Quanto sta accadendo da mesi in Italia non è soltanto puro orrore, puro schifo, puro crimine: è peggio, è storicamente inquietante. Mi riferisco all’emersione della poltiglia umana nel fango della commissione governativa Telekom Serbia: massoni deviati, fascisti, criminali di ogni risma, faccendieri senza faccia né nome, servizi segreti paralleli, ricursioni impressionanti di nomi che speravamo di non tornare più a leggere. Nel baillamme informativo che è stato sollevato intorno a questa sordida vicenda, sono rimasto particolarmente scandalizzato da due interviste rilasciate a Concita De Gregorio di Repubblica, da Licio Gelli e Tina Anselmi. Nei prossimi giorni, su Carmilla, chiarirò i perché e i percome di una simile indignazione personale. Poiché, tuttavia, il perno dell’oscura bufala Telekom Serbia, esattamente come il perno fisiologico dell’attuale governo, è la P2, mi sembra il caso di iniziare con una premessa. Che concerne la massoneria, prima che mi accusino di fare un discorso di destra o di sinistra, il che, a proposito di Gelli e della ghenga di potere che domina il nostro Paese da cinquant’anni e passa, è assurdo. Quindi, propongo una lettura educativa: che cos’è stata la massoneria per la sinistra e per la destra fino a oggi.
Sono letture storiche firmate da Marco Novarino. Il primo articolo è apparso su Massoneria Oggi, Anno V – N. 3 – Giugno/Luglio 1998; il secondo, sulla medesima rivista, Anno IV – N. 6 – Novembre/Dicembre 1997. Dopo una così ampia e accorta premessa, spero che tutti i discorsi che seguiranno intorno alla banda del buco (un buco nero, a tutti gli effetti) apparentemente capitanata da Licio Gelli siano esenti da accuse di pregiudizio ideologico: non intenderemo parlare di massoneria, bensì di una ghenga precisa; e non lo faremo né da sinistra né da destra né dal centro, bensì dal punto che trascende le impostazioni politiche e ideologiche e si colloca al centro della cronaca giudiziaria che dura da più di quarant’anni a questa parte in Italia.
Antimassoneria marxista
Nell’ampio arco dei movimenti e delle istituzioni politiche, sociali e religiose che si opposero alla massoneria speculativa a partire dalla sua nascita, l’antimassoneria dei movimenti socialista e comunista rappresentò una parte minoritaria se confrontata con la conflittualità della Chiesa cattolica e della destra fascista.
L’antimassoneria di sinistra, fino al secondo dopoguerra, nasceva dalla convinzione che la natura interclassista della massoneria nuocesse alla causa del proletariato e che pertanto dovesse essere contemplata l’incompatibilità tra socialisti e massoni.
La proposta venne regolarmente fatta in tutti i congressi dei Partito socialista a partire dal 1904. Dopo che la questione non era stata discussa nel congresso del 1905, per mancanza di tempo, la direzione del PSI promosse un referendum per conoscere se la qualifica di massone costituisse “per un socialista uno di quei casi di indegnità morale e politica che, secondo lo Statuto, portano all’espulsione dal partito”
1 . I promotori del referendum non ottennero i risultati sperati. Il numero degli astenuti fu altissimo e su 37.921 iscritti solo 9.163 si pronunciarono per l’espulsione malgrado l’aperto sostegno del quotidiano l’Avanti! che conduceva da due anni una spietata polemica ritenendo la loggia “la chiesa della speculazione borghese e dell’avventurismo democratico borghese. È necessario – proseguiva il giornale socialista – votare per l’esclusione dell’elemento massonico dal partito e per l’intimazione ai compagni che sono massoni di dimettersi: o di qua o di là”
2 . In questa fase si distinse particolarmente un ex-massone, Paolo Orano, che raccolse i suoi scritti in un opuscolo intitolato La massoneria dinanzi al socialismo e che ritroveremo vent’anni dopo, a fianco di Mussolini, come intellettuale di punta del fascismo e convinto antisemita. La polemica antimassonica riprese durante l’XI congresso, tenutosi a Milano nel 1910, quando un delegato ripropose il problema dell’incompatibilità trovando l’appoggio del delegato della federazione di Forlì, Benito Mussolini, di Gaetano Salvemini e le nette opposizioni di esponenti come Podrecca, Modigliani e Lerda.
La mozione, grazie alla mediazione di Filippo Turati, si risolse con un nulla di fatto , ma il problema rimase latente e riesplose puntualmente in occasione del XIII Congresso che si tenne a Modena nel 1913. La polemica venne ripresa ancora una volta da Mussolini che appoggiò un ordine del giorno in cui si chiedeva che la massoneria fosse contrastata perché portatrice di quella “politica bloccarda nella quale si deformano i caratteri specifici dei partiti politici”
3 .
