di Manuel Vázquez Montalbán
[ Manuel Vázquez Montalbán è morto all’improvviso, ieri, per infarto, a Bangkok, dove era appena atterrato, pronto a lanciarsi in una serie di conferenze. Sebbene tra i suoi demeriti annoveriamo l’ispirazione a Camilleri e il prossimo boom funebre editoriale feltrinelliano, piangiamo la morte di uno dei massimi autori contemporanei di genere. In qualità di omaggio al creatore del mitologico Pepe Carvalho, abbiamo ripescato a memoria un articolo di tanto tempo fa (correva il 1992) che impressiona: Vázquez Montalbán parla di Bangkok, la città definitiva, che definisce “l’impossibile riposo del guerriero impossibile”. ]
Bangkok: l’impossibile riposo del guerriero impossibile. Arriva la notizia che Bangkok vuole cambiare immagine e perdere la sua condizione di immenso centro di massaggi del Sudest asiatico, prima al servizio di soldati nordamericani combattenti in Vietnam e poi di turisti maschi da ogni parte del mondo, ma soprattutto europei e australiani. Il clima vissuto sugli aerei che trasportavano il loro carico maschile in Thailandia era una specie di zotico addio al celibato vissuto da quarantenni affabulatori gasati in parte da Salgari e in parte da Emmanuelle. Era possibile addirittura cogliere una certa lussuria nei loro sguardi aerotrasportati, come se stessero immaginando il coito-charter che Sylvia Kristel sperimenta senza che né la hostess né lo stewart s’accorgano di niente.
Bangkok allora ci aspettava alla fine del viaggio come una città vagina aperta e propizia al fallo del dollaro, impaziente dietro la sua maschera di Traveller’s Check, nelle tasche dei fuggiaschi dello stress e dei rapporti sessuali del sabato sera, ogni quindici giorni. Seppure i malmaritati, scapoli e divorziati maschi erano il grosso della spedizione, non mancavano alcune coppie sposate disposte ad accontentarsi di una gita per vedersi il ponte sul fiume Kwai o la battaglia del cobra contro la mangusta o gli elefanti che fanno il bagno in fiumiciattoli che sembrano disegnati da Walt Disney. Ma, in genere, i coniugi che durante il giorno visitavano con devozione liturgica quella parte di Disneyland che c’è in Thailandia, una sera prima o poi non sfuggivano alla tentazione del «viaggio proibito» al luogo «occulto», dove mandrie di turisti rimanevano a bocca aperta davanti ai nudi madreperlacei delle ragazze e ai loro giochi vaginali con palline da ping-pong, quando non con spettacoli più privati di sesso live: ragazzo-ragazza? ragazzo-ragazzo? ragazza-ragazza?
Con questi presupposti le possibilità combinatorie, a livello qualitativo e quantitativo, si scatenavano per finire con una proposta diretta: non desiderate partecipare? In quel momento un esperto in linguistica poteva registrare tutte le varianti del non se ne parla! nelle piú diverse lingue della terra, anche se le spine dorsali dei guardoni riuniti provavano strane e morbose scariche elettriche a spese della loro povera libido repressa. I misteri di Bangkok erano quasi tutti sessuali o ramificazioni dei favolosi commerci di droga al Nord del paese, in un triangolo che comprendeva parte della Thailandia e parte della Birmania, controllato dai signori del narcotraffico e della guerra, sotto lo sguardo vigile degli agenti nordamericani, impegnati nel doppiogioco di conservare i loro alleati strategici e allo stesso tempo di tenere a livelli ragionevoli l’aliquota di droga esportata verso gli Stati Uniti.
Quasi tutte le città si somigliano. Durante la giornata, lo straniero avido di misteri asiatici era costretto a superare il trauma di quest’evidenza: Bangkok somiglia tantissimo al groviglio di qualsiasi altra metropoli occidentale alquanto trascurata. Gli stessi palazzi in serie, maltrattati dai tropici e da una povertà urbanistica da Terzo Mondo. Per strada il traffico allucinante di migliaia di automobili americane di quinta o sesta mano chiariva in parte che non ci si trovava nella periferia di una metropoli qualsiasi in un paese qualsiasi. Il traffico è da kamikaze e la fortuna delle macchine che riescono a non scontrarsi è di per sé il primo grande mistero di Bangkok, come se i guidatori avessero i riflessi telecomandati da una centralina di suicidi rimandati.
