Che le cifre oscillino tra il milione e il milione e mezzo, poco importa. A San Giovanni si è tenuto un rito sacro e laico al tempo stesso: il popolo è sceso in piazza. Non la Gente: il popolo. Sembra una categoria ottocentesca e infatti lo è: stiamo vivendo una stagione che non ricorda affatto i Settanta, bensì altri Settanta, quelli dell’Ottocento. La lotta di classe, che non è più una lotta di classe ma di tutte le classi contro una minoritarissima distorta e criminale visione del mondo, non ricorda l’operaismo appena trascorso, ma il protosindacalismo diffuso, orizzontale, inarrestabile. Sintomatica la reazione di Fini, di fronte a un’impressionante manifestazione di dissenso su pensioni e riforma del lavoro: “Non cederemo alla voce della piazza”. Tranquilli: prima o poi chiederà perdono anche di questo sproposito.
Il giorno prima il Nano dixit che è arrivato il momento di abbattere il rigore del diritto internazionale: è il momento in cui la democrazia si esporta con le bombe. Non l’ha detto a L’Occhio o a Reporter, l’ha detto al New York Times. I giornalisti del NYT, che hanno presente il Texas ma non la Brianza, sono rimasti di stucco: non sanno di cosa è capace un brianzolo. Tu gli dài un dito e lui si prende la nazione; tu gli dài un microfono e lui brevetta tutto lo spettro delle onde radio.
Ieri un uomo solo al comando; oggi il gruppone l’ha travolto. Morì anche Fausto Coppi: iniziò proprio così.
Ciò che sta accadendo in Italia è purissima avanguardia: nel peggio ma anche nel meglio.
Siamo il laboratorio in cui la metamorfosi genetica del populismo di destra ha ottenuto i suoi esiti più avanzati: tragici, nella loro comicità, poiché il grottesco è sanguinolento e avanza pretese di dramma – anzi, lo realizza. Raramente si è vista una comunità nazionale venire privatizzata per metà delle sue risorse nell’arco di dieci anni: è avvenuto in Italia. E’ il contrario economico del fascismo: là nazionalizzavano quanto qui privatizzano – il che significa che gli estremi si toccano davvero. Il clima è quello, non c’è che dire. In questo periodo ascolto geremiadi di medici ex forzisti che si lamentano di dovere chiedere, per lettera indirizzata al Ministero della Sanità, un antibiotico urgente che esorbita certi parametri di costo validi per il borsellino di un ottenne. Giro per Milano: c’è quella che qui, in dialetto di ligera, si chiama ‘rella’: sarà più chiaro se traduco con ‘ghe n’è minga’. Un Natale sottotono: però il tono era già quello di un laringotomizzato. A Milano c’era la nebbia, ai bei tempi: oggi c’è una deflazione argentina. Da decenni non si vedevano le sciure affollare le bancarelle del mercato rionale per approvvigionarsi di cazzate: non faceva più ‘fino’ da un bel po’ di tempo. E l’altro giorno, a ‘Quei dei Tredesin’, versione di quartiere della più nota fiera ‘Oh bei! Oh bei!’, ho visto – giuro – Lina Sotis comprare un foulard. Ho amici disoccupati: non sono io che porto sfiga, è che a Milano, se ti fai un amico, oggi te lo fai disoccupato in un caso su due. Quelli che lavorano hanno ormai esaurito ogni sforzo linguistico per insultare la memoria del povero Marco Biagi: andate nelle corporate che sfruttano soltanto outsourcing, e poi mi spiegate cos’è un ‘contratto per progetto’. Per non parlare di quello che il citoyen medio allucina quando schiaccia l’accensione del televisore. Oppure quando sfoglia le paginone bianconere del ‘prestigioso’ quotidiano di via Solferino, che ha relegato la notizia dell’intervista amerigana del Signor B a pagina 6, in taglio basso. Intanto quello che speri venga a mettere a posto i cassetti in disordine, da Bruxelles, con la sua faccia da salume iscariota, afferma che “o l’Europa fa le riforme o il continente verrà cancellato dalla mappa del pianeta”. E il suo fratellino maggiore, che vegeta insieme all’edera al Quirinale, rinforza: “Ricordiamoci che al centro di tutto c’è il consumatore”. In più, siamo in guerra e non si perde tempo a invocare leggi speciali che facciano perno sulla limitazione delle libertà fondamentali. Scendi in metropolitana e, al posto dei finti bosniaci che suonano il piffero, ci sono pulotti circospetti. Ieri, in piazza Meda, ventidue camionette e uno schieramento da Risiko metropolitano. Iniziano a saltare i servizi fondamentali, dall’erogazione dell’acqua alla luce al pubblico trasporto. Si tiene la Conferenza sul Clima a Milano: ne parlano soltanto per dare risalto alle cazzate di una seconda linea del Cremlino. Stanno tutti aspettando la bomba islamica: lo avverti con la certezza cartesiana di chi sa di avere puntato a una tris truccata.
Ok, questo è il peggio. Veniamo al meglio.
Il meglio è un milione e mezzo di meglio. Sono pensionati, impiegati, studenti, collaboratori con ‘contratto a progetto’, mamme, malati, extracomunitari con regolare inutilissimo permesso a cui impunemente si dà del ‘bingo bongo’, intellettuali, operai, operatori del pubblico, assistenti sociali alla fame, ex borghesi neoproletari – insomma un popolo, molto determinato a non farsi falcidiare dall’opportunismo di una ghenga che fa leggi in tasca sua e in culo al Paese. Questo movimento di persone, che si aggrega e si disaggrega e boicotta civilmente consumi criminali ed espone bandiere di pace e pensa e propone e comunica, è l’Anomalia italiana: è questa, non il signore che straparla ai microfoni newyorchesi. Questa Anomalia, ormai ogni anno, scende in piazza e non desiste: c’è. Non è un partito, ma i partiti sono all’angolo e devono farci i conti. A Parigi, centomila persone in manifestazione per il Social Forum; a Roma, un milione e mezzo in piazza. Il Movimento passa per l’Italia. L’Europa passa per l’Italia.
L’Anomalia dei Moltissimi è destinata a travolgere l’anomalia dell’uomo solo, che pensa di essere al comando e invece è in fondo al gruppo, non rimonta più in sella, gli fa troppo male la prostata.
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