di Pierangelo Hobo Rosati
Dormivano in una baracca abbandonata, uno dei tanti rifiuti architettonici che costellano la periferia romana. Erano sei, immigrati dalla Romania, a modo loro eroici nell’ostinata resistenza ad una vita di stenti e di porte sbattute in faccia. Un incendio, forse causato da una candela, ha posto drammaticamente fine ai loro sogni di migranti. Quattro sono morti, due sono in gravissime condizioni.
Storie comuni a migliaia di altre: la fuga dalla miseria, le umiliazioni e lo sfruttamento lavorativo, l’assoluta impossibilità di trovare un alloggio. Stranieri in una terra che non sembra affatto abitata da “brava gente”; forza lavoro, ma non esseri umani; utili ai caporali del sommerso come manodopera a buon mercato, ma inesistenti e invisibili a chiunque negli altri tempi di una vita che non può che ridursi alla continua speranza di mettere insieme un pasto e un giaciglio di fortuna. Fantasmi di cui il nostro “popolo di santi” rifiuta di incrociare gli sguardi; di cui si accorge solo quando qualcuno, spinto dalla disperazione, varca i limiti della legalità.
Noi italiani, brava gente, non possiamo permetterci di sostenere la miseria di altri, stranieri, alieni; abbiamo l’ultimo modello di videotelefonino mms a cui pensare. Al limite ci offriamo volentieri ad andare ad aiutarli “a casa loro” – con o senza armi – unendo magari l’utile al dilettevole di dare riscontro alla generosità tipica della nostra indole con un certo beneficio economico.
E mentre a Roma si muore perchè costretti a dormire dove capita, a Treviso, nel cuore del prosperoso Nordest che proprio al lavoro degli immigrati deve il suo “miracoloso” sviluppo, si sgomberano due centri di accoglienza per stranieri. Veri modelli di convivenza tra cittadini marocchini, ghanesi, senegalesi, occupati e autogestiti con l’aiuto di volontari di associazioni antirazziste, da ormai 3 anni i centri di Sant’Artemio a Treviso e dei Sacramentini a Casier hanno saputo aggregare esperienze diverse per affermare la dignità di tutti gli esseri umani, offrendo, oltre alla possibilità di un alloggio dignitoso, anche percorsi formativi e di integrazione sociale e culturale.
Nello stesso giorno del lutto nazionale per le vittime di una guerra mai dichiarata, la polizia ha chiuso per sempre queste esperienze di solidarietà umana. Le urla di protesta degli umiliati e offesi sono state naturalmente sommerse dal muro di silenzio di stampa e televisione. A loro ormai non resta che tornare al degrado da cui erano emersi, tornare a lottare, oltre che contro le ostilità e le incomprensioni della gente, anche contro il clima gelido e l’incombente pericolo che una candela accesa per vincere le tenebre possa trasformarsi nel loro ultimo, definitivo incubo.