E’ tornato in libreria e, contravvenendo alla celebre prima riga, ne parliamo: il Fight Club ha riaperto. Il capolavoro di Chuck Palahniuk, che anche grazie al film di David Fincher ha segnato una generazione, riapre i suoi battenti e torna ad accogliere lettori adrenalinici e sadomasichisti. Ora Fight Club non è più in versione Edimar (la piccola casa editrice che l’aveva pubblicato anni orsono), bensì Mondadori Strade Blu, che ha per l’occasione spostato in coda al libro il pezzo di Fernanda Pivano, che sciaguratamente rivelava il colpevole alla terza riga. Per celebrare degnamente Palahniuk, di recente sbarcato in Italia per presentare Soffocare, ne riprendiamo una storica intervista: si parla di Fight Club e di Invisible Monsters, il suo terzo e più delirante romanzo.
In Fight Club si affrontavano maschi in stile macho. In Invisible Monsters è una sorta di drag queen, un transgender a fare ruotare la storia attorno a sé. Perché questo mutamento radicale di personaggi?
Volevo entrare in un corpo a corpo letterario con la sessualità, dopo avere affrontato la violenza in Fight Club e Survivor. In questo romanzo, ogni personaggio entra in un processo di mutazione sessuale. La transgender è pronta all’intervento chirurgico. Il personaggio principale è una donna bellissima ferita e mutilata orrendamente in un incidente. La sua figura, nel corso del romanzo, tende al gelo, alla durezza, all’assenza di emozioni. Complotta contro il suo ex uomo, infarcendogli i cibi di estrogeni e droghe varie. Così lui, a sua volta, nel corso del romanzo diviene sempre più femminile ed emotivo. Arriva anche a sviluppare il seno.
Il che capitava anche al ciccione del gruppo di autoaiuto per malati di seminoma in Fight Club…
Sì, per me la trasformazione fisica, che si sviluppa e si sottrae al controllo insieme a quella psichica, è un tema centrale. Il corpo che si gonfia, si disfa, si supera e si annulla è uno dei punti fondamentali dei miei romanzi: un’ossessione autentica.
E infatti alcune scene di Invisible Monster sembrano estratti di avvertenze farmaceutiche. Le protagoniste, sin dall’inizio, ingollano droghe e ormoni a volontà. C’è un prodotto assurdo che colpisce: il Premarin. Come ti è venuto in mente? Di cosa si tratta?
Esiste davvero, anzitutto. Non è un prodotto di fantasia. E’ un farmaco particolarmente controverso, ricavato dall’urina dei cavalli. Sandra Bernhard ha organizzato una campagna di contestazione, per denunciare gli effetti collaterali del Premarin e per evitare che sia assunto dalla gente. C’è una sua fotografia con un paio di baffi biondi, un take-off da una campagna pubblicitaria.
Dimostri una curiosa competenza in fatto di farmaci estrogeni…
Mi hanno dato una mano parecchi transgender, indicandomi nomi dosi e modalità di assunzioni dei farmaci per la transizione. Molti transgender li assumono per vie illegali e se li autoprescrivono alla cieca. C’è una vera e propria sottocultura che è in grado di indicare precisamente i modi del fai-da-te con questo genere di farmaci e che descrive ogni effetto collaterale, o quali e quanti farmaci possono essere incrociati senza controindicazioni. Portland, dove vivo, ospita uno dei più attrezzati reparti per la transizione sessuale per via farmacologica e chirurgica di tutto lo Stato. Portland è un magnete per coloro che vogliono cambiare sesso.
Affiancare una ex modella deturpata e una drag queen sembra suggerire che la nozione di bellezza femminile è un puro costrutto.
Le drag queen hanno un fascino prettamente blasé. Bret Easton Ellis ha detto tutto in Glamorama: le drag queen sono i nuovi mostri. Nessuno le vuole in giro a piede libero. Però, alla fine di Invisible Monsters, la trama prende una direzione strana, e si comprende l’essenza della situazione profonda in cui versa una drag queen: Brandy Alexander è davvero tutto tranne quello a cui si poteva pensare. In ogni caso non è soltanto questo il fuoco del romanzo. Qui si parla della natura del Potere. Per le donne, la bellezza è l’accesso privilegiato al Potere. Mentre scrivevo Invisible Monsters, alla lavanderia automatica in cui andavo trovavo copie di magazine in carta patinata, roba tipo Vogue o Mademoiselle. Il linguaggio era estremamente elaborato, e ne sono rimasto affascinato. Poi ho iniziato a notare come, in effetti, il 99% delle donne al mondo sia invisibile, a stere agli standard di quelle riviste: non c’entra nulla con quelle icone che affollano servizi e pubblicità. Raggiunta una certa età e superato un dato peso, le donne spariscono: letteralmente. Diventano invisibili per questa cultura e, perciò, rimangono senza un briciolo di potere da esercitare – a meno che non si trovino una forma differente di potere.
Nel romanzo, tutte le volte che si introduce un cambiamento, il narratore dice: “Vai a quando”. Una formula sconcertante, che mima proprio il gesto che si compie quando si salta da una pubblicità all’altra in una rivista o quando si fa zapping. Così facendo, scuoti la prosa. La rendi frenetica.
E’ proprio ciò che ricercavo: una struttura narrativa che si avvicinasse a quella con cui si legge una rivista di moda. Tutto il linguaggio, in questo caso, è una sorta di parodia del linguaggio della moda: uso diciassette aggettivi per un solo sostantivo come “maglione”. In questo genere di pubblicazioni, le storie saltano sempre, e freneticamente, da un punto a un altro. Leggi pochi paragrafi e subito ti trovi la formula: “Vai alla pagina tale”. Il mio “Vai a” è un’esplicita allusione a questo tipo di struttura paraletteraria.
Ancora su Fight Club: che ne pensi del film?
Straordinario, secondo me. Lo dico con la massima sincerità: David (Fincher, ndr) ha fatto un lavoro incredibile, il risultato secondo me è molto più incisivo e valido del mio libro. Lavorerò ancora con la squadra di Fight Club: Edward Norton ha compratoi diritti di Survivor, lo produrrà e lo interpreterà, sempre per la regia di David.