Bisogna necessariamente contribuire alla diffusione della Carta. Non sterminando gli alberi, è ovvio. E’ un’altra carta che bisogna disseminare per il pianeta: la rivista Carta. Se ancora non lo avete fatto, connettetevi al sito, leggetevi che cos’è Carta, spulciate gli archivi e constatate direttamente come, a volte, un castello di Carta sia la costruzione più reale che c’è. A luglio Carta ha pubblicato una gnomica intervista a Kurt Vonnegut. Si parla di stronzi, tra i quali viene facilmente annoverata l’attuale marionetta presidenziale americana. Riproduciamo il colloquio con il grande autore americano che, grazie alla riedizione feltrinelliana di Mattatoio n°5 e Giaccio Nove, ha dominato l’estate letteraria italiana.
La guerra idiota, o Mattatoio n.6.
Un grande scrittore Usa e George PP Bush
intervista a Kurt Vonnegut raccolta da Joel Bleifuss per In These Times
KURT VONNEGUT ha compiuto ottant’anni nel novembre del 2002. Ha pubblicato il suo primo romanzo, Player piano, nel 1952, a 29 anni. Da allora, ha scritto altri 13 romanzi, tra i quali Mattatoio 5, considerato uno dei romanzi contro la guerra più importanti del secolo ventesimo. Avvicinandosi la guerra contro l’Iraq, ho chiesto a Vonnegut, lettore e simpatizzante di In These Times, di commentare la situazione. Vonnegut è un socialista statunitense della scuola di Eugene Victor Debs, un compagno “hoosier” che gli piace citare: “Finché ci sarà una classe spossessata, sarò dalla sua parte. Finché ci saranno elementi criminali, sarò dalla loro parte. Finché esisterà un’anima in prigione, non sarò libero”.
Tu hai vissuto la seconda guerra mondiale, la guerra di Corea, quella del Vietnam, le guerre reaganiane, la “Tempesta nel deserto”, le guerre balcaniche e ora questa in arrivo contro l’Iraq. Cos’è cambiato? Cos’è rimasto uguale?
Qualcosa che non è cambiato è che, per cominciare, nessuno di noi ha chiesto di nascere, non importa da quale continente, isola o calotta polare provenga, e che anche qualcuno vecchio come me, con i miei ottant’anni, è arrivato appena adesso. Tutti questi giochetti erano già in marcia quando io sono arrivato al mondo… Un motto appropriato, che qualunque governo di qualunque parte del mondo dovrebbe mettere nel suo stemma statale, nella sua moneta, non importa dove, è questa citazione del defunto allenatore di baseball Casey Stengel, che apostrofò una squadra che stava perdendo in questo modo: “C’è qualcuno, qui, che sa giocare a questo sport?”.
Mia figlia Lily, per fare un esempio vicino, ha appena compiuto vent’anni ed erediterà – proprio come George W. Bush, che è anche lui abbastanza ragazzo – una storia recente, in verità terrorizzante, che mette insieme la schiavitù umana, l’epidemia di Aids e i sottomarini nucleari che vagabondano sui fondali dei fiordi in Islanda, o da altre parti, manovrati da equipaggi pronti a trasformare così, in un secondo, quantità industriali di uomini, donne e bambini in rifiuti nucleari e pezzettini per mezzo di razzi e testate all’idrogeno. E deve scegliere, Lily, tra liberalismo o conservatorismo, e così vanno le cose.
Quel che c’è di nuovo, nel 2003, è che mia figlia, insieme con il nostro presidente e con Saddam Hussein e molti altri, ha ereditato certe tecnologie i cui effetti collaterali, in tempi di pace o di guerra, stanno distruggendo l’intero pianeta, in tutta la sua capacità di essere un sistema respirabile, bevibile, che possa dare sostegno a qualsiasi tipo di vita. Gli esseri umani, del passato e del presente, si sono solo preoccupati di farne una porcheria.
Sulla base di quel che leggi o guardi in tv, cos’è che i media dominanti non hanno detto delle politiche del presidente Bush e della prossima guerra in Iraq?
Che sono una idiozia.
La mia impressione, che viene dal parlare con lettori e amici, è che molta gente comincia a disperarsi. Credi che abbiamo perduto i motivi di nutrire la speranza?
Io penso che il nostro paese, per la cui Costituzione ho combattuto in una guerra giusta [la seconda guerra mondiale, ndt.], sembra aver subito l’invasione dei marziani o degli ultracorpi. Qualche volta ho desiderato che fosse davvero così. Quel che è successo, invece, è che si sono impadroniti del paese per mezzo del più squallido colpo di stato, degno di una commedia di serie B o di un telefilm sui poliziotti. E quelli che adesso comandano nel governo federale sono studenti somari, promossi con una spinta, che non conoscono la storia o la geografia, sono, in modo nemmeno tanto nascosto, suprematisti bianchi che chiamano se stessi “cristiani”. Ma la cosa più terrorizzante è che si sono unite a loro alcune personalità psicopatiche, o PP.
