di Giorgio Montefoschi
Su «Il Manicheismo», volume primo, editore Mondadori-Valla, a cura di Gherardo Gnoli (27 euro)
Tutto nasce dall’angoscia umana. L’uomo si sente asservito al corpo, al mondo, a un divenire che lo destina alla morte. Scruta l’universo, come facevano Lucrezio e Seneca, ed è affascinato dalla sua bellezza; ma poi una malinconia terribile lo coglie al pensiero della fine. Altre volte, considera le sciagure naturali: i terremoti, le inondazioni, le siccità; oppure quelle prodotte dalle scelte perverse dei suoi simili: le menzogne, le guerre. E pensa che il Male esiste; sente la sua continua minaccia. Infine, ossessivamente, riconoscendosi estraneo al Male, come lo è Dio, si domanda: perché esiste il Male? L’uomo può salvarsi dal Male? Con certezza, e in modo definitivo, credette di poter rispondere a queste domande un medico babilonese, di nome Mani, nato il 216 o 217 dopo Cristo. Egli riteneva di essere l’ultimo anello di una Catena di Profeti che lo aveva preceduto. Dopo Zoroastro, Buddha e Gesù, veniva lui: l’Apostolo della Luce, il Sigillo.
Nella Mesopotamia del III secolo d.C. – vero e proprio crogiolo di sette gnostiche, comunità esoteriche, scuole filosofiche influenzate dal pensiero greco o dall’astrologia caldea, cristianesimo, giudaismo, zoroastrismo – fondò una religione, il Manicheismo o Religione della Luce, in cui tutti questi elementi confluivano, destinata a espandersi dall’India all’Europa, dalla Cina all’Egitto, a durare secoli, e a essere perseguitata ovunque. I re della dinastia sassanide che governavano allora la Mesopotamia, e a più riprese sconfiggevano gli imperatori romani, pensarono, per un certo periodo, di favorire questa religione unificante.
Poi, i sacerdoti zoroastriani di corte prevalsero. Mani cadde in disgrazia. E, come Gesù, fu crocifisso: il 26 febbraio del 277. In realtà, la sua non fu una crocifissione vera e propria. Dopo la flagellazione e l’interrogatorio, fu condannato a morire sotto il peso di enormi catene. L’agonia durò venticinque giorni, infatti. Poco prima di essere imprigionato, ai discepoli che lo seguivano, aveva detto: «Figli miei, guardatemi e saziatevi di me, perché io mi allontanerò da voi nel corpo». Al re che lo interrogava su quale fosse il suo maestro, aveva risposto che la verità l’aveva ricevuta da Dio, per mezzo dei suoi angeli, «poiché tutto questo mondo era preda dell’errore e sulla cattiva strada». Nell’ora undicesima del venticinquesimo giorno, tre catecumene entrarono nel carcere, si inginocchiarono, posero le mani sui suoi occhi, li chiusero e baciarono la sua bocca piangendo.
Dopodiché lo implorarono: «Nostro buon Padre, apri i tuoi occhi e guardaci… Ma egli non parlò, rimase in silenzio… e s’innalzò verso l’alto, insieme con la potenza che era venuta a prenderlo!».
In che modo il Manicheismo pretendeva di risolvere il problema del Male? In modo estremo. Bene e Male sono due entità non generate, che non hanno nulla in comune e si contrappongono. «La Luce è buona ed è Dio, le Tenebre sono malvagie e sono la Materia». Seguiamo ancora le parole di Gherardo Gnoli, tratte dalla bella introduzione a questo importante volume di testi manichei, «Il Manicheismo», che per la prima volta ci dischiude la conoscenza diretta di un mondo: «Il Male è ovunque e può essere sconfitto solo dalla conoscenza (Gnosi) che porta alla salvezza mediante il riconoscimento da parte dell’individuo dell’io trascendente, di quella particella di luce confusa alla Materia che lo rende estraneo all’essere corporeo e parte di Dio».
Siamo dinnanzi a uno straordinario racconto. Nel quale si incrociano, confondendosi, parecchi confini: quelli della vita di Mani e quelli della vita di Gesù e dei profeti che l’hanno preceduto; le storie bibliche della creazione e le fosche cosmologie gnostiche; la redenzione di Adamo e quella di ogni singolo uomo. Nella comunità giudeo-cristiana dei Battisti, in cui il padre ha condotto Mani fin dall’età di quattro anni, la purezza, cioè la separazione del Bene dal Male, è affidata all’acqua battesimale e a strette regole alimentari. Non è questa la verità.
