di Luigi Bernardi
La luce entra dallo spiraglio fra le tende, è grigia, scura. Dev’essere molto presto. Controllo l’orologio, per scrupolo. Sono le otto passate, di solito mi sveglio prima. Mi chiedo perché fuori faccia ancora buio. Subito, non trovo una risposta. Dopo sì.
Mi trovo in un paese in mezzo alle montagne. Dalla finestra si vede il monte Bianco, è più vicino di quanto saprei dire. La luce del giorno impiega più tempo, per arrivare fin qui.
Mi alzo, tolgo il pigiama, mi rimetto la maglia di ieri, mi piace cominciare la giornata con il conforto del mio odore conosciuto. Mi do una veloce sciacquata alla faccia, infilo la camicia, scendo a fare colazione.
Non c’è nessun altro nella sala grande dell’albergo. Solo sei camerieri, pronti a servirmi. Faccio io, al buffet. Prendo una brioche salata, una fetta di torta, due di pane morbido, della composta di albicocche, una coppa di macedonia di frutta fresca. Trasferisco il tutto nel mio tavolo, ne ho scelto uno accanto a un’ampia vetrata. Fuori nevica, fiocchi leggeri, densi, rigano il panorama coperto di altra neve. Domando del caffè americano, verso un bicchiere di spremuta di pompelmo, mi chiedo perché negli alberghi i bicchieri per le spremute siano così piccoli. Comincio a mangiare.
I sei camerieri mi guardano a turno. Sono schierati uno accanto all’altro. Tengono la testa basta, la alzano per controllare se arrivano altri ospiti, oppure se ho io bisogno di qualcosa. Una dei sei, una ragazza dai capelli neri molto lisci, sottili, viene al mio tavolo, mi chiede se può servirmi altro. Le chiedo un bicchiere d’acqua, giusto per non sembrarle cortese. Me lo porta, svelta. Mi piace il gioco, le chiedo di versarmi un altro bicchiere di spremuta. Lei lo fa.
Il programma della giornata prevede la visione di un paio di film, l’anteprima dell’episodio pilota di una nuova serie televisiva americana, la presentazione di due libri e il convegno su uno scrittore francese, per il quale sono stato chiamato come relatore.
Domando dell’altro caffè americano. Mi alzo, prendo una nuova fetta di torta, uguale a quella che ho appena mangiato e mi piaciuta molto. Sul tavolo del buffet ci sono sei tipi di torte diverse. Decido quali mangerò il giorno dopo, sempre che domani non propenda per una colazione tutta salata.
Alla fine avrò bevuto otto intere tazze di caffè. Quello e tutti gli zuccheri mi hanno scaldato la pancia, tutto il corpo. Lì non si può fumare, peccato. Vado nella hall, i giornali non sono ancora arrivati, mi stiracchio, fumo la sigaretta, guardo la neve che cade. Quando ho finito, risalgo in camera. Mi spoglio, rimetto il pigiama, torno a letto. Forse dormirò ancora.
Da ZERO IN CONDOTTA