di Raoul Vaneigem
[Il libro dei piaceri di Raoul Vaneigem, da cui sono tratti i passi qui riprodotti, è interamente disponibile on line su anarcotico net]
All’aurora in cui spunta la vita , si spegne la lunga notte della merce unica e derisoria luce di una storia inumana. Non basta che le passioni siano state piegate sul filo dei secoli sotto lo sguardo obliquo della morte, avvitati i desideri, in senso contrario alla vita e fondata la maggior parte dell’esistenza sulla ricerca sanguinosa del profitto e del potere?
Non basta che le vostre rivoluzioni portino sulla fronte una macchia intellettuale di sangue? Anche la violenza cambia di base.
La sopravvivenza svenduta oggi nella disfatta del mercato di scambio, è la produzione della miseria quotidiana, una specie di industria totalitaria se lo e’, e soccombe a sua volta a quella che voi chiamate la crisi, e che è solo il crollo della vostra civilizzazione mortifera.
La società mercantile non ha plasmato niente di umano, all’infuori dello stampo parodistico che è servito ad estenderla dappertutto. La parcellizzazione che il valore di scambio impone al vivente non tollera che dei frammenti di uomini, degli embrioni pazientemente disseccati nella provetta sociale della redditività, degli esseri condannati a non appartenersi ma perché appartengono a una potenza, prima spogliata del mantello divino e poi denudata della sua carne ideologica fino a rivelare il meccanismo scheletrico della sua astrazione: l’Economia. Tutto si e’ giocato su di essa, in un destino che doveva da allora giocare contro di noi.
E’ forse vero che la vita trae il suo senso dalla morte, che l’energia individuale è necessariamente votata al lavoro, che nessuno sfugge al giudizio degli dei, degli uomini, della storia, che tutto si paga presto o tardi, che ragione e sragione guidano il corpo, che una esistenza vale per la sua assenza – per il suo sacrificio, la sua utilità, la sua immagine di riguardo -, e che l’autorità e il denaro vincono, in fin dei conti, sull’amplesso amoroso, sul sorso di vino fresco, il sogno, il profumo del timo delle Alpilles, perché ne regolano il prezzo? Se le cose stanno così, si tratta delle verità di un mondo alla rovescia, con cui non ho niente a che fare.
La vera vita non è ancora venuta alla luce. Essa spunta fra i passi degli ultimi uomini incompiuti, fra i nostri passi. Poiché abbiamo imparato bene a stancarci di tutto ci stanchiamo ora di morire sotto le apparenze del vivente.
Alla fine della disperazione, la strada si ferma o risale. Alla vostra società, dove la volontà diventa stupro e lo slancio vitale riflesso di morte, sarò irrimediabilmente solo a opporle il godimento che non si mercanteggia, a opporre il desiderio irriducibile all’economia, la gratuità del piacere strappato alle leggi del dare-avere? Anche lo scoraggiamento e la mancanza di fiducia istillatami dall’infanzia hanno perso il potere di persuadermene.
Se il progresso dell’umano nella merce ha potuto un tempo dissimulare il progresso della merce nell’umano, non fatevi ingannare, il comportamento individuale verificato sullo stato dei conti e del bilancio quotidiani non resisterà di più all’irruzione della vita nella storia. Sulla supremazia economica al declino si alza la clava collettiva della volontà di vivere.
[…] La scoperta dell’individuo coincide con il suo deperimento. L’individuo è la più bella conquista della borghesia: all’ultimo stadio dell’inumano, il primo abbozzo di un’umanità reale. Affiorando alla coscienza nell’esplosione sociale che segue al monolitismo dei regimi tribali, teocratici, feudali, dispotici o monarchici, ecco, strappate dall’oscurantismo religioso per accedere alla miseria dei Lumi, le umili creature del Treponema di Nazareth, della Tenia della Mecca, dell’Acaro sarcopto buddista. Fatta la scorreggia divina che gli ingombrava il ventre prendono l’aria storica di cittadino, produttore, pensatore, militante, proletario responsabile.