Due volte, a dodici e ventiquattro anni, Dio manda a Mani il suo Angelo Gemello. Questi – come racconta il maestro Baraies nei Testi copti – giunge con la velocità di un fulmine e l’aspetto di un uomo che, con la mano, indica il cammino e il riposo. E’ l’immagine, estremamente consolante, del nostro doppio divino. Dello specchio nel quale possiamo riconoscere la nostra appartenenza celeste; nel quale contempliamo l’origine di tutto; nel quale troviamo conforto se gli altri ci perseguitano o non ci capiscono; dal quale apprendiamo che la vera separazione del Bene dal Male si raggiunge con la conoscenza, la Gnosi.
Conoscere, dunque, vuol dire salvarsi. All’inizio – racconta l’Angelo – Bene e Male, Luce e Tenebre, erano divisi. La Luce era Spirito, la coscienza; le Tenebre avvolgevano la Materia incosciente e si confondevano con essa. Mossa dalla concupiscenza, motore cieco del desiderio, la Materia cercò di sopprimere il pensiero. Fu come se una ventata di Male si dilatasse all’infinito. Spinta dal suo appetito bestiale, la Tenebra sferrò l’attacco al Regno della Luce e lo inghiottì. Questo dette inizio al secondo periodo, detto della mescolanza di Luce e Tenebre, nella quale, in una condizione prometeica, è costretto tuttora l’uomo, e lo sarà fino a che qualcuno non lo risveglierà.
Chi è questo Salvatore? Alcuni testi iranici lo identificano nell’Uomo Primordiale, altri in Gesù-Splendore. Non è chiaro. Certo è, invece, che la lotta tra il Bene e il Male è nel suo pieno svolgimento. Perché, inghiottendo la Luce, la Materia ha decretato la sua sconfitta: ha inghiottito un veleno. Infatti, se anche una minima particella di questa Luce dovesse rimanere imprigionata nel corpo di un uomo – sia in quello di Adamo, che di ogni essere vivente – Dio Padre non potrà consentire la non-salvezza, la prigionia eterna di una parte di sé.
Così, la battaglia è furibonda. I Demoni, gli Arconti invidiosi di Dio si accoppiano selvaggiamente e creano i regni vegetale e animale. Su Navi di Luce, Dio manda i suoi vari inviati che sconfiggono gli Arconti; li fa scuoiare e con la loro pelle, le ossa e la carne, forma il cielo, i monti, la terra. Gli Arconti cercano di concentrare il massimo della Luce, perché non li abbandoni, in un essere che dovrà costituire l’antitesi della creazione divina, e fanno nascere Adamo, l’uomo. Dio manda il Salvatore da Adamo. Adamo apre gli occhi, riconosce la propria anima imprigionata, e si dispera.
Quando avverrà la liberazione definitiva, il distacco definitivo fra il Bene e il Male? Ci vorrà del tempo, «perché il mondo ama l’oscurità e odia la luce» – come, con profondo sgomento, l’uomo deve considerare ancora oggi; quasi sempre non riconosce i suoi profeti; e, con le sue azioni malvagie, e la fornicazione, dalla quale occorrerebbe astenersi, ritarda il trionfo del Bene. Il divenire del mondo – dicono i testi manichei, fortemente influenzati dall’esperienza cristiana è il dramma della nostra Passione e Salvezza. E’ lo svolgersi della Passione di un Dio che, salvando l’uomo, salva se stesso. Nella Materia è crocifisso un Gesù cosmico. Quando verrà il Giorno del Giudizio, il globo terrestre brucerà per 1.468 e sarà annichilito. Le ultime particelle luminose saliranno in cielo. Mentre la Materia, ridotta a una sorta di palla, sarà sepolta sotto una grossa pietra. La luce ha vinto la Materia. Di nuovo Bene e Male saranno divisi.
E’ la verità? Non lo sappiamo. Sul Male e la sua origine, l’uomo continuerà a interrogarsi all’infinito. Ma questo credevano i seguaci di Mani. Per questo pregavano, accompagnando le parole col canto. Infatti, davano grande importanza alla musica. Insieme alla pittura e alla scrittura: che, per trasmettere la rivelazione definitiva, doveva essere adorna e chiara.
[dal Corriere della Sera, 3.6.03]