Dire che qualcuno è un PP significa alludere a una diagnosi medica perfettamente rispettabile, è come dire che qualcuno ha l’appendicite o il piede d’atleta. Il testo medico classico sulla PP è “The mask of sanity”, del dottor Hervey Cleckey. Leggetelo. I PP sono presentabili, sanno molto bene quanta sofferenza i loro atti provocano agli altri, però non gli importa. Non gli importa, perché sono svitati. Gli manca una rotella. Quale sindrome può descrivere meglio molti dei dirigenti di Enron e Worldcom e di molte altre multinazionali, uomini che si sono arricchiti rovinando i loro impiegati e gli azionisti e il paese e che, ciononostante, si sentono puri come neve appena caduta, e non gli interessa quel che chiunque possa dire di loro? Succede che di questi PP senza cuore alcuni hanno poltrone importanti nel nostro governo federale, come fossero leader e non persone malate.
Quel che ha permesso a molti PP di arrivare tanto in alto nelle imprese, e ora nel governo, è che sono molto decisi. A differenza della gente normale non hanno mai dubbi, per la semplice ragione che sono incapaci di preoccuparsi della conseguenze dei loro atti. Non possono. Fate questo! Fate quello! Mobilitate le riserve! Privatizzate le scuole pubbliche! Attaccate l’Iraq! Sospendete i servizi sanitari! Intercettate tutti i telefoni! Tagliate le tasse ai ricchi! Costruite uno scudo missilistico anche se costa miliardi di dollari! Fottete l’habeas corpus, il Sierra Club e In These Times, e baciatemi il culo!
Sei coinvolto nel movimento contro la guerra? Che paragone puoi fare tra il movimento sull’Iraq e quello dei temi del Vietnam?
Quando si fece evidente lo stupido, crudele e rovinoso errore che, a livello spirituale, finanziario e militare, era metterci in una guerra contro il Vietnam, tutti gli artisti di valore di questo paese, tutti gli scrittori, pittori, uomini di teatro, musicisti, attori, attrici e altri ancora si sollevarono contro questa aberrazione. Formammo quel che si potrebbe descrivere come un raggio laser di protesta, tutti puntati nella medesima direzione, con molto fuoco e intensità. Questa arma mostrò di avere la stessa potenza di una torta di crema alla banana di un metro di diametro quando la si scaglia da una scala di due metri di altezza.
E lo stesso accade anche con le proteste contro la guerra di ora. Allora, come adesso, alla televisione non piacevano quelli che protestavano contro la guerra, nessun tipo di protestatario, a meno che non facessero una bella rivolta. Adesso, come allora, dal punto di vista della televisione il diritto dei cittadini a riunirsi pacificamente e ad esigere dal governo che raddrizzi i torti, vale quanto uno sputo, per così dire.
Come scrittore e artista, hai notato qualche differenza tra i leader culturali del passato e quelli di oggi, quanto alla loro responsabilità verso la società?
Responsabilità con quale società? Con la Germania nazista? Con l’Unione sovietica stalinista? Perché non responsabilità verso l’umanità in generale? Leader di quale attività culturale, in particolare? Spero che ti riferisca alle belle arti. Tutto quel che riguarda il comporre musica, per cinico, ambizioso o codardo che sia, non può che servire l’umanità. La musica fa sì che tutti abbiamo un po’ più di amore per la vita. Perfino le bande militari, benché io sia pacifista, mi rallegrano sempre.
Però questo potere è esclusivo della dolcezza per le orecchie. È impossibile creare una confezione tanto universale per l’occhio, attraverso la poesia scritta, l’invenzione letteraria, la storia, i saggi, le memorie o altri generi. La letteratura, per definizione, è portatrice di opinioni. È destinata a provocare discussioni in molti luoghi, senza escludere la città natale o perfino la famiglia dell’autore. Qualunque autore che si dedichi a versare inchiostro sulla carta può aspirare solamente a sembrare responsabile a piccoli gruppi o a persone a lui affini. Potrebbe concedere un’intervista al direttore di una pubblicazione a bassa circolazione.
Magari potremmo parlare della responsabilità che hanno avuto, verso le loro società, architetti, pittori e scultori di altre epoche. E aggiungerei questo: i telefilm, anche se non vengono classificati come arte, hanno prestato un servizio meraviglioso agli statunitensi che cercano di essere meno paranoici, più giusti e più compassionevoli. “Mash” o “Law and order”, per citare solo due serie, sono state maestre, in questo ruolo.
Detto tutto questo, hai qualche idea per un “reality show” veramente terrorizzante?
Gli asini di Yale [università delle élites nordamericane, ndr.]. Per farti drizzare i capelli in testa.
Quale consideri un buon bersaglio, per gli autori di satira di oggi?
Gli stronzi.