di AS Chianese
[Riprendiamo da horrorcult.com un’intervista a tutto campo a Danilo Arona: sarebbe un peccato che rimanesse confinata alla cache di Google]
Chianese: Ci parli un po’ della sua genesi di scrittore…come è passato Danilo Arona dal giornalismo allo scrivere racconti noir o horror?
Arona: Francamente ci provavo sin dalla più tenera età. Ho pubblicato cose immonde su giornaletti parrocchiali e fanzines amatoriali sin dagli anni Sessanta. Comunque, a mio parere, esiste un filo sottile che collega il giornalismo e la fiction. Molti autori (Corrias, Serio, Gatti, lo stesso Lucarelli) si muovono in entrambi i territori. Spessissimo in Italia la cronaca nutre la fiction. Un po’ meno spesso può accadere il contrario. Prima che Bilancia fosse scoperto e arrestato, siamo ricorsi tutti quanti alla fiction per tentarne un suo identikit psicologico. Se non ricordo male, Pinketts ci andò molto vicino.
Chianese: Lei è uno dei più autorevoli critici nostrani del fantastico: se dovesse fare una classifica dei film italiani, di questo genere, che più le sono piaciuti quale metterebbe tra i vari lavori di Bava senior, Cozzi, Margheriti e Ragona…
Arona: E’ uno strano quartetto, quello che mi proponi…Comunque Bava è fondamentale e i suoi lavori hanno aperto la strada. Quei film che faceva con quattro soldi erano pieni di genio e di pathos. Terrore nello spazio negli Stati Uniti è stato studiato e copiato, diciamolo pure, da nomi altisonanti e insospettabili. Con il senno degli anni, è uno dei suoi film che amo di più. Con I tre volti della paura, sicuro, e quella incredibile short story che era La goccia d’acqua. Di Cozzi ho apprezzato Contamination, un tentativo lodevole di creare un fantahorror da “esportazione”, pur se chiaramente modellato su Alien e altri celeberrimi titoli. Ma il rifarsi con umiltà ai lavori altrui non è di per sé un difetto, soprattutto nel fantastico, e poi il lavoro di Cozzi va giudicato a patto di non dimenticarsi che lui è un vero, assoluto e genuino appassionato dei generi popolari. Luigi ha scritto articoli, racconti, diretto film, intervistato autori e attori, intrapreso iniziative editoriali e attività commerciali. Lo ha fatto e continua a farlo con passione inguaribile. Rappresenta quell’eterno bambino che, in fondo, giace nell’anima di un po’ tutti noi che amiamo l’horror e la fantascienza, sempre disposti a sorbirci magari inenarrabili schifezze pur di vederne il più possibile…Sì, il vero appassionato è fatto così. Di Margheriti ricordo con piacere Danza Macabra e Contronatura, ma anche il fantascientifico Pianeta degli uomini spenti, con effetti speciali poverissimi ma suggestivo. Per quanto Margheriti non abbia mai raggiunto l’intensità “gotica” di Bava… Ragona? Ho visto purtroppo una sola volta, ai suoi tempi, L’ultimo uomo sulla Terra e ne ho un buon ricordo, ma parliamo di quarant’anni fa…Certo è che, ancora una volta, dovremmo stare qui a rimpiangere il pionierismo solitario di gente come lui, dato che Hollywood sta per propinarci una nuova versione di I am legend formato blockbuster.
Chianese: Come vede, all’indomani della sua partecipazione all’antologia “14 Colpi al cuore” curata da Serge Quadruppani, il panorama italiano della letteratura noir? Ci sono autori interessanti? Questo genere avrà un ricco futuro?