La mozione dopo lunghe discussioni non venne messa ai voti e trovò un ostinato oppositore in Giovanni Lerda. Quest’ultimo, brillante dirigente torinese, rassegnò le dimissioni (in seguito ritirate) per protesta. Il massone Lerda, principale candidato prima del congresso alla carica di segretario del PSI, dopo questo episodio non venne eletto, pagando pesantemente la sua coerenza.
La battaglia antimassonica raggiunse il suo apice in occasione del XIV Congresso che si tenne ad Ancona nel 1914. In quella assise vennero presentate due mozioni di segno opposto: una presentata da Giovanni Zibordi, in cui si chiedeva di sancire l’incompatibilità tra socialismo e massoneria e l’altra, presentata da Alfredo Poggi, in senso contrario.
Secondo Zibordi, “Noi combattiamo la Massoneria per la sua funzione attuale che reputiamo perniciosa per l’educazione socialista. Il socialista che militando nella Massoneria si illude di raggiungere più presto i suoi fini sociali, rischia di trovarsi accanto, nella Loggia, colui che nell’aperta arena dei conflitti economici o politici, troverà contro di sé, del proprio partito, del proletariato. Noi domandiamo se possa un cittadino tenersi legato a due discipline di istituzioni distinte, diverse ed avverse, senza sentirsi in grande conflitto fra la coscienza di socialista e la coscienza di massone. Il socialismo segue la sua strada e sale al meriggio, mentre la Massoneria tramonta e si allontana, per avere esaurito la sua funzione, dai primi ideali”.
A questa presa di posizione rispondeva Poggi che ribatteva affermando che i principi socialisti e massonici avevano la stessa matrice e rifiutando la tesi dei massimalisti, secondo cui l’istituzione libero-muratoria era un partito. E ciò, secondo Poggi, in quanto essa “non da oggi, ma da anni accoglie i suoi militi da ogni partito senza riconoscere fra loro differenze di origine, di classi, di credenze e di condizioni sociali. Che se vi fosse qualche socialista il quale trovandosi nella Loggia massonica a contatto con avversari sentisse smorzarsi in animo l’impeto della lotta o attenuarsi la fierezza dei principi di classe, costui dovrebbe incolpare non la influenza massonica, ma la debolezza della sua coscienza”.
La mozione di Zibordi, che invitava genericamente i socialisti iscritti alla massoneria a uscirne e dichiarava incompatibile per i socialisti di aderirvi, venne appoggiata da Mussolini, direttore dell’Avanti! e di fatto leader del partito, e integrata con un emendamento che invitava le sezioni del partito ad attuare l’immediata espulsione dei socialisti-massoni. Questa mozione così emendata ottenne 27.378 voti su un totale di 34.152, mentre la mozione di Poggi ebbe la fiducia di 1.819 votanti. Altre due mozioni presentate da Giacomo Matteotti, favorevole all’incompatibilità ma formulata in termini meno perentori di quella di Mussolini per “evitare processi inquisitoriali ed eventualmente delle espulsioni su semplici sospetti”
4 e da Montanari, che chiedeva il disinteressamento della questione, ottennero rispettivamente 2.296 e 2.485 voti.
L’antimassonismo della corrente massimalista si trasferì in toto nel Partito comunista d’Italia (PCd’I) nato da una scissione a sinistra del PSI.
Essendo il PCd’I una sezione dell’Internazionale Comunista (o Terza internazionale) fin dalla sua formazione, seguì fedelmente la politica stabilita a Mosca.
Il movimento socialista internazionale, unito dal punto di vista organizzativo nella II Internazionale, aveva subìto una grave crisi con lo scoppio della I guerra mondiale. Il dissidio tra l’ala sinistra, rivoluzionaria, e l’ala destra, riformista, si era aggravata fino alla totale separazione delle due componenti. Nel marzo del 1919, preceduto da un documento di Leone Trotsky dal titolo “Sul Congresso dell’Internazionale Comunista“, nasceva a Mosca la III Internazionale.
L’Internazionale non era solo un organismo di collegamento tra i partiti nazionali, come era stata la II Internazionale, ma era una struttura gerarchicamente centralizzata che stabiliva la strategia dell’intero movimento comunista imponendo ad ogni partito membro i compiti necessari per sviluppare e consolidare la rivoluzione mondiale. Per tanto le direttive, anche quelle specifiche per i vari partiti nazionali, avevano valore vincolante per l’intero movimento.
