di Luca Masali
In una grigia mattina invernale, “un mattino davvero rigido che invitava a rimanersene a letto con la borsa dell’acqua calda e un buon libro giallo”, chi non vorrebbe ricevere la visita di un fattorino della Tnt con in mano un biglietto per l’estate cubana? Affare fatto, naturalmente. Se poi per pagare il viaggio bisognerà indagare sullo strampalato caso di un suonatore di bolero che si è ritrovato chissà come un milione di dollari nella valigia, beh, è un dettaglio.
E difatti nel libro di Roberto Ampuero pubblicato in Italia da GarzantiBolero all’Avana, l’indagine dello sgarrupato detective privato Cayetano Brulé, senza soldi e rincorso dai creditori peggio di Paperino, è un dettaglio. Ovvio che i soldi sono della mafia, ovvio anche che il nostro suonatore di bolero nonostante un fisico da rottamazione (un ometto allampanato sulla cinquantina, di carnagione scura, con i lineamenti affilati ) che dovrebbe consigliare prudenza quando con una così misera panoplia si scatenano tempeste ormonali nel corpo della spogliarellista più ammirata dell’isola di Fidel troverà il modo di mettersi nei guai con un’affascinante dark lady, ovvio infine che i cattivi saranno sì mafiosi navigati ma anche abbastanza cretini da lasciarsi dietro una montagna di indizi, a cominciare dai numeri della carta di credito.
Il tutto è condito con molto mestiere da Ampuero, non a caso frequentatore costante dei vertici delle classifiche dei libri più venduti a casa sua, in Cile. Ma non è per l’indagine che vale la pena di comprare il libro. Quello che appare più intrigante è il mosaico umano che fa da sfondo al dipanarsi della vicenda. Con l’animo dell’antropologo, Ampuero disseziona e cataloga le differenze tra i sudamericani dei Caraibi e quelli del “Cono Sud”, che per quanto uniti da una lingua comune paiono avere ben poco da spartire tra loro. Ecco dunque che il nostro investigatore Cayetano Brulé, cileno fino al midollo, rischia quasi di annegare nella sensuale fauna umana di Cuba, ritrovandosi straniero in terra straniera manco fosse venuto da Marte. Il tema del cileno a Cuba è una costante nella narrativa di Ampuero, anche perché lui stesso è stato uno dei tanti cileni ad approdare nell’isola caraibica alla ricerca di libertà dopo il golpe di Pinochet. Una esperienza descritta in Nuestros años verde olivo, romanzo robustamente autobiografico inedito in Italia (ma dalla solita Amazon si può reperire l’edizione in spagnolo, editore Planeta, Santiago del Cile).
E qui comincia la parte migliore del libro, ma anche quella dove sulle prime il lettore di sinistra, che magari di Cuba ha una immagine tutto sommato positiva anche se magari un po’ scalfita dalle recenti sentenze capitali, può provare un certo fastidio. Ma poi è proprio da certi stereotipi un po’ forzati (uno per tutti, Castro che come un cavallo pazzo salta da una riunione ministeriale all’altra, sempre con i documenti dell’appuntamento sbagliato sottobraccio) emerge un sottile sospetto: non è che da buon cileno, autodefinitosi “tedesco del sudamerica”, il buon Ampuero nei suoi “anni verde oliva” mi è rimasto un po’ traumatizzato dalla creativa arte del tirare a campare dei caribici, probabilmente molto simile a quella che dovevano avere quando al timone dell’isola c’era l’esecrando Batista?
A vedere le pagine del libro popolarsi di improbabili “balseros” (quelli che col legno preferito dagli aeromodellisti si fanno zattere per scappare da Castro dritti tra le braccia di Bush), di camerieri ignoranti come capre che non sanno che Pinochet ha mollato il colpo e si lanciano in arditi paralleli tra il Lider Maximo e il Maximo Estronzo, poeti perseguitati dal regime al punto che non pubblicano più una riga (e capirai che perdita, visto che evidentemente tali versi immortali non hanno trovato asilo neanche all’estero) il sospetto diventa una quasi certezza. E allora il libro lo si gode veramente, perché appare chiaro che tutto il corale vociare dei suonatori di strada, delle ballerine sexy, dei potenti locali, dei sigari da urlo bagnati di rum come se piovesse ci viene presentato attraverso il punto di vista di Ampuero stesso, mente troppo teutonica per poter apprezzare il chiasso di strada, e così stizzito si mette a sgridare quei cubani che si vede da un chilometro che gli sono entrati nel cuore. Un po’ come gli amanti delusi che si rinfacciano tutto e il contrario di tutto, Ampuero mentre da un lato tiene saldamente in mano il timone della narrazione, dall’altro si lancia in irresistibili ramanzine contro gli abitanti dell’isola e i suoi politicanti, che dal canto loro se ne infischiano e continuano a fare le cicale al caldo sole del tropico del Cancro. Il risultato è che a vincere è lo spiritaccio anarchico dei cubani, che non solo resiste ai rimbrotti dello scrittore cileno, ma lo costringe a tornare ancora e ancora sulla stessa domanda angosciante: “perché siamo così diversi?” che gratta gratta, dopo aver scritto tanti libri dedicati ai cileni a Cuba, si trasforma nella domanda più difficile di tutte: “lo so che fai schifo, ma allora perché ti amo tanto?”.
Roberto Ampuero – Bolero all’Avana – Garzanti – 13.50 euro