di Luigi Cipriani

_38090205_agnelli150.jpgQuesto intervento risale a un bel po’ prima della crisi attuale dell’ex colosso Fiat: siamo alla fine degli Ottanta. Qui non c’è un problema di memoria storica: si tratta di attualità di allora. E di adesso: si consideri, alla luce della presenza di Gelli in questo articolo, la deriva che assunse la lotta sindacale; e si confronti il tutto con quanto sta succedendo, che so?, all’Alfa di Arese oggi, a pochi giorni dall’entrata in vigore della legge Biagi. In coda, un’intervista rilasciata da Cipriani a Radio Popolare nell’85, su Marcinkus e il caso Calvi [gg]

La più grande industria privata italiana nel 1976 è in crisi economica (crisi petrolifera e dell’auto) e di immagine, pesantemente coinvolta nelle trame golpiste anche se coperta dagli omissis del governo e dalle insabbiature della Procura di Roma. Tutti i governi europei si proposero di tagliare i finanziamenti all’industria automobilistica, ormai senza futuro, per favorire altri settori.
A partire dal 1976 si assiste ad un improvviso ribaltamento della situazione e la Fiat si trova al centro di un fronte vastissimo di alleanze. Il ministro delle partecipazioni statali Bisaglia, rompendo alleanze che avevano contribuito nel passato a fondare il sistema di potere Dc con Fanfani e Andreotti -Iri ed Eni- decise di ridimensionare l’intervento pubblico per favorire i privati. Infatti furono tagliati i fondi in dotazione per la siderurgia, per l’Alfa Romeo ed altri, originando quella spirale di repressione che tuttora attanaglia le partecipazioni statali.