Nel primo Congresso, che si tenne a Mosca nel marzo del 1919, la questione “Massoneria” non venne discussa. Ma già nel secondo, che incominciò a Pietrogrado e proseguì a Mosca nell’agosto 1920, la delegazione italiana del Partito Socialista Italiano presentò ufficialmente il problema che era stato uno dei cavalli di battaglia della corrente massimalista fin dal congresso dei 1904.
I delegati italiani tentarono di inserire come clausola per l’ammissione all’Internazionale Comunista dei partiti rivoluzionari l’epurazione dei massoni dal loro interno. Nella seduta del 29 luglio della commissione per l’elaborazione delle condizioni di ammissione all’Internazionale Comunista i delegati italiani annunciarono di aver presentato una mozione che obbligava i partiti aderenti all’Internazionale ad escludere dalle proprie fila gli appartenenti alla massoneria ritenuta come una organizzazione piccoloborghese. Essendo stata presentata come mozione e non come punto programmatico, la richiesta non comparve nella stesura finale del documento che fissava i ventun punti d’ammissione. La mancata inclusione dipese non solo da un cavillo procedurale ma anche dal fatto che l’assise comunista riteneva ovvia, visti i principi inconciliabili tra massoneria e comunismo, l’esclusione dei massoni.
Se durante il secondo congresso la richiesta d’epurazione dei massoni fu ritenuta ovvia, in occasione del terzo congresso la situazione peggiorò, tanto che Trotsky, all’epoca l’esponente di maggior peso dopo Lenin in seno all’Internazionale, nel corso delle assisi congressuali propose che l’adesione fosse proibita ufficialmente a tutti i membri del partito. Secondo Trotsky lo spirito borghese, la ritualità e la segretezza massonica rappresentavano un grave pericolo per l’azione rivoluzionaria e pertanto non erano ammissibili dalla dittatura del proletariato. La solidarietà “principio basico della massoneria, costituisce un serio ostacolo per l’azione rivoluzionaria. La massoneria rappresenta una grande forza sociale e per le sue riunioni segrete e la discrezione assoluta dei suoi membri rappresenta una specie di stato nello stato”
5 .
Le direttive di Trotsky furono approvate dal Congresso e di conseguenza tutti i partiti aderenti proibirono ai loro membri di affiliarsi alle logge massoniche.
Da questo momento Trotsky divenne il più accanito avversario della massoneria: tutti gli scritti e le risoluzioni antimassoniche adottate dall’Internazionale Comunista provenivano direttamente dalla sua penna.
Prendendo spunto dalla crisi del Partito Comunista francese, in occasione del IV Congresso che si tenne a Mosca nel novembre del 1922, il rivoluzionario russo risollevò il problema dell’incompatibilità, fissando questa volta precise direttive e scadenze improrogabili.
Alla luce della notizia secondo cui, malgrado il distacco dell’ala riformista, un ragguardevole numero di comunisti francesi apparteneva alle logge massoniche, veniva intimato specificatamente al comitato direttivo del Partito Comunista Francese, ma di fatto a tutti i partiti comunisti e in particolare a quello spagnolo e italiano, di recidere ogni contatto, individuale o di gruppo, con la massoneria entro il 1° gennaio 1923 e di espellere dal partito, entro la medesima data, i militanti che non avessero attraverso la stampa del partito comunicato la loro completa rottura con le Obbedienze massoniche.
Una speciale commissione composta dai maggiori dirigenti comunisti, tra cui Trotsky, Zinoviev e Bucharin, redasse una articolata risoluzione sulla questione francese, comprendente una dichiarazione d’incompatibilità tra massoneria e comunismo, che fu approvata dall’assemblea congressuale con due voti contrari e una astensione.
La risoluzione fu preceduta da un discorso di Trotsky comprendente uno specifico capitolo sulla massoneria
6 . Per Trotsky la massoneria era una questione nuova che si poneva agli occhi stupiti dei congressisti i quali non sospettavano, dato che la stampa comunista francese non ne aveva mai parlato, che, a distanza di due anni dal congresso di Tours, ci fossero ancora dei massoni all’interno del partito.
Un comunista, continuava l’oratore, non poteva appartenere a una organizzazione che era uno strumento della borghesia radicalizzante per “masquer son entreprise réactionnaire, sa mesquinerie, la perfidie dans les idées, l’esprit, le programme”
7 . L’Internazionale, secondo Trotsky, aveva ordinato al partito di creare un abisso con la classe borghese ma questo abisso non era stato creato: esistevano infatti passerelle, nascoste e mascherate, che permettevano contatti costanti.
Queste passerelle erano la massoneria e la Lega dei diritti dell’uomo e dei cittadini che permettevano contatti con le istituzioni del partito, la redazione del giornale, il comitato direttivo, il comitato federale. Un militante comunista non poteva condannare la società borghese corrotta e poi abbracciare, nelle logge massoniche, i suoi rappresentanti. I comunisti dovevano “affirmer l’incompatibilité complète et absolue, implacable, entre l’esprit révolutionnaire et l’esprit de la petite bourgeoisie maçonnique, instrument de la grande bourgeoisie!”