Così, al vento dell’epoca, l’individuo astratto nasce dalla concretizzazione mercantile , dalla sua escrezione progressiva alla materialità. La testa stretta dal forcipe dell’ideologia, egli lascia entrare nella sua carne la separazione onnipresente fra economia e vita. Il suo frazionamento interiore riproduce lo spezzettamento sociale, e l’illusione del suo potere terrestre lo innalza al cielo della merce intanto che la sua proletarizzazione gli rivela realmente l’inferno.
Se egli rivendica la sua individualità, la sua irriducibile soggettività, è ancora attraverso la piega di questa astrazione che è l’ombra universale del valore di scambio. L’Individuo ideologico non ha niente da attingere da lui se non l’impossibilità di vivere che, ormai, non riescono più a consolare e a garantire né la potenza mitica degli dei, né la potenza vera dello Stato.
La maggior parte della gente dell’èra pre-industriale disponeva di una relativa e reale autonomia nella astrazione sociale che la negava. Sotto la classe burocratico-borghese , noi non possediamo un’autonomia astratta nient’altro che l’autonomia della merce, la cui fluidità cresce a misura che diminuisce la vita .
La piaga del lavoro diffusa dappertutto ha generalizzato l’indifferenziazione proletaria e ravvivato , per contraccolpo, la nostalgia della forza individuale. Ma il tempo dei condottieri è finito. Il fascismo, lo stalinismo, il militantismo hanno suonato la campana di un’epoca in cui i piccoli uomini raspavano fuori dai cassetti della loro mediocrità, di che identificarsi ad un popolo, ad un capo, ad una causa. Il riflesso economico ha progredito così bene che il culto delle « grandi cose » non è più , come tutti vedono e sanno,che un’astuzia pubblicitaria del reparto d’imballaggio statale.
Nel momento in cui gli Stati funzionano come dei trusts e i loro capi come commessi alla vendita promozionale, come non potrebbe rompersi i denti la volontà di potenza contro lo spiegamento della gerarchia, contro lo sprofondarsi del potere e trascina con sé lo sbriciolamento totalitario della burocrazia?
Insolente balocco della nullità individuale, essa non può dissimulare quello che è sempre stata: la vita ridotta all’economia di concorrenza. La legge dei più forte e la legge del più furbo, che, come si dice, governano il mondo, non sono cambiate. Esse hanno solo subito la stessa evoluzione del lavoro, dello scambio , della colpevolezza; si,sono intellettualizzate. Se l’astuzia del cervello si sostituisce poco a poco alla forza brutale , , la sua ragione resta quella del più forte, perché esprime la tirannia del valore di scambio.
La menzogna dell’intellettualità colpisce immediatamente l’individuo, di cui gli consuma la vita in immagini, idee, fumisterie, e la società che essa trasforma in sistema di cultura. Le trasformazioni dell’emancipazione proletaria non sono certamente estranee alla sua presente denuncia. Non hanno forse pagato i proletari con un doppio sacrificio la loro autonomia? Essi hanno rinunciato a ciò che gli rimaneva della vita per affermarsi attraverso ciò che gli restava di potere, nello scimiottamento compensatorio della volontà di potenza: autorità familiare, prestigio di maschio, eroismo di militante, tic nevrotico di capoccia. Essi hanno confuso la coordinazione delle lotte e l’idea di potere, che offriva, di fatto, a una fazione dirigente il sacrificio di tutti. Scegliendo le teste, la rivoluzione ha lasciato il corpo nelle fabbriche e sulle barricate. L’efficacia per interposte persone non agisce che a discapito della libertà.
Ciò che è crudele, è la trasformazione della volontà di vivere in volontà di potenza. Il rapporto di forza si alimenta con l’incessante frustrazione dei piaceri invertiti, mentre l’arte di gioire si nutre del piacere preso senza contropartita. Per questo la crudeltà è diventata la meschineria ordinaria dell’uomo senza qualità.