Verranno votate leggi su misura per la Fiat, con l’introduzione della cassa integrazione a zero ore e la fiscalizzazione degli oneri sociali. Agli Agnelli venne consentito di scaricare sull’Iri una serie di settori in forte perdita (acciaierie di Piombino, Aeritalia, Teksid, Grandi motori di Trieste)..Nel 1973 gli Agnelli cedettero il Corriere a Rizzoli, che oggi sappiamo iscritto a P2 e successivamente la compagnia di assicurazione Sai a Raffaele Ursini, notoriamente socio di Sindona e massone di piazza del Gesù. Nel 1976 i tre istituti di medio credito di proprietà dell’Iri -Mediobanca, il cui capo è Cuccia, massone internazionale, L’Imi e l’Icipu ai cui vertici erano banchieri P2- concessero alla Fiat il consolidamento del debito con perdite per l’Iri di centinaia di miliardi. Successivamente Cuccia “convincerà” l’avvocato ad ingaggiare Cesare Romiti, il quale diverrà l’artefice del piano di ristrutturazione della Fiat. L’azienda torinese ingaggiò anche altri personaggi quali il generale Francesco Mereu, presidente dell’Unione militare di Roma e iscritto alla P2, a dirigere il settore carri blindati ed il generale Giuseppe Giraudo a dirigere il settore missilistico, la Motofides.
Nel 1978 dopo l’assassinio di Aldo Moro, l’auspicato intervento del capitale straniero avviene e massiccio. Le autorità monetarie consentirono a numerose banche Usa di aprire filiali nel nostro paese (Manifactures Hannover trust, Inrving trust company, Wells fargo) con relativi sportelli (Security pacific). Le banche estere, tedesche americane e svizzere, dirottano i risparmi dei loro clienti verso la borsa di Milano. Tutti i titoli azionari -compresi quelli delle industrie decotte- subirono aumenti rilevanti: le Montedison salirono del 102%, le Snia 60,8%, Acqua marcia 70,8%, Rinascente 95,2%, le Fiat aumentarono del 40,5% superando per la prima volta le tremila lire. Un vero pompaggio di ottimismo nel capitalismo italiano, nel momento in cui i governi di unità nazionale entravano in crisi e l’assassinio di Moro rimetteva in moto le forze della destra dc. Nel 1979, la Fiat è nel mirino delle Br. Romiti usa la copertura del terrorismo per licenziare sessantuno lavoratori, accusandoli di essere fiancheggiatori. La risposta della Flm sarà estremamente debole, aprendo il varco alle ulteriori azioni pianificate dell’amministratore delegato.
Nel giugno 1980 -la sequenza delle date a questo punto è molto importante- Umberto Agnelli che ha intrapreso la vita politica diventando senatore dc, annuncia che alla Fiat ci sono quarantamila lavoratori di troppo e che dovranno essere licenziati. L’annuncio lascia freddi i partiti tradizionalmente alleati; Donat Cattin si esibirà in un violento attacco nei confronti di Umberto Agnelli e anche la Confindustria diretta dal dc Merloni, non appoggerà la Fiat. Il Pci che amministra Torino e la Flm ovviamente reagirono, dichiarandosi pronti ad occupare la fabbrica, mentre in tutto il movimento operaio ci si prepara a respingere un attacco giustamente considerato di valore politico generale.
Il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna avviene la strage: ottantacinque morti e duecento feriti. Sono note le vicende successive dell’inchiesta: contrasti tra magistrati, piste nere fasulle che portano al solito nulla di fatto. Più tardi, nel 1984, avvengono però due fatti importanti, il generale Spiazzi (Rosa dei venti) ora in pensione viene nuovamente arrestato in riferimento ai suoi movimenti a Bologna nei giorni della strage. Successivamente il giudice Sica fa arrestare il generale Musumeci del Sismi, vice di Santovito e il colonnello Belmonte e li rinvia a giudizio per “avere tentato di depistare le indagini dei magistrati di Bologna per proteggere i mandanti ed esecutori, della cui identità i due sono a conoscenza”. Il generale Musumeci che nel Sismi copriva la carica di responsabile dell’ufficio “I”, che non segue le vie gerarchiche ma risponde del proprio operato direttamente alla struttura dei servizi della Nato, si rifiuterà di rispondere invocando il segreto di stato. Le prove raccolte contro Musumeci, iscritto alla P2 sono schiaccianti: il 13 gennaio 1981 il Sismi confezionò una valigia con armi esplosive e vi inserì anche due biglietti di aereo Parigi-Monaco (città nelle quali avvennero attentati nel medesimo giorno di Bologna) assieme a quotidiani delle due città e fece finta di rinvenirla casualmente sul treno Taranto-Milano. Dopo la brillante impresa, Belmonte e Musumeci si presentarono al giudice di Bologna fornendo i nomi di quattro cittadini tedeschi descritti come gli autori della strage e che invece risultarono esserne del tutto estranei. A rendere evidente la montatura fu proprio il ritrovamento dei quotidiani stranieri, non in vendita a Taranto né lungo il percorso: li aveva messi a Roma il colonnello Belmonte. Ancora una volta i servizi segreti militari legati alla Nato e alla P2 sono al centro di una strage che torna a colpire dopo un periodo di stasi.
Ma torniamo alla Fiat. Pur sentendosi isolata, la Fiat decide di passare all’attacco ed a un mese dalla strage, nel settembre 1980, annuncia quindicimila licenziamenti. Il resto della storia, lo ricordiamo bene ma lasciamocelo descrivere molto efficacemente dal giornalista Fiat Giuseppe Turani che ancora nel 1984 sull’Espresso non riesce a nascondere l’ammirazione per il proprio padrone: “La Fiat marcia a ranghi compatti e a settembre annuncia quindicimila licenziamenti. E’ la rivolta della Flm. La lotta dura trentacinque giorni, ma a fine ottobre i torinesi non ne possono più: migliaia di impiegati quadri e operai scendono in piazza contro il sindacato. E’ la marcia dei quarantamila che segna la fine del potere dominante del sindacato, non solo a Torino. Da quel momento, la Fiat affonda il coltello nel burro: i dipendenti dell’auto passano dai centotrentasettemila del 1980 agli ottantaduemila del 1984 e ancora ne crescono. L’assenteismo scende dal 20% al 5%: il padrone fa di nuovo paura. L’autunno caldo è ormai dimenticato, non conta più”.
Certamente la marcia dei quadri ebbe un peso politico determinante nella sconfitta della Flm, ma determinante è stato il sostegno economico che la Fiat ha potuto avere in varie forme dal governo (tremila miliardi). Sulla marcia dei quarantamila dobbiamo dire però che essa è rimasto un fenomeno esclusivamente torinese, è fallito il tentativo di organizzare i quadri a Milano e a Genova, nonché sul piano nazionale. E va ricordato che a Torino la Fiat ha sempre finanziato sindacati gialli dai tempi di Valletta, col golpista Cavallo e il solito Sogno ex partigiano bianco, in questo simile al leader dei quadri Fiat, Luigi Arisio. Alla fine della lotta dei trentacinque giorni, Romiti vincente lanciò un durissimo attacco alla Flm e ai partiti (con un linguaggio che il giornalista Gianpaolo Pansa della Repubblica ha definito golpista) ma anche contro la Confindustria, definendola un’associazione al servizio dei partiti.