8 . Questa perentoria dichiarazione suscitò, secondo il resoconto stenografico dell’assemblea, gli applausi dei congressisti.
Le argomentazioni di Trotsky, pronunciate durante il IV Congresso, ottennero larga eco sulla stampa comunista internazionale. Il suo articolo “La massoneria forza controrivoluzionaria” venne pubblicato da varie riviste comuniste e dal quotidiano italiano socialista l’Avanti!.
In questo articolo, riprendendo i temi antimassonici di carrierismo, servilismo piccolo borghese, radicalismo e infiltrazione nel campo rivoluzionario presentati nelle assise congressuali, Trotsky concludeva che il problema era stato sottovalutato e non si poteva permettere che si prolungasse o addirittura si sviluppasse. La questione massonica era stata sottovalutata dai precedenti congressi dell’Internazionale in tal modo egli riconosceva alla delegazione italiana al II Congresso una visione lungimirante.
Anche se la richiesta d’espulsione dei massoni rientrava nel piano di bolscevizzazione dei partiti comunisti da parte dell’Internazionale, la questione della presenza di militanti e dirigenti comunisti iniziati nella massoneria era reale e con dimensioni sconosciute in altri paesi. Durante il congresso di Tours del 1920 la Sezione Francese dell’Internazionale operaia (il Partito socialista francese) si divise. La minoranza rimase, secondo una espressione di Leon Blum, nella “Vecchia casa” mentre la maggioranza guidata dal massone Marcel Cachin e da Ludovic Oscar Frossard diede vita alla Sezione francese dell’Internazionale Comunista che nel maggio del 1921 assunse il nome di Partito comunista francese. Vari massoni socialisti, o futuri massoni come Frossard, aderirono al nuovo Partito e ricoprirono incarichi dirigenti di primo piano. Nel primo Comitato direttivo, istanza suprema del partito, figuravano L.O. Frossard, segretario; M. Cachin, direttore dell’organo centrale “L’Humanité“, il glorioso quotidiano fondato da Jean Jaurès e acquisito per merito del vecchio massone e comunardo Camélinat che deteneva la maggioranza delle azioni del giornale essendo tesoriere della SFIO; Antonio Coen, futuro Gran Maestro della Gran Loggia di Francia; Louis Antoine Ker e Victor Méric. Malgrado la massiccia adesione ma soprattutto il ruolo dirigente assunto da vari massoni il Comitato Direttivo accolse le istruzioni di Mosca di risolvere la questione entro il 1° gennaio 1923. La mancata pubblica rottura con la Massoneria comportava l’immediata espulsione senza il diritto di aderire mai più in futuro. Il nascondere l’appartenenza a una loggia massonica era considerata come un atto deliberato di penetrazione all’interno del partito da parte di un agente nemico ed esponeva l’individuo all’accusa d’ignominia davanti al proletariato. Però anche la rottura con la massoneria non significava assoluzione completa dato che il fatto di essere stato massone rivelava uno sviluppo insufficiente della coscienza comunista e della dignità di classe. Il “peccato originale” provocava la sospensione per due anni da qualunque incarico dirigente.
Le decisioni di Mosca provocarono un vero e proprio terremoto. L’adesione incondizionata della maggioranza del partito alle risoluzioni approvate dall’Internazionale Comunista delegittimarono le funzioni del segretario L.O. Frossard, contrario al nuovo indirizzo politico, che si dimise unitamente ad Antoine Coen. Altri come i giornalisti Henry Torrès, Georges Pioch, Victor Méric, Bernard Lecache, il deputato Charles Lussy e il sindaco di Boulogne-sur-Seine, André Morizet, tentarono di creare all’interno del partito, insieme a un centinaio di quadri intellettuali, un “Comitato di resistenza” ma vennero a loro volta espulsi. Louis-Antoine Ker darà le dimissioni dalla Massoneria ma sarà ugualmente escluso dalla direzione.
Con l’esclusione dei massoni iniziava la cosiddetta “bolscevizzazione” intesa come assimilazione e adattamento alle situazioni peculiari di ogni singolo paese dei principi e dell’esperienza dei bolscevichi russi. Dopo il Quarto congresso la questione massoneria non venne più affrontata dall’Internazionale Comunista.
Prima in Unione Sovietica e in seguito nei paesi del cosiddetto “socialismo reale“, eccetto che a Cuba, la massoneria venne messa fuori legge e perseguitata come organizzazione controrivoluzionaria.
