[Valgano queste sconcertanti rivelazioni, del tutto già conosciute, come risposta agli scetticismi che qualche isolato aveva sollevato a proposito dell’intervento Body Bags]
da L’Unità, 1.12.03
L’accusa del generale con l’uranio in corpo
di MAURA GUALCO
Un generale dell’esercito italiano esce allo scoperto e lancia il suo
pesante j’accuse contro il ministero della Difesa e la commissione
Mandelli, nata con lo scopo di far luce sull’uranio impoverito e sugli
effetti letali che esso ha avuto sulla salute di molti militari, morti o
ammalati.
«Tutti quelli che hanno fatto il mio tipo di attività sono nelle condizioni
di inspirare tante altre polveri di metalli che possono essere direttamente
o indirettamente collegate all’uranio impoverito. La mia malattia è legata
alla mia attività e alla luce di quello che mi hanno trovato, è stata
accertata la presenza di particelle di metalli pesanti».
«Non sono mai stato visitato dalla “commissione Mandelli”. Non so perché.
Non mi hanno chiamato bisognerebbe chiederlo al professor Mandelli o a chi
ha pilotato la commissione. Io sono uno dei casi che pur facendo parte
degli elenchi da sottoporre al controllo non sono stato mai chiamato».
Il generale Fernando Termentini, impegnato in tutti i più importanti teatri
di guerra, dal Golfo e Kuwait del 1991 ai Balcani nel 1999, in operazioni
di bonifica dei territori bombardati, contribuisce, con un’intervista
rilasciata a Sigfrido Ranucci, giornalista di Rainews24, a far luce su un
capitolo nero del Ministero della Difesa.
Nell’organismo del militare, la dottoressa Antonietta Gatti dell’Università
di Modena, ha trovato micropolveri di metalli pesanti inalati o ingeriti in
conseguenza di esplosioni di materiali altamente pirofili, quale proprio
l’uranio impoverito. Esperta in nanopatologie – malattie provocate da micro
e nano particella – ha esaminato sangue e sperma di alcuni soldati malati o
deceduti e il risultato in tutti i casi è stato: presenza di particelle
pesanti (zinco, rame, zinconio, ferro) che si ottengono soltanto ad
altissime temperature raggiungibili in presenza di uranio impoverito.
Microparticelle, dunque. Le stesse notate dalle autorità militari
statunitensi dopo alcuni esperimenti condotti nel 1977 nella base di Eglin,
in Florida. Dice, infatti, il generale Termentini: «Io dormirei con un
proiettile all’uranio sul comodino… non dormirei con la stessa tranquillità
in un punto dove è esploso in quanto potrei correre il rischio di ingerire
sostanze tossiche».
Il pericolo, per il generale Termentini, è «non dal punto di vista
radiologico ma dal punto di vista chimico». Poi ricorda: «Ho denunciato il
pericolo chimico dell’uranio impoverito e ho lanciato l’allarme, oserei
dire globale, perché ho detto attenzione che si conteranno i fatti, le
cause fra qualche anno sulla popolazione».
E mentre i soldati americani venivano addestrati a bonificare proteggendosi
con particolari maschere e tute, e a non mangiare o bere in prossimità di
siti bombardati dall’uranio impoverito, i nostri militari bonificavano,
invece, privi di qualsiasi accortezza. Perché?
«Non era la procedura». Come avvenivano operazioni di bonifica? «Secondo i
criteri normali – spiega il generale – trovavi la roba e la distruggevi.
Senza particolari protezioni: nella procedura non è previsto».
Bombardare luoghi abitati dai civili, invece, era evidentemente previsto.
Così, chi è sopravvissuto alla pioggia di fuoco, in alcune zone della
Serbia sta morendo di cancro.
Come ad Hadzici, quartiere serbo bosniaco nelle vicinanze di Sarajevo, dove
sono stati sparati, come indicano le mappe della Nato, 3400 ordigni
all’uranio impoverito soltanto tra il 5 e l’11 settembre del ’95. Ad
Hadzici, una comunità di 5000 anime, ogni anno muoiono 150 persone di tumore.
Il professor Nedan Luijc, dell’ospedale civile “Banjica” di Belgrado, si
occupa del pazienti serbi provenienti dalle zone bombardate. «Un paziente
di 48 anni è venuto da me con tre tumori diversi, non ho mai visto una cosa
del genere. Non so se dipenda dall’uranio impoverito – dice il professore –
ma vi chiedo se nei paesi occidentali esiste una comunità di 5000 persone,
come quella di Hadzici, dove ogni anno muoiono 150 persone di tumore».
In cinque anni, aggiunge il professor Branko Sbutega, primario del reparto
di ortopedia oncologica, «i casi di tumori sono aumentati del 70 per cento
e i malati sono sempre più giovani di 20, 30 anni. Abbiamo lanciato
l’allarme in un convegno internazionale più di due anni fa. Nessuno se n’è
mai interessato».