Il 5 ottobre 1980 nel pieno della lotta Fiat e dopo la strage di Bologna, Licio Gelli nella sua arrogante intervista al Corriere a sua volta attacca la Confindustria, usando le stesse parole di Romiti. Citiamo integralmente: “la Confindustria penso che abbia solo un ruolo rappresentativo. Potrebbe fare meglio se riuscisse a sganciarsi dai carri politici”… Dopo la vittoria nella campagna d’ottobre, il generale Romiti (fervente reaganiano per sua dichiarazione) passa all’attacco degli altri obiettivi previsti dal piano di rinascita. La Fiat, superate le divergenze con la Confindustria, trascinerà tutto il padronato pubblico e privato all’assalto della scala mobile. La vicenda del decreto Craxi sul taglio dei punti della scala mobile rappresenta una applicazione da manuale del piano di rinascita, in materia di costo del lavoro e di rottura col sindacato. Ricordiamo che la figlia dell’ambasciatore Usa, Gardner, ha scritto nella sua tesi di laurea sulla politica italiana, che il decreto Craxi fu fatto esplicitamente per questo scopo. Come prevedeva il piano, puntando sulla Uil il cui segretario Benvenuto dal 1976 fa parte della Trilateral assieme ad Agnelli, e sulla Cisl che hanno firmato l’accordo sul taglio dei quattro punti dal 1984, la rottura già latente del sindacato è stata definitivamente sancita, isolando la Cgil.
Sul carro dei vincitori ora salgono tutti, la Fiat torna ad essere il polo politico di riferimento per il grande padronato italiano e per i partiti, non solo quelli di governo. Entra in azione il massone Cuccia, padrone privato di una struttura pubblica, la Mediobanca (che malgrado il nome non è una banca e neanche un istituto di medio credito e si limita a custodire novecento miliardi in titoli di tutte le più grandi società: Fiat, Pirelli, Generali, Fondiaria, Snia, Gim, Olivetti, Mondadori, Caffaro, Montedison, Snia-Bpd, Burgo, Gemina che vengono scambiati al di fuori di qualunque controllo, nei salotti della grande borghesia) e gran regista della rinascita Fiat. Nel 1983 mettendo insieme Fiat, Pirelli, Orlando e Bonomi (la cui madre Bolchini, piduista, si impegnò con Gelli, Edgardo Sogno e Calvi per ottenere la scarcerazione di Sindona negli Usa) nella Gemina e congelando contemporaneamente le azioni in mano pubblica Iri ed Eni, trasferisce il controllo di Montedison nelle mani della Fiat. Nel 1983 la Fiat, sempre sotto l’auspicio di Mediobanca, acquisisce anche il controllo della Snia, industria chimica appetibile perché produce esplosivi, missili, propellente e motori spaziali. Con questa acquisizione Fiat diventa di gran lunga la più importante fabbrica d’armi italiana, che produce dalle spolette ai sofisticati sistemi missilistici. La famiglia Agnelli dalla morte di Calvi amplierà il proprio impero industriale nel settore finanziario, acquisendo il controllo delle assicurazioni Toro, le quali controllano a loro volta il 13% della Ras.
Un altro obiettivo del piano di rinascita è stato messo a segno dagli Agnelli, complice Cuccia: il controllo attraverso l’operazione Gemina della Rizzoli-Corriere della Sera. Di fatto oggi la Fiat è il più grosso gruppo editoriale italiano: controlla La Stampa e il Corriere della Sera, attraverso Montedison il Messaggero e tramite Rizzoli in compagnia della Dc, il Mattino di Napoli. Della Rizzoli fanno parte anche due settimanali citati nel piano, Il Mondo e l’Europeo. Va aggiunto che gli Agnelli già controllavano la Fabbri editore e tramite la finanziaria Consortium sono presenti nella Mondadori. Se agli Agnelli aggiungiamo Silvio Berlusconi (anch’egli presidente nella Consortium) notoriamente piduista, dobbiamo dire che nel campo del controllo dell’informazione il piano di rinascita è stato realizzato al 100% (con il controllo della Rai attraverso il pentapartito). Va detto che l’appoggio dato in particolare dal Psi e da Craxi per la realizzazione del progetto informazione, non solo è stato determinante ma talmente evidente da essere arrogante. Si va dai decreti anticostituzionali fatti su misura per Berlusconi, all’avere dato l’imprimatur della legalità nel dibattito parlamentare in merito all’operazione Fiat-Rizzoli, palesemente fuorilegge, perché concentra ben più del 20% (massimo previsto dalla legge sull’editoria) del totale delle vendite dei quotidiani.
Nel 1984 la Fiat ha riacquistato anche il controllo della Rinascente, la marcia su Milano prosegue. A Torino le cose la Fiat le ha sistemate da tempo. Col sindaco Novelli si lavora molto bene dice l’avvocato, lo scandalo delle tangenti ha messo in crisi tutti i partiti, gli stabilimenti chiusi, rimangono da sistemare migliaia di cassintegrati passati e futuri. Anche in questo caso Fiat ha trovato l’accordo col Pci e la Fiom torinese, il governo è d’accordo, si faccia quindi una legge Fiat per il prepensionamento a cinquant’anni. A Milano la Flm si oppone, vi sono i magistrati del lavoro che più volte si sono pronunciati a favore dei cassintegrati, trascinando anche magistrati torinesi. Alla cassa integrazione a zero ore, al mancato pagamento dei decimali di scala mobile si risponde con vertenze aziendali, ove si richiede anche la riduzione dell’orario. La risposta Fiat sono i cinquecentosette licenziamenti alla Magneti Marelli, per l’80% donne. Il governo interviene a sostegno della Fiat con una mediazione ministeriale, che ai licenziamenti sostituisce la cassa integrazione a zero ore a perdere ma contemporaneamente prepara il terreno per la legge sul prepensionamento a cinquant’anni. La Fiat non anticiperà il salario ai cassintegrati, nella legge finanziaria sono inserite clausole che renderanno problematico il pagamento della cassa integrazione, le organizzazioni sindacali unite accettano i prepensionamenti. Attraverso l’uso ricattatorio del referendum, tra lavoratori abbandonati dal Pci e da Fiom e Uilm -che con un vergognoso voltafaccia hanno sottoscritto l’ipotesi governativa- si arriva all’approvazione della proposta governo-Fiat-Pci. Ancora una volta, l’azione congiunta Fiat-governo, con l’appoggio del Pci, è arrivata alla rottura dell’ultimo spezzone di sindacato unitario, la Flm milanese.
Rimane da realizzare ancora un punto di interesse politico generale del piano ed è quello della riforma costituzionale. Alla domanda di Gianpaolo Pansa “Dicono che a Romiti non piace la democrazia imbelle”, l’amministratore delegato risponde “A lei piace? Ogni democrazia ha il dovere di saper prendere decisioni, di rifiutare il caos assembleare. In Italia qualche sintomo di miglioramento c’è stato. Bisogna ancora fare molto, ma c’è maggiore consapevolezza. E chi tira nella direzione giusta è più la gente che la classe politica, per questo sono ottimista”.
Ha ragione De Mita, questa Fiat fa paura. Sotto le sapienti mani del presidente di una banca pubblica si è venuto formando in Italia un mostro di concentrazione economica privata, che fatte le dovute proporzioni non ha riscontro neppure negli Usa…