In Italia nel secondo dopoguerra continuò l’opposizione dei partiti d’ispirazione marxista nei confronti della massoneria, anche se cambiarono le motivazioni. Dal 1945 per il PCI la massoneria non era pericolosa in quanto portatrice di valori borghesi e interclassisti in seno alla classe operaia ma perché era diventata un centro di potere occulto fortemente manovrato dagli americani. L’atteggiamento della diplomazia statunitense a favore della ricostruzione della libero-muratoria italiana nell’immediato dopoguerra fornì elementi a favore della polemica antimassonica del PCI e della stampa comunista che pubblicò elenchi di fratelli e promosse indagini tra i dipendenti pubblici con l’esplicito scopo d’impedire l’accesso alle cariche pubbliche ai massoni.
Il PCI ha sempre mantenuto la clausola dell’incompatibilità nel suo statuto e a quanto pare, anche il PDS sarebbe sulla medesima linea.
1. F. CORDOVA, Massoneria e politica in Italia, Bari, 1985, p. 229.
2. Il referendum sulla massoneria, in “Avanti!“, 21 giugno 1905.
3. C. CASTELLACCI, Le polemiche nei partiti socialisti, in “Critica sociale“, 1977, n. 10, p. 20.
4. R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, Torino, 1965, p. 191.
5. J. A. FERRER BENIMELI, El contubernio judeo-masónico-comunista, Madrid, Istmo, 1982, p. 217.
6. Testo del Rapport au 4ème Congrès Mondial, pubblicato in “Bulletin communiste“, n. 2-3, 1923.
Ora anche in L. TROTSKY, Mouvement communiste en France, Paris, Ed. de Minuit, 1967, pp. 250-54.
7. L. TROTSKY, Le mouvement communiste en France, cit., p. 250.
8. Ivi, p. 251.
Antimassoneria fascista
L’antimassoneria di stampo fascista in Italia fu il risultato della convergenza di due posizioni diverse: l’antimassonismo mussoliniano, già presente nella corrente massimalista del Partito Socialista, e l’antimassonismo nazionalista.
Il Partito nazionalista fin dalle sue origini pose alla base della sua azione politica la lotta alla Massoneria. Nel primo congresso del Partito la proposta d’incompatibilità tra Massoneria e Nazionalismo venne approvata per acclamazione. Attraverso la rivista “L’Idea Nazionale“, nel 1912 venne condotta una sistematica campagna di diffamazione contro le obbedienze massoniche allora esistenti in Italia.
Partendo da questi presupposti, non stupisce che Mussolini, nel 1923, facesse dichiarare dal Gran Consiglio l’incompatibilità tra Partito nazionale fascista e Massoneria. Da quel momento si scatenò la violenza contro i massoni e i loro templi. Il giornale “Cremona Nuova“, organo di stampa di Farinacci, sollecitò lo Stato a entrare in possesso dei nomi dei massoni per “fucilarli in massa, come traditori della patria”
1 e a Firenze il Direttorio del Fascio pubblicò un manifesto in cui si proclamava: “Da oggi in poi, né i massoni né la Massoneria devono rimanere anche un solo attimo liberi dalla persecuzione. La distruzione delle Logge è diventata una farsa. Si devono annientare, senza misericordia, i massoni, i loro beni, i loro interessi. Essi devono venir cacciati via dai pubblici impieghi… Nessuno deve restare escluso. Bravi cittadini devono schivare ogni massone. Sotto il peso della nostra forza, essi devono venir isolati, come lebbrosi; noi dichiariamo guerra a questa associazione di codardi e vogliamo fare il nostro dovere, liberare finalmente l’Italia da questi acerrimi nemici”.
Alla campagna stampa fece seguito la distruzione delle sedi massoniche di Torino, Pistoia, Lucca, Livorno, Siena, Firenze, Bari e Ancona. A Venezia gli arredi sequestrati alle logge vennero esposti nella Casa del Fascio e il 7 agosto e il 13 settembre 1924 a Roma furono compiuti due tentativi di assaltare la sede del Grande Oriente a Palazzo Giustiniani. La sede della Gran Loggia di Piazza del Gesù venne completamente distrutta l’11 ottobre 1925, mentre una settimana prima a Firenze gli squadristi della Legione Tullio Tamburini uccidevano i massoni Giovanni Becciolini, Gaetano Pilati e Gustavo Console. In questo clima persecutorio venne approvata nel maggio 1925, con 239 voti a favore e 4 contrari
2, la famosa legge Sulla disciplina di associazioni, enti e istituti e sull’appartenenza ai medesimi del personale dipendente dallo Stato, che seppur mai citando la Massoneria era stata espressamente varata per metterla fuorilegge. Il Senato approvò a sua volta la legge il 20 novembre che venne pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale” il 26 novembre 1925.
