Dipende tutto da come si ascolta un blues. Ci sono quelli che sembrano già conoscerne lo sviluppo, si gustano il piacere della conferma che la trama musicale svolta proprio lì, tra poco sale all’apice, adesso si abbassa. Ci sono altri che, invece, si perdono, incantati dagli slarghi, dalle osmosi, una specie di percezione estesa, atmosferica. Chi si riconosce nella seconda tipologia deve assolutamente comprare e leggere il massimo rappresentante europeo del blues letterario. E’ ovviamente uno scrittore noir, poiché questo è l’unico genere letterario in grado di abbattere le barriere della narrativa e di concedere esperienze di fantastica sinestesia. Il bluesman del romanzo nero è inaspettatamente francese e si chiama Hugues Pagan. Esce in questi giorni da meridianozero il polar La notte che ho lasciato Alex, sintesi e dissoluzione di una straordinaria trilogia. Nerissimo, teso, poetico, disperato e ossessivo: un riff di allucinata e intensa umanità.
Soltanto qualche accenno di trama, del tutto occasionale, prima di parlare della letteratura nera e struggente di Pagan. Il caso: un senatore suicida in un hotel a quattro stelle. Quello dell’uomo politico è un cadavere che scotta: le sue inchieste parlamentari gli hanno consentito di svelare connessioni importanti e scandalose, le cui strutture segrete sono state salvate, prima della morte, su un dischetto che ora tutti cercano. La storia si complica per l’intrusione di una variabile prevista ma impazzita: l’investigatore Chess, incarnazione di una pervicacia nichilista che gli amanti del noir hanno imparato a conoscere e apprezzare quale fondo emotivo dell’antieroe. L’irruzione della bellissima Alex complica e sviluppa una trama che è destinata, come sempre nelle migliori narrazioni, a una catastrofe da cui non è chiaro quale redenzione emergerà per ristabilire l’ordine, poiché l’ordine non esiste e nessuno può essere redento.
Dopo i precedenti Tarif de groupe e L’Etage des morts, Hugues Pagan chiude questa importante trinità del nuovo polar francese con un controcanto lirico e struggente, il cui titolo originale, Dernière station avant l’autoroute, si attaglia forse meglio rispetto alla trama ma non rende a pieno quell’atmosfera che i traduttori di meridianozero, Jean-Pierre Baldacci e Luca Conti, hanno esaltato col titolo italiano: quella sorta di deriva umana da Ascensore per il patibolo, quell’assoluta irrimediabilità causata dall’impossibilità di emendare il male dal mondo e, soprattutto, da se stessi. L’odissea di Chess, iniziazione quasi metafisica alla sopportazione di se stessi, si realizza ai ritmi potenti e nostalgici, dolorosi e conturbanti, che soltanto certa musica blues e certo noir sono in grado di irradiare. E del resto soltanto un grande scrittore può permettersi di convertire il sentimento saturnino del blues in aggressione linguistica compulsiva, come dimostra questo passo straordinario: “Mi sveglio. Il mio orologio segna le quattro. E’ stato il vento, alzandosi, a svegliarmi. Ho la spalla anchilosata. Ascolto il sibilo del vento. Una tamerice scricchiola nella notte, sempre la stessa, dall’altra parte del recinto. Un cavo della pressa schiocca e cigola, come una drizza nell’alberatura di un veliero in alluminio. Sono le quattro. Sono sveglio. Non dormirò più”.
Ex sessantottino, ex professore di filosofia, ex poliziotto, attuale creatore di una serie tv di gran successo in Francia, Hugues Pagan è davvero, come ha scritto Valerio Evangelisti, “uno dei migliori scrittori francesi di noir viventi, se non il migliore in assoluto”. E’ il cantore di umanità dolente e disinteressata a tutto, perfino al niente. E’ una voce che vibra nella notte scura della scrittura noir europea. Va letto.
Hugues Pagan – La notte che ho lasciato Alex – meridianozero – 14.50 euro