IL CASO CALVI
Intervista di Luigi Cipriani a Radio Popolare (1985)

Domanda. Parliamo di Marcinkus.

Risposta. Un uomo del Vaticano, ma non solo. E’ un personaggio che intreccia contemporaneamente diversi ruoli, è in realtà anche legato ai servizi segreti. Questo è un aspetto finora poco conosciuto di Paul Marcinkus..

Domanda. Molti, sull’intervento dello Ior nel mondo finanziario, in questo caso attraverso Calvi, parlano di una contrapposizione di potere tra una finanza prettamente cattolica ed una laica. Esiste, è esistita questa contrapposizione?

Risposta. Non si possono dare definizioni così schematiche. Ci sono stati momenti di scontro, momenti di alleanza fino a che, poi, la situazione è precipitata innescando la crisi che ha portato al fallimento del Banco ambrosiano. E’ necessario vedere prima come si è arrivati a questo famoso buco, a questo famoso fallimento. Sul piano delle responsabilità, per esempio, se io fossi uno dei giudici porterei sul banco degli accusati la Banca d’Italia. Mi spiego. Nel 1978 si sapeva da anni che il Banco ambrosiano operava sull’estero esportando capitali attraverso lo Ior e operava in Borsa (non nella borsa ufficiale, ma nel borsino) facendo salire i propri titoli acquistando proprie azioni, e questo non è legalmente possibile. Nel 1972 il senatore Merzagora scrisse una lettera al governatore della Banca d’Italia Carli segnalando questi fatti. Nel 1978 ci fu l’indagine della Banca d’Italia e il responsabile dell’indagine, Paladino, disse chiaramente che il Banco operava illegalmente sull’estero, faceva operazioni di aggiotaggio in Borsa e presentò, lui, denuncia alla magistratura; mentre la Banca d’Italia si rifiutò di farlo perché questo, ovviamente, voleva dire andare a colpire il Vaticano, le cui protezioni politiche erano fortissime. Credo che una delle ragioni per cui Carli ha dato poi le dimissioni sia questa storia che lui ha dietro e per la quale corre il rischio di essere incriminato. Quindi è andato a fare il senatore per la Democrazia cristiana.

Domanda. Hai parlato di protezioni politiche. E’ evidente che, quando si fa un’analisi di questo mondo finanziario, si deve tener conto dei legami politici più stretti, dei giochi di potere che esistevano. Possiamo fare un quadro di chi guidava e di chi era accodato alla cordata di Roberto Calvi da un punto di vista politico?