La stesura del testo venne preceduta dal lavoro di una Commissione di studio, denominata dei Quindici, specificamente dedicata alla storia e all’opera della Massoneria. La commissione, presieduta dal senatore Giovanni Gentile, giunse alle conclusioni che la Massoneria era portatrice di una mentalità straniera, che il segreto massonico corrompeva il costume e i caratteri degli italiani disposti “naturalmente alla franchezza e sincerità”; che l’anticlericalismo massonico era “meschino, fazioso e antiquato” e ostacolava l’avvicinamento tra l’Italia e la Chiesa cattolica e dietro l’istituzione massonica si nascondeva una specie di “organizzazione camorristica di difesa di interessi puramente privati”.
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Per evitare inutili spargimenti di sangue e ulteriori violenze, il 22 novembre il Gran Maestro del GOI, Domizio Torrigiani, ordinò l’autodissoluzione delle logge italiane alla sua obbedienza e la “Rivista Massonica” dopo 54 anni di vita regolare cessò le pubblicazioni.
La persecuzione antimassonica proseguì per tutto il periodo della dittatura, tanto che Mussolini, rivolgendosi a un gruppo di federali, disse: “I massoni che sono in sonno potrebbero risvegliarsi. Eliminandoli si è sicuri che dormiranno per sempre”.
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Il Gran Maestro Torrigiani venne mandato al confino e molti massoni intrapresero la via dell’esilio pur di non sottostare agli arbitrii e soprusi fascisti.
Tutti i regimi fascisti perseguitarono la Massoneria. In Germania, nel 1933, il nazismo appena giunto al potere promulgava una legge che definiva l’ordine libero-muratorio “organizzazione nemica del popolo e dello stato” confiscandone i beni e inviando i massoni nei campi di concentramento.
Testo fondamentale, per giustificare le repressioni antisemite e antimassoniche, furono i famosi “Protocolli dei Savi Anziani di Sion“. Pubblicati nel 1903 e propagandati dalla polizia segreta zarista “Ochrana” come programma di una organizzazione ebraico-massonica (stilato durante il Congresso sionistico di Basilea del 1897), risultarono negli anni seguenti un falso clamoroso. Furono creati appositamente per trovare un pretesto ai pogrom e giustificare la lotta agli ebrei e ai massoni, quest’ultimi definiti come “mezzo dei giudei per appropriarsi delle leve del potere”. Le tesi principali dei “Protocolli” collimano con il pensiero reazionario-cattolico di fine Ottocento secondo cui tutti i movimenti politici e ideologici e gli avvenimenti da essi provocati, dalla Rivoluzione francese in avanti, furono creati e guidati da una organizzazione ebraico-massonica. La nascita e l’affermazione di concetti, come la democrazia, e di ideologie, come il liberalismo e il marxismo, sarebbero state, se non condivise, appoggiate e strumentalizzate da questo organismo segreto che avrebbe puntato alla sovversione, al controllo della stampa e, per ultimo, della finanza mondiale con il fine di assumere la direzione della storia e creare una società autocratica dove tutti i posti di comando fossero in mano a ebrei e massoni.
Il falso, che era stato così ben accolto negli ambienti antisemiti e antimassonici, venne sensazionalmente smascherato nel 1921. Casualmente un giornalista inglese, Philip Graves, corrispondente del “Times” da Costantinopoli, venne in possesso di un opuscolo che faceva parte della biblioteca di un ex-agente dell'”Ochrana“. Pur non conoscendone l’autore, dato che mancavano le prime pagine, il giornalista riscontrò immediatamente una straordinaria rassomiglianza con il contenuto dei “Protocolli“. Tramite ricerche presso il British Museum scoprì che erano i “Dialogues aux enfers” scritti dall’avvocato parigino Maurice Joly e pubblicati nel 1864. L’opera, che non conteneva nessun accenno alla questione ebraica e alla Massoneria, era una satira contro il governo autocratico e le ambizioni di Napoleone III. La satira si svolgeva sotto forma di un colloquio immaginario tra Montesquieu e Machiavelli. Il primo, difendendo il liberalismo, anteponeva la morale e il diritto come cardini fondamentali della politica; il secondo, identificato come Napoleone III, sosteneva che la debole democrazia doveva essere sostituita da un potere assoluto, sorretto dall’esercito, che controllasse i gangli vitali della società, dal potere legislativo a quello giudiziario, dalle Università ai mezzi d’informazione. L’estensore del falso, sulla traccia della satira di Maurice Joly, fu il capo dell'”Ochrana” a Parigi, Peter Ivanovic Ratschkovskj. Tralasciando completamente le pacate considerazioni di Montesquieu, la politica di Machiavelli, alias Napoleone III, divenne il programma dei “giudeomassoni per la conquista del mondo tramite la sovversione”. Malgrado gli articoli pubblicati dal “Times” nel 1921 da Graves, dove si affermava senza ombra di dubbio che i “Protocolli” erano un plagio e si smentiva, date alla mano, la rocambolesca storia della stesura, il libello antisemita fu ripubblicato in tutto il mondo diffondendo la perniciosa propaganda antiebraica-massonica.
