di Valerio Evangelisti

masal-es.jpg

Pubblichiamo l’introduzione di Valerio Evangelisti all’edizione spagnola del romanzo di Luca Masali La perla alla fine del mondo (ed. Abelmuth, 2003). Il romanzo era già apparso in un numero speciale di Urania Mondadori nel 1999, e mai più ristampato, come il precedente I biplani di D’Annunzio (1996). E’ inevitabile chiedersi da cosa derivi la cecità dell’editore italiano, incapace di riconoscere la stoffa di un narratore di gran classe come Luca Masali – tanto da lasciare prima alla Francia, poi alla Svizzera (I biplani è stato ripubblicato nel 2002 dalle ed. Todaro di Lugano) e alla Spagna, l’onere di valorizzarne il talento.

L’apparizione di Luca Masali sulla scena della narrativa fantastica italiana è stata di quelle che restano nella memoria. Nel 1996 il suo primo romanzo, I biplani di D’Annunzio, vince il Premio Urania, a quei tempi il più importante riconoscimento riservato agli scrittori italiani di fantascienza. Il successo è travolgente: oltre 30.000 copie vendute in un mese, una quantità di recensioni positive, una quasi immediata traduzione in francese. E’ il momento d’oro della fantascienza scritta in Italia: un numero limitato ma combattivo di autori della penisola vende molto più della maggior parte degli scrittori anglosassoni, inclusi i grossi calibri.

Naturalmente, da quel momento tutti attendono al varco Luca Masali, per vedere se sopravviverà alla sua seconda prova narrativa. Non solo sopravvive, ma conferma la sua bravura. La perla alla fine del mondo, uscito nel 1999, è addirittura migliore de I biplani di D’Annunzio, e mescola con altrettanta perizia elementi storici, squarci di futuro, una trama solidissima e riflessioni tutt’altro che banali su problematiche di fondo della contemporaneità.
Ormai questo scrittore del tutto anomalo, di professione giornalista informatico ma con un passato di egittologo, occupa un posto centrale nella narrativa fantastica italiana ed europea. E quando la breve primavera della fantascienza made in Italy inizia a tramontare, soffocata da troppi testi d’accatto e d’imitazione, Luca Masali non viene nemmeno lambito dalla crisi. Resta circondato da lettori affezionatissimi che gli chiedono nuovi romanzi (hanno avuto finora solo racconti, ma di tale qualità che non si possono lamentare troppo), riceve premi internazionali, continua a ottenere la stima della critica. Un successo che dura ancora oggi.
Ma a cosa si deve la fortuna di Masali, se si può chiamare “fortuna” un fenomeno così poco effimero? Se si vuole comprendere la qualità della sua prosa, bisogna anzitutto rifarsi alla sua concezione della fantascienza, da lui vista come letteratura del divenire — cioè della trasformazione, di ciò che di mobile vi è in un’epoca e slitta verso qualcos’altro. E’ una definizione su cui occorre riflettere, perché nasce da un’opposizione: quella a chi, banalmente, qualifica la SF come letteratura incentrata sull’ “avvenire” (da cui l’obsoleta definizione di “narrativa avveniristica”, cara a certe polverose enciclopedie).
Tra “avvenire” e “divenire” c’è una bella differenza. Nel primo termine, l’attenzione è tutta spostata su ciò che deve ancora accadere; nel secondo, una buona fetta di presente è legata a una buona fetta di futuro. Se si tiene conto di questo, si capisce come mai Masali aggreghi alla fantascienza scrittori che normalmente non le sono riferiti, come per esempio Mikhail Bulgakov. In Bulgakov il tasso di scienza presente è incerto e non determinante; il tasso di divenire è altissimo. Cuore di cane, Le uova fatali che fanno? Portano alle estreme conseguenze i caratteri della società in cui viveva l’autore, e cioè la Russia post-rivoluzionaria, spostandoli di un poco nel futuro. Lo stesso che prima di lui, o con lui, avevano fatto, a passi molto più lunghi, Čapek e Zamjatin; lo stesso che faranno Orwell e Huxley.
Se prendiamo il primo romanzo di Masali, I biplani di D’Annunzio, scopriamo che ha per tema l’Europa. Nientemeno. Soprattutto l’Europa balcanica, di cui, attraverso pagine brillanti e dalla scorrevolezza ingannevole, sono indagati passato, crisi attuali e possibili sviluppi delle stesse. Mentre in questo La perla alla fine del mondo è di scena la civiltà musulmana, con la varietà delle sue espressioni sotto la compattezza apparente, nonché la difficoltà a comprenderla da parte di altre civiltà. Credo di non dovere sottolineare quanto il tema sia attuale.
Il tutto affidato a una prosa che rifugge tanto dalle involuzioni quanto dal pistolotto riepilogativo a metà pagina. Leggere Masali è un po’ come danzare, nello specifico un charleston. La scrittura è leggera, fluida, accattivante; i toni da vaudeville sono frequenti. Impossibile annoiarsi, ma anche impossibile scorrere le righe senza percepire alcunché. Non solo gli ambienti, ma anche le atmosfere sono descritti magnificamente, e catturano, immergono, schivando tuttavia il rischio di impantanare. L’effimero di superficie ha ancoraggi ben concreti e una base quanto mai stabile.
masal-es2.jpg
Forse quella base è costituita dalla precisione dei dettagli. Che descriva il deserto o un grande albergo, un aereo o un’automobile, è subito palese che Masali sa di cosa parla. Si direbbe che sia competente in tutto, che ogni particolare sia frutto di uno studio preciso (e probabilmente lo è). Solo che — miracolo! — Masali riesce a essere puntiglioso senza puntiglio, competente senza accademismo. Ci si lascia prendere per mano e trascinare da qualcuno che ne sa più di noi, ma fortunatamente è privo di vocazione pedagogica o di spocchia.
Forse non è un caso se un altro dei maestri che Masali ama citare, nel proprio pantheon personale della fantascienza eclettica, è Jules Verne. Non quello noiosetto di Cinque settimane in pallone, suppongo, bensì quello della maturità, che coniuga il fascino dell’avventura con la perfezione dei dettagli, anche quando servono a descrivere macchine del tutto fantastiche. Esploratore anche lui del divenire, poiché estrapola e proietta, e con ciò ci dà la sensazione precisa di epoche in evoluzione — dove non le epoche, ma l’evoluzione, sono la materia del narrare.
Non occorre un lettore particolarmente attento per apprezzare Luca Masali. Se però il fruitore di ciò che scrive ha il gusto delle sfumature, sorseggerà la sua prosa come si assapora il gusto forte dello champagne di marca, sotto il velo solleticante delle bollicine.

Da www.masali.com