Risposta. Chi guidava era essenzialmente il Vaticano. La dimensione politica dell’intervento vaticano è stata sempre ridimensionata, ridotta a una semplice questione di esportazione di capitali, di uomini di malaffare. Non è affatto così. Se noi analizziamo il ruolo che il Banco ambrosiano ha avuto sul piano internazionale, con una serie di proprie banche aperte in tutti i paesi del Sudamerica, vediamo che il Banco ha finanziato tutti i regimi di destra e autoritari.

Quindi c’è un intervento politico del Vaticano in Sudamerica e questo in accordo col Presidente degli Stati uniti, per impedire che ribellioni popolari abbattessero i regimi di destra. Il Banco ambrosiano ha finanziato l’acquisto di armi, molto spesso di industrie italiane, per l’Argentina, per il Nicaragua e per tutti i Paesi governati da regimi di destra. In Cile è stata costituita addirittura una finanziaria insieme a Pinochet. In Nicaragua, quando Somoza entrò in crisi, il Banco di Managua, che faceva capo al Banco ambrosiano, dirottò centinaia di milioni di dollari per sostenere il dittatore.

Domanda. Questi sono aspetti che le inchieste giudiziarie hanno toccato pochino.

Risposta. Ma sono gli aspetti che stanno dietro al buco che si è realizzato. Ottocento milioni di dollari, su un complessivo buco di milleduecento, sono stati appunto dirottati all’estero sulle finanziarie sudamericane del Banco ambrosiano. Quindi il finanziamento di questi regimi è il retroterra del buco di milleduecento milioni di dollari, non è affatto una fase separata. Se poi questo rientri nelle possibilità d’intervento della magistratura non so dire, ma il retroterra è questo.

Domanda. Si parlava infatti delle centrali finanziarie che lo Ior controllava direttamente da Panama un po’ in tutto il Sudamerica.

Risposta. Sì, e qui c’è la possibilità di intervenire nella famosa questione delle lettere di patronage..

Domanda. Quelle per cui sono stati colpiti da mandato di cattura Marcinkus, Pellegrino De Stroebel e Mennini?

Risposta. Sì. I magistrati milanesi sono arrivati a chiarire che le lettere di patronage erano una pura finzione, una garanzia che lo Ior aveva dato alle filiali del Banco ambrosiano per i depositi che erano stati dirottati per altri lidi. E’ emerso che a capo di questa struttura di finanziarie e filiali estere c’era il Banco ambrosiano Overseas di Nassau nelle Bahamas.

Era già possibile, senza che ci arrivassero i magistrati, chiarire la vicenda dai lavori di una commissione paritetica costituita tra governo italiano e Vaticano, che è sfociata in un accordo amichevole (lo Ior ha pagato 251.000.000 milioni di dollari senza però assumersi alcuna responsabilità). La relazione di questa commissione chiarisce infatti molto bene che Calvi non aveva affatto una parte effettivamente dirigente all’interno del Banco ambrosiano e che chi dirigeva tutto era Marcinkus. Ti voglio leggere alcune righe della relazione, dove si parla molto chiaro. “Risulta dai verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione che alla maggior parte di esse era presente Paul Marcinkus. Partecipò a ventitrè riunioni su venticinque e firmò tutti i documenti. Una postilla di questi documenti chiariva che Calvi era autorizzato ad operare al di sotto dei 10.000.000 di dollari”. Quindi le operazioni delle lettere di patronage sono state tutte gestite direttamente e sottoscritte ufficialmente da Marcinkus. Anche da questo punto di vista, quindi, le cose sono ormai molto chiare.

Domanda. Tra i personaggi che si accostano alla storia di Roberto Calvi c’è quello che è considerato il ‘latitante numero uno’ d’Italia, Licio Gelli. Possiamo fare anche una ricostruzione parallela della vicenda della P2 e quella del Banco ambrosiano?

Risposta. Sì, lo facciamo attraverso la vicenda del Corriere della Sera. Da un lato, il Banco ambrosiano aveva assunto una dimensione economica notevolissima anche attraverso alleanze con settori tradizionalmente legati alla finanza vaticana più retriva, cioè i Pesenti e i Bonomi, anche loro piduisti. Dall’altro, c’era questa grossa operazione in corso per l’acquisizione del Corriere della Sera che Calvi aveva acquisito con la finanziaria La Centrale. C’era la necessità di un aumento di capitale della Rizzoli per ripianare i debiti, che erano attorno ai 300 miliardi. A questo punto interviene Gelli con la P2, per creare una rete di sostegno a questa operazione ed acquisire i capitali necessari per andare in porto.