L’identificazione tra ebrei e massoni fu totale. Per Hitler e i suoi gerarchi erano due gruppi inseparabili che dovevano sottostare alle stesse leggi persecutorie che culminarono con la follia della “soluzione finale”.
Nel 1942 Goering, nella sua qualità di Reichsmarschall, dichiarava che la lotta contro gli ebrei e i massoni era un compito del nazionalsocialismo, tesi ribadita nell’ultimo anno di guerra nel programma di addestramento delle SS secondo cui “le dottrine e i sistemi educativi della massoneria, con la sua simbologia eterogenea e la sua ritualità di stampo giudaico, erano in contrasto con l’orientamento del popolo tedesco, conforme ai principi fondamentali del nazionalsocialismo. Divenne quindi necessario annientare l’organizzazione massonica in Germania e bloccare le sue possibilità di esercitare influenze”.
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Questa aberrante teoria del “Complotto comunista-giudeo-massonico“, comun denominatore dei movimenti fascisti, fu fatta propria dal movimento filo-fascista “La Legione dell’Arcangelo Gabriele” che, attraverso il suo braccio armato “Le guardie di ferro“, capeggiate da Corneliu Codreanu, scatenò una caccia spietata al massone con durezza e modalità già usate in Italia e Germania. La chiusura delle logge, gli arresti arbitrari, l’esposizione al pubblico di una loggia di Bucarest con visite guidate in cui si deridevano gli ornamenti rituali e si attribuivano all’Ordine i più nefandi delitti (simile alle nostrane “Mostre della rivoluzione fascista” o alla loggia ricostruita come spauracchio nell’Archivio Nazionale di Salamanca in Spagna) non piegarono la volontà dei massoni romeni che continuarono a riunirsi clandestinamente in appartamenti privati.
In Spagna la repressione anti-massonica, iniziata immediatamente dopo la sollevazione del 19 luglio 1936 che scatenò una sanguinosa guerra civile, fu direttamente ispirata dal generale Franco che provava nei confronti della Liberomuratoria una vera e propria fobia.
Al grido di “No pasarán! Non passerà il marxismo, non passerà la massoneria” iniziava “la crociata contro la politica, il marxismo, la massoneria” come proclamava il giornale falangista “Arriba“.
Si instaurò un clima d’intolleranza nel quale maturarono, come atto estremo, esecuzioni sommarie che si estesero man mano che i nazionalisti conquistavano nuovi territori coinvolgendo non solo massoni autentici, ma quanti venivano indicati come tali. Essere libero muratore significava la condanna a morte senza processo né appello: 30 a Salamanca, 30 a Zaragoza, 15 a Logroño, 7 a Burgos, 17 a Ceuta, 24 ad Algeciras, 30 a Valladolid e a Malaga, per 80 massoni, l’esecuzione avvenne con la “vil garrote” che fu orrendamente usata fino al 1973.
Questo isterismo non colpì solamente i vivi ma si abbatté sui morti con profanazione di tombe di massoni, tanto che, nel 1938, un decreto impose la distruzione dei simboli massonici nei cimiteri e furono fatte esumare le spoglie mortali del duca di Wharton, fondatore della prima loggia spagnola nel 1728, perché poste in terra consacrata.
Tale atteggiamento, per molti versi psicopatologico, fu una costante prioritaria nella quarantennale carriera dittatoriale confermata nell’ultimo discorso pubblico, il 10 ottobre 1975, dove si ribadì che contro la Spagna tramava una “cospirazione massonico-izquerdista (di estrema sinistra)”.
Il complotto era quasi sempre associato a quello “giudeocomunista” ed era usato per coagulare tutte le forze favorevoli al regime riprendendo teorie fondamentali del pensiero tradizionalista spagnolo che identificava, negli ebrei prima e nei massoni poi, in tempi recenti, l’origine dei mali della Spagna, come la decadenza storica con la perdita delle colonie e la degenerazione politica con l’instaurazione della Repubblica. Francisco Franco condensò tutto il suo pensiero antimassonico in una serie di articoli pubblicati sul quotidiano falangista “Arriba“, raccolti successivamente in un volume dal titolo Massoneria pubblicato con lo pseudonimo di “Boor”.
