Gli amanti del thriller d’autore lo adorarono: Il fine ultimo della creazione, violentissimo e atrabiliare romanzo di Tim Willocks, poteva lanciare uno scrittore di sicuro successo – e invece abortì un disperso. La critica internazionale elevò Willocks sui gradini più alti del parnaso di genere, Mondadori lanciò il libro con un impegno di marketing notevolissimo – e faceva bene: un ragazzo inquietante, ex psichiatra, morbosamente pallido coi capelli rosso fiamma che sembrava uscito da un romanzo di Anne Rice, una scrittura veloce e la capacità di inoculare suspence direttamente nelle vene del lettore: pareva un investimento sicuro. Invece Willocks sparì. La sua odissea redentrice, un capolavoro di satanismo condotto ai ritmi di una scrittura folgorante, è a oggi l’ultimo libro di Willocks. Era il ’95. Che ha fatto Willocks nel frattempo? Tornerà ad allietare i suoi molti fan con quel mix di efferatezza e stile che ha segnato i molti amanti del thriller più iniziatico degli ultimi anni? Lo rivela in un’intervista…
Ti sei laureato in psichiatria e hai anche esercitato. In qualche modo la professione psichiatrica ha condizionato la tua scrittura?
Moltissimo. L’innesto della scrittura nell’autosservazione psichica mi ha anche permesso di constatare alcuni aspetti virulenti della mia personalità, estremamente antisociali. La psichiatria è una modalità sicura per esplorare i propri impulsi più oscuri, ma lo stesso si può dire della letteratura. Vedendo un film o leggendo un thriller, si entra in contatto con aspetti distruttivi senza divenire distruttivi. Penso sia questa la ragione per cui molti sono attratti dai generi neri della narrativa.
Per quanto hai esercitato la professione di psichiatra?
Per cinque anni.
A cosa avvicineresti la figura dello psicoterapeuta? Un prete? Un poliziotto? Entrambi?
Questa è una domanda ben posta. Direi a entrambi. E’ una sorta di figura confessionale, si avverte sicurezza nell’esprimersi con lo psicoterapeuta e non si ha paura di enunciare verità anche terribili. Allo stesso tempo, però, il terapeuta gode di una posizione di potere e autorità, può firmare la prescrizione di farmaci. In questo senso la psicoterapia è diventata un sostituto della religione. La religione, per esempio in Inghilterra, non offre più uno spazio di autoesame e di autosservazione credibile. La gente ne ha comunque necessità. C’è un’antica espressione, “l’oscura notte dell’anima”, che indica il momento in cui le persone sono tormentate e cercano di esaminare la propria coscienza, quando sono in preda ai demoni. Attualmente questa crisi viene sperimentata come quella di tipo religioso nei secoli scorsi.
Chi o cosa ha esercitato un’influenza sulla tua vocazione alla scrittura?
Soprattutto gli autori che ho letto da giovane. Prediligevo scrittori differentissimi tra loro, non mi interessava se si trattava di grandi autori o minori. Leggevo molto i francesi, come Camus o Sartre, e anche americani, da Raymond Chandler a Mickey Spillane, Thomas Pynchon, William Faulkner. Più di recente, Cormack McCarthy, James Crumley, James Ellroy.
Pensi che lo scrittore abbia un ruolo sociale?
Sì. Ognuno al mondo ha un ruolo. Da lettore, devo ammettere che i libri mi hanno insegnato molto sulla vita. La mia comprensione del mondo è stata parecchio influenzata dalla lettura dei romanzi, che ritengo costituiscano un’eccezionale esplorazione della vita. Ritengo che i libri non cambino la legge, ma l’influenza più decisiva è quella sulla moralità e le motivazioni e il modo in cui queste cambiano nella storia della letteratura. La letteratura dà voce alle idee, essendo un riflesso del modo di vivere il mondo.
I tuoi gusti musicali, per terminare questo ritratto?
Tom Waits (di cui sono grandissimo fan), musica classica, blues, Radiohead, Moby, Aphex Twin. Sopra tutti, Nick Cave.
Tornerai a scrivere libri?
Non lo so. Per il momento faccio lo sceneggiatore di produzioni hollywoodiane e lavoro anche per film a bassissimo budget. Mi soddisfa.