Anche questa operazione è stata vista come acquisizione del controllo diretto da parte della P2 di Gelli del Corriere della Sera. In realtà, la storia non è questa. Noi dobbiamo vedere in questa vicenda il ruolo della P2 e di Ortolani, l’altro personaggio che insieme a Gelli entra in questa operazione come un sostegno al progetto del Vaticano. C’è un intrecciarsi di forze che ritroviamo sempre, ma ancora una volta l’operazione è diretta da Calvi e dal Vaticano e gli altri si muovono per cercare di trovare gli accordi ed i mezzi finanziari necessari per coprire questo buco.

Poi l’operazione saltò perché Calvi fu arrestato e venne fuori tutta l’operazione successiva. Teniamo dunque presente il ruolo di Gelli e di Ortolani. Fra l’altro, Ortolani non è un piduista, è legato al Vaticano direttamente, attraverso l’Ordine dei cavalieri di Malta. Quindi, ancora una volta una struttura clandestina che opera in funzione dei progetti vaticani, della quale fan parte, tra gli altri, Andreotti e Alexander Haig, quell’ex comandante delle truppe Nato in Italia e ministro degli Esteri di Reagan che introdurrà nel gioco Pazienza, un altro degli uomini che entrano in questa vicenda.

Domanda. Dalla tua ricostruzione emerge un ruolo, diciamo così, pubblico di Roberto Calvi come presidente del Banco ambrosiano ma sostanzialmente di copertura di giochi politici, oltre che finanziari, ben più ampi da parte del Vaticano. Possiamo fare anche una ricostruzione delle alleanze politiche più evidenti rispetto a questo gioco del Vaticano?

Risposta. Le alleanze più evidenti sono quelle tradizionali della Democrazia cristiana. Calvi ha finanziato la Dc, ha finanziato operazioni in diretto rapporto con società finanziarie della Dc: per il controllo, ad esempio, di settori di stampa nel Veneto, attraverso Piccoli che è quello che si occupa di questo settore nella sua regione. Le coperture di queste operazioni sono sempre state molto dirette e molto esplicite. Persino all’ultimo momento, nel 1981, quando ormai la Banca d’Italia non poteva più coprire, perché il buco era diventato enorme e le banche estere che avevano prestato soldi a Calvi premevano, Andreatta, che era ministro del Tesoro, va in Vaticano per informare il Papa che non c’è più possibilità di coprire l’operazione ed è quindi necessario trovare una soluzione, chiedendo anche l’intervento dello Ior. Ma poi, come sappiamo, lo Ior non intervenne. Era, dicevo, il 1981, prima del crollo di Calvi.

L’altro rapporto è col partito socialista, che pure ha avuto finanziamenti dal Banco ambrosiano; non so se, a tutt’oggi, li abbia restituiti. E’ noto che Craxi intervenne esplicitamente in Parlamento quando Calvi fu arrestato e messo in galera per la questione di esportazione di capitali per l’acquisizione del Banco varesino.

Domanda. Se non sbaglio ci fu una dichiarazione pubblica di Craxi il quale ammise che, se pure in modo legale, dei finanziamenti c’erano stati.

Risposta. Sì, poi tutti l’ammisero. Anche il partito comunista ammise di aver avuto finanziamenti ma disse che li avrebbe restituiti pignorando i palazzi di Botteghe oscure. Comunque è evidente che Calvi cercò in ogni modo di trovare alleanze politiche, graduando tra Dc e Psi prevalentemente, come i due maggiori partiti di governo.

Domanda. Praticamente queste ‘provvigioni’ che venivano date ai partiti dal Banco erano una contropartita rispetto ad operazioni politiche di sostegno al Banco ambrosiano, che stava marciando in cattive acque?

Risposta. Sì, ma anche in precedenza c’erano stati rapporti coi partiti. Per esempio, attraverso l’Eni, notoriamente controllata da Dc e Psi, il Banco ambrosiano aveva fatto buoni affari sull’estero, a partire dal 1978 addirittura. L’Eni ha perso, in questi rapporti col Banco ambrosiano, centinaia di miliardi in operazioni finanziarie che, al momento del crollo del Banco, non sono più potuti rientrare. Difatti c’è uno scoperto di oltre trecento miliardi dell’Eni che, con le sue finanziarie e banche estere, ha operato estero su estero al di fuori di ogni controllo. Quindi l’affarismo politico che ha legato il Banco ambrosiano ai partiti è una cosa molto vasta, che data da molto prima, quando Calvi era in crisi e ha dovuto in qualche modo cercare sostegno ed appoggi.

Domanda. Arrivando agli sviluppi italiani, a questo crak gigantesco, considerato il più grosso della finanza italiana del secolo, si è arrivati per un cattivo gioco negli affari oppure per una rottura degli equilibri che esistevano intorno al Banco ambrosiano?