Il regno della burocrazia ha fatto della volontà di potenza una rivalità da quattro soldi, una manovra da bassi politicanti, un machiavellismo da portinaie. L’astuzia arrivista, l’arte di arrangiarsi, gli espedienti individuali della sopravvivenza sono lo specchio uniforme delle nuove società mercantili . Così finisce, in quanto tale, lo spirito di una civilizzazione da commessi viaggiatori che piazzano la merce ovunque la merce li ha piazzati.
Mentre le piccole crudeltà della sopravvivenza danno l’illusione di esistere, il crollo del movimento operaio tradizionale rimanda ciascuno a fare i conti con se stesso e a scegliere: o la dissoluzione in una intellettualità che è l’ultimo stadio della volontà di potenza, o il rafforzamento della volontà di vivere attraverso l’emancipazione dei piaceri.
Ora la storia risponde favorevolmente all’autonomia che si risveglia. Lo scacco della rivoluzione non è mai avvenuto per mancanza di organizzazione ma per l’impotenza in cui si sono cacciatigli individui che non hanno eliminato ogni organizzazione estranea alla loro volontà di vivere. La poca fiducia dei proletari nella loro capacità di abolire il proletariato, non è che un altro degli effetti del lavoro intellettuale, di cui tutti possono vedere la corrosione nella vita quotidiana del corpo . L’idea che non possiamo fare niente a partire da noi stessi ci ha lasciati legati mani e piedi in balia del vecchio mondo. Dal momento in cui sentiremo che più nessuna forza statuale imbriglierà la crescita dei godimenti individuali, l’irruenza collettiva unirà le nostre decisioni singolari.
[…] La realizzazione individuale conosce i suoi limiti e non ne riconosce nessuno. Il rovesciamento di prospettiva dissipa in ciascuno la bruma corrosiva del lavoro e della costrizione. Scappando all’ascendenza economica con l’astuzia, la disinvoltura e la violenza, non c’è nessuno che non si senta incline a crearsi, a rinascere, a cambiare vita ogni giorno. La creazione vissuta quotidianamente come rinascita non è che l’impulso a vivere dissolvendo a poco a poco la corazza dei desideri repressi.
La morte è stata così a lungo predicata sui nostri piccoli istanti che ciò che ricorda il tono della predica – a cominciare dall’incitazione a vivere – prende il movimento della morte. Voglio essere la mia propria cittadella, imprendibile e aperta a ciò che ne aumenta la forza accogliente al viaggiatore in cammino verso di sé. I castelli dell’autonomia finiranno con il far crollare l’autorità dello Stato. « I cavalli del desiderio berranno l’acqua pura dei fiumi sulla sponda di città coperte di fiori ».
L’autogestione generalizzata non ha bisogno di agitatori, di questi cospiratori che i burocrati al potere amano denunciare dappertutto perché vi scoprono il riposante riflesso della loro tirannia. Non ha niente a che vedere con i partiti e le organizzazioni. Cadaveri che pretendete di governarci, è inutile che pensiate a strani complotti, fustigate i fautori del disordine e piangete ipocritamente sulla violenza di cui la vostra sola presenza è causa. Una volta ancora, l’evidenza impiastra il naso della vostra impotenza. Nella strada e sulla soglia delle vostre inquietudini, gli individui dell’autonomia nascente emergono lentamente dalle rovine della contaminazione mercantile . Pronti a rischiare il nulla per il tutto, a colpire quando meno ve l’aspettate, non a rispondere che a se stessi hanno il solo mandato della loro soggettività e i loro passi cominciano a calpestare la paccotiglia della vostra civilizzazione mortale .
La storia putrescente dell’economia si apre sulla storia possibile degli individui.
Nel ritardo della vita sulla volontà di vivere , è ancora la testa che dissimula la presenza di uno stile nuovo. Non vivo abbastanza nel rovesciamento di prospettiva, perché l’impazienza mi faccia aspettare quello che è già in me? Perché cercare nell’assenza ciò che si trova nell’abbondanza? Mi sia sufficiente, ormai, cogliere ciò che mi piace per legarlo a ciò che mi appassiona, perché la passione ha gli occhi del desiderio, brucia tutto ma non riduce in cenere che gli ostacoli al suo desiderio, brucia tutto ma non riduce in cenere che gli ostacoli al suo desiderio.