La città misteriosa è quella lacustre. La trama di piccoli e grandi canali da cui emergono quartieri palmipedi di canna e paglia, mercati galleggianti, misteriosi spazi quasi vuoti dove languiscono corpi scuriti, come legno di tek. Queste abitazioni sui canali fanno parte della Bangkok per turisti ansiosi di accertare se questa città è la Venezia dell’Asia, ma a nessun asiatico verrebbe mai in mente di definire Venezia la Bangkok dell’Europa. Ma se il turista prima o poi dimentica di esserlo e cerca un rapporto con la gente della Bangkok lacustre, capirà con sorpresa di parlare con personaggi pasoliniani che si esprimono in un thai stridente e pieno di acuti, oppure in un inglese di vocali liberate da ogni previo codice fonetico. Come qualsiasi altra città del mondo da cui fosse passato un sociologo italiano, Bangkok divide i suoi abitanti in emergenti e sommersi, anche se per la sua condizione di città del Terzo mondo i sommersi sono quasi il settanta per cento e per questo motivo offrono al turismo le loro materie prime fondamentali: sesso e droga. Non c’è altro mistero.
Body hody? È la domanda di ogni bambino a ogni turista mentre affianca i due piccoli indici. Sta proponendo un massaggio corporale che verrà eseguito da qualche ragazza o ragazzo in fiore o senza fiore, e non necessariamente nel MonaLisa o nell Athami, le case di massaggio per eccellenza, ma in tutta una gamma di oscuri padiglioni umidi dove a un tratto, dietro una vetrata, si scorgono centinaia di ragazze illuminate da colori tipo sorbetto: vaniglia e fragola, soprattutto. Ragazze sorbetto. Chiare di pelle per via delle luci e della loro provenienza, cinesi del Nord, di Pasang o Lamphum, le più richieste. Ragazze cedute dai genitori alle case di massaggio di Bangkok, per alleviare le pene dello stomaco del resto della famiglia e, chissà!, risparmiare pochi dollari e molti bath e guadagnarsi dopo cinque o sei anni di lavori forzati la categoria morale di ragazza e famiglia rispettabili. Ma si tratta per davvero di una variante asiatica? Non esistono misteri simili in qualsiasi paese del Mercato Comune?
Tutto il mondo è Sicilia. Un intervistatore domandò in un’occasione a Leonardo Sciascia perché la Sicilia fosse la sua materia prima per eccellenza e il grande scrittore siciliano rispose: «Tutto il mondo è Sicilia». E così pure la Thailandia. La parola mafia se qualificata di asiatica suggerisce riti e costumi esotici, ma tutte le sette si somigliano e un membro del Mai pen rai (Non ha importanza) somiglia a qualsiasi altro membro di setta mafiosa italiana, colombiana, spagnola, messicana o cinese. Nemmeno la merce trafficata è originale: prostituzione, droga e a Bangkok diamanti, diamanti birmani. Come le ragazze più belle arrivano dal nord, è sempre dal nord che arrivano la droga e i diamanti, attraverso rotte sicure con la complicità di altissimi esponenti del potere militare e amministrativo.
Il viaggiatore che vuole conoscere la Thailandia deve uscire da Bangkok ed evitare la via crucis dei percorsi turistici: troverà allora un mondo rurale in via di decomposizione e di fuga verso le città o verso i centri turistici delle molte spiagge. La Thailandia è un paese colonizzato sino al midollo, retroguardia sicura di tutte le spedizioni nordamericane nel Sudest asiatico, con le vie politiche ed economiche del tutto vampirizzate dagli Stati Uniti.
La cultura di conseguenza si rifugia in isolotti della tradizione simili a giardini buddisti, oppure si uniforma attraverso i mass media completamente influenzati dagli yankee, poveramente frenata dai serial televisivi hindù. La vegetazione, questa sì, continua a sembrare misteriosa agli occidentali, ma non la frutta, perché le serre e i frigoriferi trasformano il rambutan o il litchi in frutti familiari a un milanese o un barcellonese, d’inverno o d’estate.