Risposta. Diciamo che ci sono ragioni diverse e concomitanti. Da un lato il gioco di Calvi e dell’Ambrosiano in Sudamerica, con finanziamenti ai Paesi che dicevo per l’acquisto di armi, entra in urto con la Gran Bretagna al momento della guerra delle Falkland, e la Gran Bretagna è la capitale della massoneria. Calvi era iscritto, non alla P2, ma alla massoneria; e la regina d’Inghilterra, che è il capo della massoneria, aveva stretti rapporti con Calvi..

Domanda. Sostanzialmente non poteva nello stesso tempo sovvenzionare l’Argentina e mantenere buoni rapporti con la Gran Bretagna.

Risposta. Certo. Il rituale di questo assassinio è un rituale massonico..

Domanda. Tu parli con una certa sicurezza di assassinio, mentre da questo punto di vista siamo ancora nella nebulosa, mi pare, sulla morte di Roberto Calvi.

Risposta. No, ormai le cose sono state chiarite abbastanza bene. Il coroner che emise il verdetto di suicidio è un noto massone inglese, fu un’operazione di copertura. E’ importante, poi, quello che venne trovato addosso al corpo di Calvi, i mattoni nei testicoli stanno a indicare, nel rito massonico, tradimento.

Domanda. La massoneria intesa come associazione di liberi muratori, proprio?

Risposta. Intesa, oramai, come una struttura di potere internazionale intrecciatissima con servizi segreti e finanza e con interessi economici talora contrastanti. Tieni presente che non c’è banchiere, presidente di banca o presidente di repubblica che non sia massone. Ad esempio, Pinochet è massone, Mitterrand è massone. Per chiarire il ruolo di questa organizzazione internazionale, possiamo recuperare nella vicenda la riunione del Bildelberg che si è tenuta in Italia ed è stata assai sottovalutata. Il Bildelberg è una struttura internazionale di massoni dove sono rappresentati tutti i dirigenti delle grandi banche e delle grandi multinazionali, politici come Kissinger, Rockfeller. E’ stata fondata nel 1951 praticamente dalla Cia, e vi parteciparono Allen Dulles ed altri personaggi che poi vennero incriminati negli Stati uniti per operazioni che la Cia aveva fatto sul piano internazionale. Si tratta di una grossa struttura di governo, non sempre lineare e non senza contraddizioni. Non possiamo pensare che la grande borghesia internazionale possa affidare soltanto a rappresentanze politiche esterne le decisioni sui governi, i presidenti, i direttori delle grandi banche internazionali e delle grandi multinazionali. C’è una struttura di governo occulta ed è, appunto, questa. Tornando a Calvi, lui aveva trasgredito certe regole. Ma ci sono altri aspetti che chiudono la parabola. Calvi è stato coperto per molti anni, tutti sapevano le cose che faceva, però non era mai successo niente. Si decide di colpire e chiudere con denunce e incriminazioni il capitolo Calvi proprio nel momento in cui in Italia si chiude la fase di unità nazionale e si apre quella della riconversione politica, che punta non più al coinvolgimento del partito comunista ma al suo isolamento. Siamo nell’80-81, all’apertura della fase pentapartito ma anche di una nuova fase del capitalismo italiano attraverso il rilancio della finanza, della borsa, dell’autofinanziamento, di un’attività abnorme di speculazione finanziaria da parte dei grandi gruppi.

Domanda. Che è il momento della grande ascesa del partito socialista.

Risposta. Sì. Nell’80-81, Calvi era riuscito a mettere assieme circa il 25% delle società quotate in borsa, le più ricche, quelle che a tutt’oggi fanno gola. Ad esempio, compagnie di assicurazione: attraverso l’alleanza con Pesenti e Bonomi, Calvi contava sulle Toro e sulla Ras. Era riuscito a mettere insieme la più grande banca privata italiana col Banco ambrosiano, la Banca cattolica del Veneto e il Credito varesino; a mettere le mani sull’informazione. Aveva capito, fra l’altro, che il gioco in borsa si conduce attraverso messaggi da lanciare ai risparmiatori sui giornali e attraverso l’orientamento del risparmio fatto dalle banche e dalle compagnie di assicurazione, che raccolgono grandi liquidità e poi le giocano in borsa. Proprio nel momento in cui il capitalismo italiano tende a lanciarsi in questo senso, Calvi diventa un elemento spurio, al di fuori dei giochi. Allora interviene Cuccia, che è l’altro personaggio che rimane dietro a queste vicende. Calvi viene messo in galera, condannato a quattro anni e comincia di lì la sua fine, viene smembrato il suo gruppo. Il Banco ambrosiano è affidato alla finanza cattolica, in parte, e ad altre banche controllate dal Psi e dalla Dc. E chi subentra? Agnelli.