Arona: Valerio Evangelisti, nell’intervista introduttiva, fotografa alla perfezione il momento attuale del noir italiano, quando si riferisce a “un senso di oscuro disagio nei confronti di un’Italia sempre più priva d’identità, per cui l’interesse si sposta sui recessi più cupi dell’animo umano”. La maggior parte degli autori italiani, che non sono politicizzati come i francesi, va giù in profondità, scandaglia, fa emergere zone oscure, laddove la follia convive con la normalità…In un quadro del genere, ci sta bene anche il gotico, che non vorrei chiamare horror, pur rendendomi conto che il termine sa di antico e non rende affatto questa “nuova” paura del nulla, che serpeggia trasversalmente nel genere. Il mio progetto (non farmelo chiamare “sogno” perché ho 52 anni…) è di contaminare il noir con il gotico moderno, utilizzando esclusivamente paure e tradizioni italiane. E spero che, nel futuro del noir made in Italy, ci sia un piccolo spazio, una nicchia, per questo “esperimento”. La mano sinistra del Diavolo (che, per inciso, ha successivamente dato via ad un romanzo che spero di pubblicare il prossimo anno) è un esempio di tale contaminazione: ci sono i carabinieri, l’indagine, l’interrogatorio, ma ci stanno pure i fantasmi, per quanto sui generis. Gli autori interessanti mi pare proprio che non manchino…Amo tutti quelli presenti nell’antologia, soprattutto Lucarelli, Baldini e Filastò. Ma ne esistono anche altri, che so, Gianfranco Nerozzi che è un vero “horrorista” prestato al thriller, come dimostra il suo Cuori perduti, sempre uscito nei Gialli Mondadori. E ancora, l’antesignano Marzaduri che tredici anni fa mi colpì al cuore con Rito mortale. Ma vorrei ricordare, soprattutto, lo straordinario psicanalista torinese Alessandro Defilippi, autore di Locus Animae e Angeli, thriller metafisici perfettamente calati nella realtà quotidiana e che procedono nella direzione di quella “contaminazione” cui alludevo… Sì, il panorama è ricco e il futuro, sulla carta, roseo. Se, però, il mercato e gli acquirenti di libri ci danno una mano.
Chianese: Lei ha dedicato un saggio a Wes Craven. Ci parli un po’ del suo amore verso questo regista… dei film che le sono piaciuti di più e, soprattutto, perché?
Arona: Sarò sincero…Ho scelto di scrivere un libro su Wes Craven perché nessuno lo aveva ancora scritto. Io sono fatto così. Tento di muovermi in territori inesplorati. Se c’è affollamento (a meno che qualcuno non mi commissioni il lavoro…), non m’interessa. Non amo tutto di Craven e nel libro lo dico chiaramente. Trovo invece assolutamente interessante la sua vita…Uno che a trent’anni chiude con il passato, la famiglia e tutta la sua vita sin lì condotta per fare del cinema, cominciando a fare il fattorino, o qualcosa del genere, in uno studio di serie Z…E ti esce con un film come L’ultima casa a sinistra. Ancora più sincero, ti dirò che Last House allora mi sconcertò. M’infastidiva la violenza, soprattutto perché, ai miei occhi poco più che ventenni, parve che la sua esibizione esagerata serviva a stemperare la noia mortale che quel plot di grado zero mi comunicava…In realtà sbagliavo, ma in Italia nessuno era sintonizzato sulle “vere” motivazioni che stavano dietro a Last House… Soprattutto lo shock bellico, da prima linea, dei primi cronisti televisivi in diretta dal Vietnam… Erano materiali che qui non giungevano e si videro molti anni dopo. In ogni caso, di Craven ho amato, ovviamente, il primo Nightmare e l’ultimo, che non gli è da meno, con quella geniale fusion tra vero e falso, che è poi uno dei suoi temi portanti… Ma il suo capolavoro, per me almeno, resta Il serpente e l’arcobaleno, intensissimo esempio di horror politico, che dice tante verità sui Ton Ton Macoutes e sugli orrori da loro commessi meglio di tante finte commissioni d’inchiesta americane. Il serial Scream è divertente, ma è mestiere… Non amo Craven, invece, quando deborda in zone che non gli competono, leggi La musica nel cuore, una vera sofferenza, e il libro La società degli immortali che non sono riuscito a finire.