Se a questo paese si toglie l’incentivo del sesso a buon mercato con corpi piccoli e delicati, di maschi e femmine, cos’altro rimane alla curiosità del turista occidentale? Nulla che non possa più godersi in cinema o in televisione e nemmeno l’incentivo di sfuggire l’inverno. «… Viaggiare verso il Sud», come sognava il personaggio di Eliot, non richiede un viaggio tanto lungo. I Caraibi sono molto più vicini ai paesi del Nord e il «settentrionale» che ansioso di avventure immaginarie parte per il triangolo dell’oppio, al di sopra di Chiang Mai troverà la sorpresa che ho vissuto a distanza di sette anni. Nel 1975 le campagne di Chiang Mai erano tutte coltivazioni di papaveri e l’oppio veniva regalato al turista. Nel 1982, quando ritornai, le piantagioni si erano spostate verso il nord più nascosto e i paesi si erano svuotati di uomini per riemprirsi di donne e di bellissimi bambini grassottelli che cantavano rock and roll e ti mostravano le loro cassette. Messisi d’accordo, governo e trafficanti, illegali e legali, di oppio ed eroina, avevano spazzato le piantagioni sotto il tappeto della giungla montuosa sulle frontiere della Cina e della Birmania, avvicinandole a laboratori più o meno segreti, appartenenti al censimento omologato di laboratori clandestini di narcotici.
In un mercato thai. Nonostante tutte le trasformazioni che il turista riesce a cogliere in questo paese che fu riposo di guerrieri tornati da campi di battaglia e da uffici con aria troppo condizionata, gli varrà sempre la pena un viaggio a Bangkok per collezionare un mito della geografia asiatica ed evocare al calore del Mekong (acquavite di riso buonissima assai simile al whisky) l’immaginario dell’Asia. Rimane sempre la risorsa di andarsene da Bangkok e mettersi a costeggiare il golfo del Siam per rintracciare le rotte di Joseph Conrad, o imbarcarsi in cerca delle isole, quasi vergini, in cui già comincia a penetrare il piccone o il bulldozer, per costruire appartamenti per i turisti nell’intento di lottizzare il paradiso per fuggiaschi del mondo lottizzato. E, per il momento, a Bangkok è sempre affascinante visitare il Grande Mercato della Domenica e smarrirsi tra la gente vestita a festa che formicola sulla spianata su cui si prolunga, sino all’orizzonte più prossimo, un labirinto di negozietti e bancarelle all’aria aperta.
Appena il tempo di scendere dal taxi e lasciarsi dietro l’atmosfera dell’aria condizionata, e le narici e i polmoni vengono investiti da un’ondata di aria calda e unta, profumata dai fritti in olio di cocco e dall’aromatico prezzemolo asiatico, dai cipollotti e dallo zenzero.
Non si hanno abbastanza occhi, né abbastanza vita, per conoscere nella sua totalità quanto offre questo Mercato della Domenica. La giungla in vasi, gabbie e acquari giganteschi, o le scatole di cartone dove le farfalle diventano strani fiori del male corpore insepulto. Salamoie brune, mosche, sputacchi di betel, chicchi verdi di riso, salamelle dolci e purulente, animali mummificati nella loro asciuttezza, peperoncini minacciosi e innervositi come eserciti di cavalette africane, funghi leggerissimi, vasellame sospettosamente valenziano, losanghe d’erba vera, galline, colibrì, bùceri, lucertole, una piccola tigre, fornelli portatili e girevoli offerti alla filosofia del mangiare quando si ha fame e al diritto naturale di sopravvivenza delle mosche asiatiche, sciroppi di tutti i colori della sciropposità, boschi di bottiglie di salsa pesce, il sale della Thailandia, un cane bassotto come una lampreda, duro e bigio, maialini neri, jeans, cobra senza veleno, manguste nella loro gabbia manicomio, cassette di Steve Wonder e dei Supertramp, cocco filato, noci di cocco addomesticate dal machete e ridotte in scatole verdi per la cannuccia di plastica, piccole tettoie prefabbricate, una giovane tigre senza un ruggito da portarsi in bocca, spiedini di maiale ricoperti da un miele scuro, spaghetti di riso sottili come cibo per angeli vergini, orchidee cresciute in noci di cocco, giacconi di plastica imbottiti per inverni mentali, tenute militari per guerriglieri urbani, machete, portachiavi, uova di pesce in salamoia simili a coglioni di mulatto, una vasca da bagno in cemento dipinta di verde, agitatori sociali col megafono che incitano le masse mentre la polizia sembra non sentirli e controlla il tutto a una distanza tollerante e prudente.
«Continuano le agitazioni studentesche contro gli aumenti degli autobus», annuncia il Bangkok Post in prima pagina e compare un vecchio accovacciato che dialoga con alcuni giovani studenti, quasi sicuramente contestatori, accovacciati pure loro. Un deputato vecchio e solidale con le rivendicazioni reali. È il mio ricordo più misterioso di Bangkok.
Perché tutti i mercati continuano ad essere l’unica metafora sincera della vita e della morte, persino in quelle città che ormai cominciano ad essere uguali ad altre città.
(da Amica, 9.3.1992, traduzione di Hado Lyria)