bene.jpgPersiste, il mito di Carmelo Bene. E’ passato poco più di un anno dalla sua morte prevista, invocata, mai esorcizzata fino in fondo, per il gusto dell’intercettazione di totalità che Bene aveva coltivato in vita quale categoria spirituale fondamentale. Per ricordare l’opera immensa e la gigantesca figura di Carmelo Bene, riproduciamo qui la scheda che Marco Giusti ha inserito su un film leggendario, Nostra Signora dei Turchi, nel suo Dizionario dei film italiani stracult.

NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI
di Marco Giusti e Giovanni Buttafava

Il film santo di una generazione. Opera prima e capolavoro insuperato di Carmelo Bene al suo massimo splendore. Doveva essere uno dei film sicuri che io e Giovanni Buttafava avevamo scelto per un libro sui cult italiani che non si fece oiu’ per la morte di Gianni. Riporto pero’ il suo testo, inedito, scritto allora per spiegare all’editore, Franco Quadri, come volevamo scrivere le schede.

bene3.jpg“Gli amanti di Carmelo Bene lo sanno: valore e’ uguale a cristallizzazione, incapacita’ di suggerire, comunicare, sorprendere, ricordare, trasmettere. Tutte cose che Bene riesce a fare per chi ha orecchie per intendere, e occhi cuore fegato. Il rigetto del valore costituito (e la volonta’ di compromettersi interamente, anche) parve nel 1968, all’uscita di Nostra Signora dei Turchi, sensazionale e irresistibile, un antidoto al divulgare dell’ideologia, dell’accademia. Non resto’ che abbandonarsi a bocca aperta di fronte al sublime, ottenuto con pochi soldi e immensa ricchezza, con fondi di bicchiere che brillavano come gioielli, con una fotografia virtuosa e inventata come avesse filtri sofisticatissimi e parchi lampade da kolossal, con una colonna sonora di ipnotica magnificenza ottenuta con i piu’ ovvii repertori: Arnoldo Foa’ che legge ‘Alle cinque della sera’, Ruggero Ruggeri che legge ‘Quant’e’ bella giovinezza’, Mario Carotenuto che recita Il Generale della Rovere di Montanelli, i brani di Puccini, Verdi, Donizetti, la voce stessa di Carmelo, naturalmente, che quando legge off brani del suo omonimo libro da’ a Nostra Signora dei Turchi una dimensione semplicemente leggendaria. Dall’iniziale ‘Attiguo a casa sua stava un palazzo moresco…’, accompagnato dalle immagini del palazzo stesso deformate, specchiate in acque morbidi e ingannevoli, fino al conclusivo ‘Dormi, cambiano i fiori. Se non fossi un palazzo, mi crederebbero’, che arriva poco prima della fatale rivelazione che non potra’ mai essere santo: ‘ ti ci vorrebbe intorno una barbarie, fortuna che non ne capitano piu”, le dice Santa Margherita, e sale sull’altare tornando icona, sovrastante il corpo riverso a terra di Carmelo-cavaliere.
bene2.jpgIl vertice e’ raggiunto dall’indimenticabile ‘Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna…’, spasmodicamente potenziata da un delirio di specchi e maquillage. I cultori lasciano ai critici la ricerca dei significati complessivi e delle interpretazioni linguistiche-culturali-psicoanalitiche-ideologiche, non intendono sciorinare le litanie sul decadentismo e l’irrazionalismo, se hanno voglia di razionalizzare si vanno a leggere e rileggere Maurizio Grande, inutile sforzarsi, per loro il proclamato barocco di Bene non e’ una etichetta stilistica, e’ incubo felice, finzione da non infrangere. Ai reiterati tentativi del protagonista di farsi male, non si lasciano tentare dalle definizioni ovvie (‘e’ un masochista’) ma ridono alla grande alla grande battuta ‘non era la prima volta che si buttava dalla finestra’. Troppo facile parlare di desiderio di fuga (da se’ stesso) o di sdoppiamento della personalita’: meglio guardare le valigie che si aprono e si chiudono, vanno e vengono, o godrsi il grandioso monologo-duetto del vecchio frate laido e del giovane allievo in una fetida cucina, tra sughi disgustosi, uova sbattute, fornelli, botte e doppisensi, dove Bene si sdoppia miracolosamente e si palpa, si picchia, si guarda, si parla (‘Le puttane devi lasciarle stare!’. ‘Non e’ una puttana!’. ‘E ti basta una serva!’. ‘Basta e avanza’. ‘E se c’e’ il garzone del fornaio! E quand’anche costui durasse poco, c’e’ il fornaio in persona!’). Meno riuscito ed esilarante l’episodio, un po’ troppo ideologico, dell’editore che pretende certe lettere da pubblicare, ossessivo, appiccicoso (ballano insieme un valzer). Meglio quando Bene cede al narcisismo (e interpreta tutto: ‘la gente come noi non si coniuga, si declina’). Ben diverso il caso degli incontri con le due figure femminili, la serva prosperosa che non riesce a soddisfare il cavaliere armato di tutto punto, lei nuda e disponibile (e’ una delle sequenze piu’ memorabili) e soprattutto Santa Margherita. Compare da una magica nebbia mentre va a tutto volume ‘Musica proibita’ e ripete come un disco rotto ‘ti perdono, ti perdono’: ricompare a letto, fra le lenzuola, vestita di tutto punto, con tanto di aureola, mentre fuma e sfoglia ‘Annabella’; torna ossessiva con un altro ritonrllo mitico (‘ti cambio le bende’); e fa da spalla a Carmelo in un sensazionale sketch quasi rivistaiolo, dove lui, in una barca sul mare (la santa e’ ai remi), le spiega per filo e per segno il miracolo che deve compiere da li’ a poco per farlo bello di fronte ai vicini (agli spettatori). Per un attimo si pensa che sia una scena chiave: forse il cinema di Bene e’ proprio sempre questo, la messa in scena di un miracolo. Ma si ritorna subito a contemplare il palazzo moresco (destinato ad andarsene, ‘corroso dalle ambizioni occidentali’) o la cattedrale di Otranto, i teschi dei martiri, i mosaici, menter si riascolta la grande descrizione del sacco dei turchi. E a seguire le traiettorie imprevedibili e inquiete di Bene, che guarda sempre fuori, entro il limite dell’inquadratura destinatagli. ‘Un altare comincia dove finisce la misura’. Li’ comincia il culto, appunto”.