Chianese: La stessa domanda vale pure per Stephen King a cui lei ha dedicato un libro che è un must per tutti gli appassionati del re di Bangor: “Vien di notte l’uomo nero”…
Arona: Ohibò…Se ti occupi di horror, devi fare i conti con King. In ogni modo Vien di notte l’uomo nero voleva essere un’analisi del lavoro kinghiano filtrato dal cinema. Quindi, fare qualche punto sul cinema horror (e non solo) degli ultimi vent’anni con qualche considerazione annessa sulla vecchia e insanabile querelle cinema vs. letteratura. Ovvio che abbondava anche il pensiero dell’autore sul re di Bangor, al quale devo parecchie notti insonni. E’ uscito dopo altri libri su King, ma nessuno aveva quel taglio, il che mi ha permesso di poter svolgere il tema con sufficiente serenità. E ovvio anche che la mostruosa, in senso quantitativo, produzione di King non sempre abbia portato acqua al mulino dell’alta qualità, ma cosa possiamo pretendere di più da un uomo? Uno che ha scritto Shining, L’ombra dello scorpione e La metà oscura è da perdonare, sempre e comunque. Il film che amo di più? Mah, come potrebbe essere un altro?…Lo Shining di Kubrick che, per quanto lontano sembri allo stesso King, è quanto di più affine allo spirito del re si sia visto sullo schermo. Persino più affine dello Shining televisivo, da lui sceneggiato e diretto da Garris. Che sia proprio questa magia di Kubrick che Stephen non ha digerito?
Chianese: Lei ha ambientato parecchie storie nella provincia, ma la provincia italiana è davvero cattiva e misteriosa?
Arona: Sicuro, ma non solo. A seconda dei casi, se hai fortuna, può essere tranquilla, vivibile, noiosa, grigia e infruttuosa. Dipende. Per quel che mi risulta, c’è più di una provincia. Io parlo e scrivo solo di quella che conosco bene (la mia, Alessandria e dintorni), dove i mostri esistono e se ne stanno nascosti negli armadi. Puro King, dirai… Appunto. E poi la campagna… Baldini, che è un cantore delle paure rurali delle sue parti, qui da noi troverebbe pane per i propri denti. Del resto sono in buona compagnia a sostenere che il Piemonte è la “Transilvania” dell’Italia. Però non va dimenticato che io mi sto riferendo ad una zona oscura che convive perfettamente con quella in luce, positiva, amabile. Yin e Yang, luce e tenebre, Bene e Male. Ognuno può dare le definizioni che crede. La provincia è il grande teatro dell’eterna lotta. Lo è sempre stata.
Chianese: Se dovesse dedicare un saggio ad un regista italiano di gialli o horror a chi lo dedicherebbe? e sopratutto perchè?
Arona: In prima battuta ti risponderei Michele Soavi, perché ha un mondo interiore affascinante e complesso e gira come pochi. E soprattutto l’argomento è vergine. Purtroppo sarebbe un saggio di poche pagine perché Michele ha pochi titoli all’attivo e quindi editorialmente non proponibile. Magari tra qualche anno mi candido, se torna a girare per il cinema. Ma chi gira più horror o thriller in Italia? Sì, ogni tanto la TV ci prova a colmare il vuoto. Ma i risultati sono quelli che sono. E in TV, è storia vecchia, i linguaggi devono essere misurati, l’intensità bandita, i toni abbassati. Michele, che ha girato alcuni miniserial di crime story per la Mediaset, è forse l’unico esempio in controtendenza. Chissà come c’è riuscito… Tutti gli altri autori, mi pare, sono stati abbondantemente vivisezionati dalla saggistica. Il che li esclude dal novero dei miei interessi. Ma Pupi Avati, il Pupi Avati horror e gotico, mi attizzerebbe…
Chianese: Quali sono gli autori che più hanno inciso nella sua formazione? Tra questi ci sono anche Fruttero & Lucentini?
Arona: Onestamente, dato che parli di “formazione”, non so se ritenermi “formato”. Comunque il mio percorso letterario è gotico, forse in modo non convenzionale. Poe e Lovecraft ai bei tempi, ma anche la mitica serie da edicola “I racconti di Dracula”, nonché Bradbury e Bierce. Spazzatura e alta letteratura, da sempre le due anime dei generi popolari. Gli italiani ho cominciato ad apprezzarli con notevole ritardo. Ma erano Buzzati, Sciascia, Del Buono, Scerbanenco. Personalmente Fruttero & Lucentini non mi hanno scalfito. Questione di sensibilità, presumo. Ma, soprattutto, da metà degli anni Sessanta, sono stato più che altro un vero “addetto ai lavori” in campo saggistico/cinematografico. Nonché un musicista. Per forza di cose e di tempi, la mia “formazione letteraria” potrebbe anche lasciare a desiderare. E’ sempre questione di punti di vista, dato che, nel piacevole marasma della mia vita, ho trovato anche il tempo di laurearmi in filosofia. Roba tosta, tesi di psicoanalisi.