Non voglio privarmi di niente, non averne mai abbastanza di tutto. Come potrebbe soddisfarmi il vecchio mondo? In ogni turbamento sociale, in ogni rivolta, mi si offre l’occasione di spezzare gli impedimenti ad una possibile gratuità, più avanti, su un territorio più vasto di quello della mia vita quotidiana. La linea della vita passa per l’abbondanza soggettiva , l’amore senza limiti,l’incendio delle banche,il sabotaggio dell’economia,la fine dello Stato,la distruzione radicale dei rapporti mercantili.
Voglio battermi per essere umano, troppo umano da non esserlo mai abbastanza.
La gratuità è l’autodifesa della vita.
Il godimento senza contropartita è l’arma assoluta dell’emancipazione individuale.
L’ironia della storia ha voluto che l’estrema alienazione mercantile la mettesse, per l’appunto, alla portata di tutti.
Senza intermediari, senza politicanti, senza agitatori, senza medici, senza tribuni, senza una forza esterna a noi, imprimeremo alla storia il segno dei nostri desideri armonizzati e la libertà della necessità.
Non ci si salva da soli? In verità , io sono sicuro di non salvarmi mai se aspetto la salvezza dagli altri e non da me.
Se l’autonomia individuale non si abbozza dal principio, come sarebbe possibile ritrovarla alla fine? E se non siamo decisi a realizzarla fino in fondo, perché affermarla in partenza?
Condannata ieri alla liberazione nel suicidio, la lotta degli individui inizia la sua trasformazione nel rovesciamento di prospettiva. L’energia investita nella corsa al potere e al profitto si ripadroneggia sorridendo quando si accorge che per appagarsi le è rimasta solo la disoccupazione, l’inflazione, lo sfacelo dell’economia, il crollo dell’autorità e la rivoluzione amministrata da giudici in radicalità . Essa ritrova i percorsi del godimento e pretende la gratuità immediata.
Non mi aspetto che essa vinca immediatamente. L’innocenza non vuol dire credere che un magistrato, un commerciante, un militare, un assassino scelgano anche loro di godere invece di castrare la gente con il randello della loro impotenza. Chiedere a una vipera di non mordere non mi sembra impossibile, ma non al primo incontro.
Non c’è giorno che la repressione non provochi una risposta. Il commercio mi aggredisce obbligandomi a pagare, la banca mi aggredisce obbligandomi a contare, la legge e l’autorità mi aggrediscono proibendo la libertà ai miei desideri di vita. Pertanto non sarà la disinibizione della rabbia ma la violenza tranquilla del superamento che li spazzerà via.
Sarà con incantevole disinvoltura, nel modo più innocente del mondo, che gli individui, uniti da un comune desiderio di autonomia, cesseranno di pagare, di lavorare, di obbedire, di rinunciare, di invecchiare, di avere vergogna e di conoscere la paura; che agiranno secondo l’impulso dei desideri, che vivranno d’amore e di creatività.
La natura non ha altre leggi che quelle che le ha accreditato l’economia. Sono queste leggi che voi avete celebrato nella crudeltà animale e nei flagelli della terra e del cielo. Sono queste leggi che la volontà di vivere negherà socialmente in uno scontro in cui i vostri riflessi di morte non usciranno vittoriosi. La lotta contro una natura ostile cede oggi il posto all’aiuto offerto ai godimenti individuali attraverso ciò che la natura dà, e che voi avete la gloria di raccogliere alle radici della vita. La mutazione della civilizzazione umana non è in realtà che il suo completamento.
Tanto peggio se il gusto dei piaceri è fonte di errori. Noi non ne commetteremo certo di più di quelli che testimonia la macchia intellettuale di sangue che ogni rivoluzione passata porta in cuore. Preferisco un errore spontaneo a una verità imposta. Meglio le incertezze del creatore che la coerenza del capo.
L’essenziale è stato detto. Ora, comincerà ad esprimersi l’importante
Da Il Libro dei piaceri di Raoul Vaneigem (Arcana editrice, 1980)