Domanda. In pratica, una vera e propria sostituzione ad un vertice di potere.

Risposta. Certo. E allora, tornando a quello che si diceva prima, io non vedrei il nocciolo della questione nello scontro fra una finanza cattolica ed una finanza laica privata; ma nell’eliminazione di un personaggio che aveva giocato troppo pesante e aveva assunto una dimensione ingombrante, non più difendibile, non più gestibile, per aprire il varco ad una nuova fase del capitalismo italiano che vediamo nel trionfo della borsa e della speculazione. Ma chi subentra a Calvi è Agnelli. Se andiamo a vedere, la Toro è stata acquisita da lui, Rizzoli-Corriere della Sera è tornato nelle mani di Agnelli, che ha acquisito anche la quota di maggioranza del Banco ambrosiano. Si apre e si chiude un ciclo e, a un certo punto, si rende necessario togliere di mezzo il personaggio Calvi, dapprima coperto, poi diventato ingombrante. Perciò sono molteplici gli aspetti che stanno sul tappeto.

Domanda. Guardando al mondo della finanza degli anni Settanta, si ha la sensazione che si parli sempre di situazioni passate, relegate a quegli anni, con personaggi deteriorati da un punto di vista pubblico, come alcuni nomi che hai fatto parlando di questa vicenda. In realtà non è così, se il sistema economico e finanziario si ripresenta oggi, secondo te, in modo differente perché differenti sono stati i personaggi alla ribalta; ma con lo stesso meccanismo di volontà politica ed economica.

Risposta. Vediamo per esempio l’operazione fatta dalla Fiat con la cessione delle azioni libiche. Questa ha le medesime caratteristiche delle operazioni che facevano Sindona e Calvi. Attraverso giochi finanziari orchestrati da Mediobanca e da Cuccia, la Fiat è riuscita ad acquisire proprie azioni (cosa illegale, ma l’ha fatto con un giro intermediato da Mediobanca e da altre finanziarie) ed ha venduto le azioni libiche, ingolfando il mercato internazionale e nazionale dei titoli, acquisendo propri titoli. Questo per le società quotate in borsa è vietato. In questo modo, Agnelli è riuscito ad avere un controllo ancora maggiore sul gruppo Fiat, concentrandolo in poche mani. Quindi, ancora una volta, è una questione di scelte politiche che vengono fatte, di fasi nelle quali ci si va ad innestare. E allora questi giochi vengono permessi, mentre Sindona e Calvi sono stati eliminati, quando è stato deciso che andavano eliminati. Una cosa che non è emersa bene in questa crisi di governo, tutta giocata sul terreno politicistico delle battaglie parlamentari, è stato il ruolo della Confindustria e della Fiat che assolutamente hanno voluto impedire, non un referendum, ma che si consolidasse nel Paese una nuova alleanza, un fronte antagonista nella società che mettesse in discussione la pace sociale e le manovre di ristrutturazioni a tappeto. L’accordo Fiat-Alfa, che va in porto con il placet dei sindacati e col quale si perderanno diecimila posti di lavoro, rivela l’intreccio che si è messo in moto. Mentre si corre il rischio, con certi strabismi e certi particolarismi, di vedere solo quel che succede in Parlamento, o nei tribunali, e non si vede, invece, come il potere reale si sta muovendo nella società.

Domanda. Un’ultimissima domanda, che riguarda i messaggi che stanno uscendo su alcune testate. L’intervento, che oramai dovrebbe essere imminente da parte dei giudici istruttori, probabilmente con mandati di cattura nei confronti di questi personaggi legati al Banco ambrosiano, che tipo di effetti potrebbe creare all’interno del mondo della finanza? Ci sarà un terremoto, per cui l’attenzione va spostata sui listini di borsa delle prossime settimane, oppure il sistema è in grado di assorbire anche questa iniziativa della magistratura?

Risposta. Il sistema non è in grado di orchestrare tutto e pianificare tutto, ci sono grosse contraddizioni. I messaggi sui giornali: da De Benedetti, con gran risalto nelle prime pagine, al gruppo Rizzoli e, quindi, alla Fiat c’è nella sostanza, secondo me, il tentativo di intimidire i magistrati. E anche ai partiti si chiede di intervenire perché tutto il progetto di cui parlavo, costruito sul rilancio dell’immagine Italia sul piano internazionale, con le operazioni strabilianti (che, poi, sono puramente speculative, finanziarie e di borsa) rischierebbe di essere messa in discussione. I magistrati, secondo me, sono sottoposti ad una pressione notevolissima perché, se dovessero emettere i mandati di cattura e mettere in galera De Benedetti, tu capisci che tutta la costruzione, l’immagine dell’Italia costruita intorno alla figura dell’ingegnere rampante, finirebbe in un disastro…