Chianese: Ci parli della sua passione per la musica. Secondo lei le emozioni che essa trasmette sono soggettive o davvero una melodia ha il potere, da sola, di renderci allegri, tristi o incuterci timore?
Arona: Sono un chitarrista. La mia prima uscita in pubblico risale al ’65. Da allora con alti e bassi, tra battute d’arresto e periodi di superlavoro notturno, non ho quasi mai smesso. La musica ha un potere immenso, ma occorre avere le antenne per entrarci in sintonia. Personalmente quella che faccio io è una sorta di ginnastica che mi fa perdere tre o quattro chili per sera. Quando la gente si diverte e balla davanti al palco, siamo di fronte a un classico esempio del suo potere… Timore, paura? Sì, la musica può anche essere questo. Cominciano a circolare materiali molto seri sugli effetti psicogeni dei rave in concomitanza con l’assunzione di sostanze tipo ecstasy. La musica dei rave è il veicolo dell’alterazione di coscienza e, per più di un caso, è il rumore di fondo di molte morti del sabato sera. Sembrano argomenti da predicatori alla Balducci, spazzatura contro la quale mi sono sempre battuto, ma non per questo bisogna chiudere gli occhi. E’ un argomento molto serio e altrettanto spinoso. E perlomeno in questo caso è in gioco la stessa ridefinizione del concetto di musica. In ogni modo ciò che penso al proposito è ben evidenziato in un mio libro che s’intitola Rock.
Chianese: C’è un tipo di letteratura o un autore che davvero non riesce a digerire?
Arona: Francamente no. Mi sforzo di essere il più “aperto” possibile. Sì, ogni tanto capita che abbandono qualche libro per strada. Ma forse sono fenomeni collegati a particolari stati d’animo, chi lo sa…Posso lanciarmi in una provocazione? King e Straub sono due autori che, ovviamente, amo. Straub, poi, ha almeno due capolavori in bibliografia, La casa dei fantasmi e Koko. Ebbene, quando i due scrivono assieme, allora sì che mi va in tilt la digestione.. La fatica che feci ai tempi de Il talismano, ma oggi La casa nel buio non riesco neppure a iniziarlo… Sono l’unico o c’è qualcuno con cui far tana?
Chianese: Lei ci propone dei saggi e dei racconti che mescolano insieme varie culture. A volte i suoi scritti partono da lidi lontani per approdare nella provincia italiana, ma secondo lei l’Italia è multiculturale? E’ abbastanza sprovincializzata per poter competere con i vari paesi multietinici europei? Ad esempio, la Francia?
Arona: L’Italia sta diventando, tra molte contraddizioni, una nazione multiculturale. Soprattutto in ambito metropolitano. Sarà in ogni caso assai improbabile che alcune delle sue specificità provinciali, quando non di provenienza contadina, per questo vengano meno. Sono caratteristiche troppo radicate nel territorio, antiche, non interscambiabili. Fenomeni come il leghismo alla Bossi non ne interpretano che la buccia. Per quella “sprovincializzazione” alla quale alludi occorrerà ancora tempo. Difficile dire quanto. Nei miei lavori è messo in mostra quasi sempre un contrasto culturale sotterraneo. Tra un immaginario americano “colonizzante” in senso wendersiano e un fertile terreno vuoto da colonizzare come la tabula rasa europea (Un brivido sulla schiena del Drago e Rock). Tra la magia tribale degli oppressi di colore e la magia tecnologica del bianco oppressore (Palo Mayombe, il romanzo che si è sviluppato da La mano sinistra del Diavolo). Tra il ritualismo islamico, nascosto e temuto, e quello festoso e cattolico dell’Anno Santo (La stanza dei vetri rotti). Sono alcuni dei grandi temi, non immediatamente percepibili, di una società che sta cambiando. Anche se molti remano contro.
