di Daniela Bandini
Francesco Piccolo, Allegro occidentale, Feltrinelli, pp.241, €14,00. Davvero divertente e istruttivo questo racconto-cronaca di Francesco Piccolo. L’autore ci immerge nel delicatissimo campo dei viaggi, organizzati e non, con tutte le sue insospettabili linee di demarcazione. Io, che viaggiatrice non sono, non avrei mai neanche lontanamente sospettato quali differenze, quali umiliazioni fisiche, quali confini potessero esistere tra un povero viaggiatore di economy e uno di business class. E’ tutt’altro che una sottigliezza linguistica, è una vera e propria apartheid! Non solo lo spazio che avrete a disposizione per le vostre gambe si allungherà notevolmente se viaggerete in business, ma sarete i primi ad accedere ai vostri bagagli — bagagli che non si perderanno mai! – verrete sistemati in hall esclusive e annaffiati con ettolitri di champagne, verrete condotti con mano da hostess e steward sorridenti e preposti a voi soltanto… E non sarà solo una sensazione: essi, l’organizzazione, sono davvero al vostro servizio! E il cibo! Sarete letteralmente ingozzati di cibo, e non quello anestetizzante della economy, bensì vero cibo. Insomma, riempiono e riempiono, di tutto, e in continuazione.
Immaginate il Wing (giuro che prima o poi ci andrò anch’io), che sarebbe poi la sala vip dell’aeroporto di Hong Kong. “Il Wing ha un’architettura di gran classe, in legno chiaro…. All’entrata c’è un lunghissimo corridoio dove pannelli techno da una parte e morbido legno dall’altra lasciano intravedere degli interni succosi. Una sala biblioteca dove puoi trovare best-sellers e altri libri, riviste, settimanali e quotidiani in ogni lingua, puoi sederti in poltrone soffici e ampie… Senza contare il fatto che in una sala del genere, su uno scaffale illuminato come se ci fossero dei quadri del Vélasquez, ci sono, in sequenza: “Corriere della Sera”; “La Stampa”, “La Repubblica”, “La Gazzetta dello Sport”, “Panorama, “L’Espresso”… Poi c’è il reparto professional con scrivanie ampie dove puoi lavorare al computer e collegarti a internet… Alla fine di questa serie di comfort cultural-professionali , ci si trova davanti a un’enorme sala bar con tavolini e poltrone… Si chiama Long Bar, è addirittura famoso perché lungo che so, un chilometro o forse più … Il barista dal lato opposto è piccolo piccolo, un puntino lontanissimo… E intanto tu hai già mangiato una quantità di salatini e patatine, e dolcetti e tramezzini, e tartine e salsette, e ti porta champagne e champagne e poi ancora champagne ogni volta che hai finito di bere il tuo…”
Lo dovevo riportare, pari pari. Ma questi viaggi sono compiuti da uno che sprovveduto non è. Anch’egli, come forse noi, passerà continuamente dallo stupore e dalla sensazione che certi benefici in fondo gli siano dovuti, alla difficoltà di conciliare questi mondi a sé con le società che li circondano. Racconterà nei dettagli le atmosfere, le persone che vivono e lavorano in questi villaggi turistici, dove il rapporto tra il personale e gli ospiti è decisamente a favore dei secondi. E racconterà della nausea, quasi, che porta il mangiare sempre le cose migliori annaffiate dai vini migliori, delle innumerevoli confezioni di yogurth nei frigorifero cambiate tutte la mattina successiva (ma quanti yogurth uno si può mangiare in una mattina?), della difficoltà di conciliare l’elemosina e la bellezza sconcertante di certi monumenti dello Sri Lanka.
Racconterà con quale stupore e ammirazione, in pieno foresta australiana, gli organizzatori avessero allestito un banchetto, dove oltre a ogni ben di dio e all’irrinunciabile champagne, c’erano pure le mozzarelline pugliesi espressamente importate e fatte arrivare con l’aereo per l’occasione.
Questo libro è un invito al viaggio con le sue contraddizioni e le sue bellezze. E’ l’inno al decollo, se vogliamo. Anche se l’autore confesserà che sempre, la notte precedente il viaggio, spera che un contrattempo lo costringa a rimandare, a restare a casa. Parla delle differenze culturali sorprendenti, dei biglietti da visita giapponesi che se non li hai non sei nessuno, delle specie animali terrificanti presenti in Australia, e di come l’impressione che abbiamo noi che i cinesi o i neri siano tutti uguali, sia altrettanto vera per loro: anche per loro noi siamo tutti uguali, tanto che l’autore verrà scambiato (con estremo imbarazzo da parte sua) per Nicolas Cage. Al quale non assomiglia minimamente.
Parla anche di come in quelle circostanze ci si ritrovi un poco più bastardi: abituati a essere serviti nel modo più impeccabile, si rimanda indietro un’ordinazione non richiesta con irritazione, con sgarbo. Quando a casa una pizza diversa da quella ordinata viene mangiata ugualmente per non creare problemi al personale…. Racconterà anche diffusamente, con un’angoscia senza paragoni nel libro, del suo viaggio più lontano, quello dove realmente si sia sentito perduto e con la sensazione che non sarebbe mai più potuto tornare a casa: quando dovette andare a un appuntamento dall’altra parte della città di Roma, in piena notte, con gli autobus che finivano il turno alle 22, senza macchina, e senza i soldi per un taxi.
Non è un volontario paradosso. Pensateci davvero: cosa c’è di più sgradevole e opprimente della propria città che all’improvviso sembra respingerti, non ti vuole, ti lascia a piedi, sono affari tuoi, sembra dirti. E’ come essere respinti in un momento di debolezza dalla propria famiglia, da chi amiamo. Dall’altra parte del mondo sì, ma non qui, non è tollerabile questo.
Allegro occidentale fa parte di quella categoria di libri che cominci a leggere e capisci solo dopo che continui a pensarci, che racconterai ai tuoi amici, che fa parte del “tuo” viaggio. Per concludere: grazie all’autore di questo libro, forse un giorno ci incontreremo al Wing…