L’influenza diretta di Franco si avvertì anche in campo giuridico con la legge del 1 marzo 1940 definita “Legge per la repressione della massoneria, comunismo e altre società clandestine che seminano idee disgregatrici contro la religione, la patria e le loro istituzioni fondamentali e contro l’armonia sociale”.
6 Nel prologo di questa legge si ribadiva il concetto della Massoneria come principale nemica della Spagna e fautrice della sua decadenza: “Tra i molti fattori che hanno contribuito alla decadenza della Spagna, forse nessuno influì tanto perniciosamente e frustrò con tanta frequenza le salutari reazioni del popolo e l’eroismo delle nostre armi come le società segrete di ogni genere e le forze internazionali di natura clandestina. Fra le prime la Massoneria occupa il posto più importante”.
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Sempre nel 1940 venne istituito il “Tribunale speciale per la repressione della Massoneria e il Comunismo” che operò fino al 1963 e inflisse condanne a seconda del grado massonico raggiunto.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale, l’Alleanza delle Massonerie perseguitate, fondata dal Gran Oriente d’Italia in esilio e presieduta dal Gran Maestro Alessandro Tedeschi, lanciava un appello a nome dei fratelli italiani, tedeschi, portoghesi e spagnoli dove si affermava che per evitare “la sottomissione alla dittatura e per continuare a lavorare per il trionfo dei nostri ideali abbiamo scelto l’esilio, lasciando nella nostra patria le persone a noi più care, abbandonando i nostri beni, le nostre posizioni faticosamente conquistate, le nostre professioni, i nostri mestieri affrontando tutte le sofferenze e per molti di noi la miseria. Noi non domandiamo nulla per noi. Gli interessi dell’Istituzione prima di noi.”
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Con l’inizio della guerra, il 1 settembre 1939, e la successiva sconfitta nel giugno 1940 la Francia veniva divisa in due: una parte occupata e amministrata dalle truppe naziste, l’altra denominata “Francia libera” governata dal Generale Pétain, feroce antimassone, coadiuvato da collaboratori imbevuti delle idee di Maurras. L’odio antimassonico portò allo scioglimento delle Obbedienze francesi il 19 agosto 1940, malgrado il Gran Maestro Groussier avesse gia sospeso i lavori del Grande Oriente.
Nell’autunno dello stesso, il governo petanista di Vichy creava il “Servizio delle Società segrete” mentre a Parigi, nella storica sede del Grande Oriente di rue Cadet, si installava il servizio del controspionaggio nazista per le questioni massoniche e veniva organizzato un centro di documentazione affidata allo storico antimassone Bernard Fay.
L’attivismo di Bernard Fay, coadiuvato dall’ex-massone Jean Marques Rivière, portarono all’apertura di una mostra antimassonica al Grand Palais e la pubblicazione del mensile “Documents Maçonniques“, vera miniera d’informazioni sulle obbedienze massoniche europee tratte dai documenti sequestrati dalle truppe naziste e convogliati a Parigi.
Marques Rivière, organizzatore di una polizia antimassonica, nel 1942 produsse il primo film antimassonico, Forze occulte, che secondo la stampa dell’epoca ottenne un grande successo. Il film ispirato da Fay fu solo uno dei tasselli importanti di una massiccia campagna propagandistica antimassonica fatta di conferenze, esposizioni, pubblicazioni, tesa ad accreditare il famoso complotto citato.
L’attività antimassonica non si limitò alla propaganda e alle mostre ma ebbe i suoi risvolti tragici.
Nel 1941 venne costituito un servizio di polizia contro le società segrete con il compito di stilare elenchi di liberi muratori. In dieci giorni sul “Journal Officiel” vennero pubblicati circa 15.000 nomi di massoni. Come conseguenza coloro che comparvero sulla lista furono esclusi dai pubblici impieghi e privati del diritto elettorale. La repressione portò alla denuncia di 60.000 massoni di cui 6.000 processati, 989 deportati e 540 fucilati.
Uguale sorte subirono i massoni austriaci, croati, serbi e magiari e di tutti i paesi occupati dalle truppe naziste.
1. A. Chiarle, Benito Mussolini, Vittorio Emanuele III, Giacomo Matteotti e la Massoneria, Savona, 1986, p. 4.
2. L. Pruneti, Oh, setta scellerata ed empia, cit., p. 58.
3. PNF, Lo Stato e le sette segrete, Roma, 1925, p. 24.
4. B. Mussolini, Scritti e discorsi, Milano, 1930.
5 M. Valmy, Massoni, cit., p. 75.
6. Boletín Oficial del Estado, 2 marzo del 1940, pp. 1527-1539.
7. Ivi.
8. A. A. Mola, Il Grande Oriente d’Italia dell’esilio, Roma, 1983, p. 64.