echaurren.jpgechaurrendelitto.jpgNon bisogna cascarci: il gioco di chi è chi rovinerebbe la lettura di questo splendido Delitto d’autore del genio surrealista contemporaneo di Pablo Echaurren. Con un colpo di reni, le Edizioni ShaKe propongono una stagione all’altezza delle sue mitologiche, regalandoci testi straordinari, da Net.art di Deseriis & Marano all’incredibile sociologia dell’iperspazio umano che Ishmael Reed tracciò con il suo leggendario romanzo pre-avantpop Mumbo Jumbo, passando per contributi multimediali importanti come il VHS Critical mass e per autentiche icone della blaxploitation come l’Iceberg Slim di Trick Baby. Figlio del grande Sebastian Matta, nato a Roma nel ’51, Pablo Echaurren ha pubblicato alcuni capolavori della grafica (Caffeina d’Europa, Nivola vola, Futurismo contro, Vita disegnata da Dino Campana, Vita di Pound, Dada con le Zecche) ed è entrato con potenza nel discorso politico e culturale italiano – in anni in cui facevano di tutto perché non ci fosse alcun discorso politico e culturale. Con Delitto d’autore, Echaurren rilancia proprio questo discorso – e non bisogna anestetizzarne l’esperienza con il trivial pursuit dell’arte contemporanea.

Il delitto d’autore è esattamente ciò che il titolo del romanzo di Echaurren enuncia: un omicidio nel mondo dell’arte contemporanea, quello di cui resta vittima (una vittima devastata con fisiologico scempio) il celeberrimo critico Cesare Marullo, e sul quale indaga una specie di Dirk Gently à la Adams, l’investigatrice lesbocolta Vanessa Tullera, uno dei personaggi più graffianti della letteratura di genere italiana di questi anni (davvero nulla a che vedere con altre lesbiche noir, come quella della Scoppettone). Il caleidoscopio subumano in cui va a fissare il suo straniato sguardo la commissaria Tullera è una sorta di hellzapoppin subumano, un dissoluto antinferno che fa del grottesco la sua forza e che istituisce una sorta di renovatio della potenza fenomenologica della scrittura nera: artisti debosciati in crisi da outing, eccessi performanti decessi, falsari del falso che non testimoniano nessuna verità, pirla che frequentano gallerie e galleristi che frequentano pirla, galleristi pirla, vedove smaniose. Un teatro della decadenza senza alcun moralismo: Echaurren non cade nella trappola della valutazione, ma esercita uno sguardo panottico sulla fisiologia del nostro tempo, al di là dei parametri ideologici che, a fronte di una inesistente età dell’oro, accusano il nostro presente (ma qui sono in ballo trent’anni di storia dell’arte e di società italiana) di decadenza.
Non è quindi con una specola illuminista, o peggio ancora reazionaria, che Echaurren entra nelle pieghe di un sistema che ormai non irradia profondità, bensì produce fiction artistica al ritmo stesso con cui emette fiction politica. Lo snodo che Echaurren affronta è di impressionante attualità e non si tratta certo di un’attualità localistica, circoscritta al sordido ambiente delle pseudoraffinatezze terrazzare romane o al “mercato” italiano – esattamente come La dolce vita di Fellini non si racchiude nell’icona della bellona svedese dentro fontana di Trevi. Piuttosto, Echaurren spartisce con Fellini un’ambizione di scansione del mondo attraverso immagini plurisignificanti: giro di parole barocco per dire che il mercato dell’arte messo sul palcoscenico da Echaurren è un’allegoria del mercato umano che erompe con deflagrante e dannosa esplosione sulla faccia dell’occidente da un bel po’ d’anni.
Siccome il genere singolo nero sta mostrando i suoi limiti, libri come Delitto d’autore costituiscono una boccata di ossigeno per chi dall’arte, e dalla letteratura in particolare, si attende una svolta che è già maturata e non è stata portata a compimento. Questo romanzo di Echaurren è, definitivamente, la realizzazione di un incontro che si deve compiere da molto tempo, tra vibrazione di fondo di Antonioni e la visionarietà barocca di Jodorowski: un bestiario secentesco che ci introduce a uno sguardo attivo e politico sul mondo.

Pablo Echaurren – Delitto d’autore – Shake – 13.00 euro