. Ugualmente, delle star, per esempio Jane Fonda e
le sue prese di posizione durante la guerra del Viêt-nam, sapevano
che il loro impegno politico può danneggiare seriamente il loro
capitale di popolarità. Tanto più che il gusto del pubblico
USA si dirige verso questa produzione di film di guerra.

Immagine di guerra e gusto del pubblico?

Il cinema é sempre più visto come lo
specchio della società, qui quella della società USA davanti
al mondo: la riflette, la mette in scena, ne da una rappresentazione.
Ma la Settima Arte è anche una spugna: s’impregna di questa società
e ne é finalmente il prodotto delle rappresentazioni sociali
statunitensi. Del resto, la produzione hollywoodiana si distingue nettamente
dai film d’autore. Obbedisce a un imperativo della redditività:
le tecniche di marketing, i sondaggi, gli studi d’impatto sono destinati
a rivelare l’attenzione del pubblico e orientarlo agli scenari in corso
di realizzazione. È così che, durante i nove mesi che
seguono l’11 settembre, un terzo dei film in testa nei box-office USA
sono film di guerra. A ottobre 2001, una indagine del Washington Post
mostra che i Rambo e "Pieghe di cristallo" sono i titoli più
richiesti dai video-clubs.

Non si può dubitare dell’influenza del cinema
sull’opinione pubblica. Ciò che sembra inedito a questa scala
e in periodo di pace, è di tracciare la strategia di comunicazione
di Washington fino alle sue prese di decisione, che possono essere influenzate
dal calendario delle uscite cinematografiche. È ciò che
riporta Samuel Blumenfeld, de Le Monde : “Il ministro della giustizia
John Ashcroft ha atteso il lunedì seguente il secondo week-end
della presenza nei cinema di "La Somma di tutte le paure per annunciare
l’arresto del terrorista Abdullah Al-Mujahir, il cui vero nome è
José Padilla, legato a Al-Qaida, che fomentava un attentato simile
a quello presente nel film di Phil Alden Robinson. Più strano
ancora, John Ashcroft si trovava a Mosca al momento di questo annuncio,
come per riecheggiare "La Somma di tutte le paure", dove la
cooperazione russo-statunitense salva il mondo dal caos. Bisognerà,
ormai, per sapere se gli USA interverranno in Irak, guardare attentamente
i calendari dei film?” [24]

L’immagine si rivela qui come un “attore della Storia”
(Marc Ferro): si forma la matrice delle rappresentazione mentali costruite
completamente. Già, la fase preparatoria della Guerra del Golfo,
scatenata il 16 gennaio 1991, ha costruito nei sei mesi che lo precedettero,
un vero mito: quello del “quarto esercito del mondo”. I reportage diffusi
su tutte le catene di informazione del pianeta, mostrando fino alla
nausea l’armamento irakeno, avevano rinforzato l’idea che il mondo era
di fronte a un nuovo Hitler: Saddam Hussein. Uscite le immagini d’informazioni
dal 2001, invece dei film di fiction: così il cinema contribuisce,
in qualche modo, all’invenzione di un reale immaginario.

NOTE:

[1] cf Patrick Mougenet, Cinéma et propagande
(24 novembre 2002, 38 500 signes

[2] cf Jacques Portes, Histoire et cinéma aux
États-Unis, Documentation Photographique n°8028, août 2002
et Anne-Marie Bidaud, Hollywood et le rêve américain, Masson,
1994

[3] La série ” Pourquoi nous combattons ” démarrée
en 1942, est destinée aux combattants US afin de leur expliquer
les antécédents du conflit jusqu’à l’entrée
en guerre des États-Unis. Par la suite, elle livre, jusqu’à
” La Guerre s’avance vers l’Amérique “, en 1944, une vision complète…
et étasunienne du conflit. En Angleterre, toute la série
fut diffusée sur l’ordre de Churchill. (cf Anthony Rhodes, Histoire
mondiale de la propagande de 1933 à 1945, Paris-Bruxelles, Elsevier
Séquoia, 1980, 288 p)

[4] Représentant des intérêts du
cinéma étasunien dépêché en France
lors des négociations entourant les modalités du plan
Marshall, en 1947. Éric Johnston, ancien président de
la Chambre du Commerce des États-Unis, est à la tête
du MPPDA de 1945 à 1965.

[5] Cités dans Patricia Hubert-Lacombe, Le cinéma
français dans la guerre froide 1946-1956, L’Harmattan, 1996,
p 84 et 108

[6] cf. dossier/enquête ” Le Pentagone et la
CIA enrôlent Hollywood ” réalisé par Samuel Blumenfeld
et publié dans Le Monde du 24 juillet 2002, en particulier son
article éponyme en ligne sur le site du Centre de recherche sur
la mondialisation (CRM).

[7] Catherine Bertho-Lavenir, ” Au commencement était
la propagande. Le pouvoir des médias. Historique “, publié
sur le site www.infocrise.info (16 janvier 2003) et dans Panoramiques
n°52, ” L’information, c’est la guerre. Des missiles, des émissions,
des électrons ” sous la direction de François-Bernard
Huyghe.

[8] cf Gilles Laprévotte, Michel Luciani et
Anne-Marie Mangin, La grande menace : le cinéma américain
face au maccarthysme, Trois Cailloux, 1990, 347 p

[9] cf. Marc Ferro, L’information en uniforme. Propagande,
désinformation, censure et manipulation, Ramsay, 1991, 121 p

[10] cité dans ” CNN s’en va-t-en guerre “,
enquête du Monde Radio-Télévision daté du
23-23 février 1998

[11] François-Bernard Huyghe, ” Irak : guerre
mondiale de l’information. Acte II. Les moyens de la désinformation
se mettent en place “, publié sur le site infocrise.info (3 décembre
2002)

[12] ibidem

[13] Sortie aux États-Unis : 18 janvier 2002
; sortie en France 20 février 2002

[14] Sortie aux États-Unis : 31 mai 2002 ; sortie
en France 24 juillet 2002

[15] Sortie aux États-Unis : 7 juin 2002 ; sortie
en France 17 juillet 2002

[16] cité dans ” On nous montre comme des vilains
et non comme des héros. C’est insupportable “, propos recueillis
par Samuel Blumenfeld, Le Monde, 24 juillet 2002

[17] Sortie aux États-Unis : 1er mars 2002 ;
sortie en France 17 avril 2002

[18] cf Jean A. Gili, L’Italie de Mussolini et son
cinéma, Henri Veyrier, 1981 p 80-87 et Patrick Mougenet, Cinéma
et propagande. Les régimes totalitaires de l’Entre-Deux-Guerres,
cassette vidéo et livret d’accompagnement 32 p, Nathan/ Eduscope,
2000

[19] Sortie aux États-Unis : 15 février
2002 ; sortie en France 29 mai 2002

[20] Sortie aux États-Unis : 22 novembre 2002
; sortie en France 20 novembre 2002

[21] dans ” Tremblez ! La Bush-Productions se prépare
à entrer en action “, publié dans The Independent du 17
août 2002, en ligne sur le site www.alarencontre.org

[22] cf. Claudine Mulard, ” Les opposants à
la guerre plongent Hollywood dans l’embarras ” et ” Une industrie hantée
par le souvenir de la liste noire “, Le Monde , 7 janvier 2003

[23] Dépêche AFP, 13 février 2003

[24] cf dossier/enquête ” Le Pentagone et la
CIA enrôlent Hollywood ” réalisé par Samuel Blumenfeld,
op. cit.