Chianese: Ha mai pensato di far diventare i suoi scritti delle sceneggiature cinematografiche? Come vede il nostro cinema in questo scorcio di millennio?
Arona: Io, che in qualche modo vengo dal cinema (pur se dalla parte spettatoriale della barricata), scrivo inevitabilmente in modo abbastanza “cinematografico”. Da qui a far diventare i miei lavori delle sceneggiature ce ne passa. Se mai dovesse capitare, mi auguro d’incontrare un bravo sceneggiatore. Alla mia età i giochi sono fatti e non ho intenzione di praticare mestieri che non mi competono. Se per “nostro” cinema intendi l’italiano, la vedo come la vedono tutti. Piuttosto male, con la speranza che questa lunga situazione di stallo abbia a finire e che torniamo anche ad occuparci dei grandi generi popolari che ci hanno dato lustro mondiale negli anni Sessanta e Settanta. Se per nostro invece intendi il cinema horror/thriller/noir, comunque trasversale al mare magnum che potremmo definire dark, trovo che ci sia una spaventosa mancanza d’idee (eccezion fatta per quei tre o quattro mostri sacri che conosciamo tutti), mai così ben confezionata come in questi ultimi tempi. Bei contenitori, ottimamente infiocchettati, ma vuoti, senz’anima e intensità. D’accordo, c’è stato l’11 settembre. Ma prima non era meglio.
Chianese: Cosa ne pensa di Internet e delle nuove comunicazioni? Possono davvero dare assuefazione o condizionare come lei stesso asseriva in “Possessione Mediatica”?
Arona: Di Internet e delle nuove comunicazioni penso tutto il bene possibile. In Possessione mediatica ho elencato alcuni (famosi) casi-limite che non ritengo assolutamente indicativi dell’attuale situazione né delle mille potenzialità dei nuovi media. In linea di principio per me vige sempre il detto “sono io che uso”. Peraltro, a scanso di rischi, sono l’unico italiano ad essere felicemente privo di telefono cellulare. Così nessuno mi controlla dall’alto…
Alessandrino, classe 1950: Danilo Arona è il giornalista e scrittore piemontese che più di ogni altro è attivo nel panorama della critica cinematografica e della narrativa di genere. Molteplici sono i suoi saggi sul cinema, che risultano essere una vera e propria manna dal cielo per tantissimi appassionati, ad iniziare dalla sua “Guida al Fantacinema” (1978 per GammaLibri) che oramai è diventato un piccolo cult meritevole di un edizione aggiornata edita nel ’97 da PuntoZero, passando per un saggio specifico sull’horror (“Guida al Cinema Horror”; 1996, Ripostes) ed i suoi maestri: Stephen King (“Vien di Notte l’Uomo Nero”; 1997, FalsoPiano) e Wes Craven (“Wes Craven -Il Buio Oltre la Siepe”; 1999, FalsoPiano) che sono andati a colmare delle vere e proprie lacune nel mondo dell’editoria. Autore poliedrico, sprovincializzato e iconoclasta, Arona, è un amante della musica rock e dei miti del sound come Jimi Hendrix a cui ha dedicato il suo ultimo, splendido, romanzo a racconti: “Il Vento Urla Mary” (2000, PuntoZero) nella cui genesi è caratterizzante il successo del precedente “Rock” (1998) che fu scaricato dal web da così tanta gente che presto, a gran richiesta dei lettori, sarà pronta una pubblicazione cartacea.
Abbiamo incontrato l’autore per scambiare quattro chiacchiere all’indomani dell’uscita di “14 Colpi al Cuore” (Il Giallo Mondadori, numero 2789) un’antologia di racconti noir curata dall’autore francese Serge Quadruppani per far conoscere i nostri migliori giallisti ai cuginetti d’oltralpe; tra i vari racconti di Camilleri, Baldini e Lucarelli era inserito anche “La Mano Sinistra del Diavolo”, del nostro Danilo, che si è rivelato essere uno dei migliori di tutta l’antologia.