Ok, non ce ne frega niente se ormai hanno quarant’anni suonati, gli perdoniamo anche quell’aria da rockstar che c’è l’hanno fatta. Se lo possono permettere, perché quella musica, quelle accelerazioni improvvise, quei cambi di tempo da orologio impazzito, quelle ritmiche serrate e compresse le hanno inventate loro. Un po’ di storia per i più giovani: nel 1983 quattro ragazzi di San Francisco con addosso più brufoli che anni spazzano via tutte le menate da metallo tamarro con un disco che oltrepassa violentemente l’idea stessa di metal: niente sfumature progressive, niente impennate epiche, solo velocità e potenza, in un wall of sound che macina i riff del metal inglese (Diamond Head su tutti) e la furia nichilista dell’hardcore dei primi anni ’80 (Discharge in primis). Il risultato? Kill’em all, un disco (che doveva intitolarsi Metal up your ass, capito il senso?) che nella genealogia della musica estrema coincide con la creazione di quella particolare curvatura che va sotto il nome di Thrash Metal. Oltre a loro, ovviamente, c’erano compagni di strada importanti (dalla Bay Area venivano anche gli Exodus, da NY gli Anthrax, da LA gli Slayer). Ma il primo masterpiece assoluto del genere l’hanno sputato fuori quei quattro: James Hetfield, Lars Ulrich, Cliff Burton e Kirk Hammett.
Poi è venuto il resto: molti altri hanno suonato più cattivo, più estremo, più tecnico. Decine di gruppi hanno perfezionato la lezione, reso il magma più incandescente e le geometrie più taglienti. Ma sullo sfondo sempre loro, con il capolavoro assoluto Master of Puppets, con i milioni di copie del contestato Black Album, con le suite infinite di And Justice for All. Con la perdita prematura del bassista Cliff Burton. Con il recupero del blues sporco e profondo (e un po’ troppo lento) di Load. Ok, avranno pure scassato i maroni con Napster, e passeranno un po’ troppo sulla heavy rotation di MTV. Ma non badate a chi vi dice il contrario: i Metallica spaccano il culo, sempre e comunque. Non valgono altre parole. Ascoltate ST. Anger per credere. Per chi li segue da un po’ di tempo: 75 minuti dalle parti di Damage Inc., con Lars Ulrich che si ricorda di essere stato il primo a suonare più veloce di tutti. Un cd più vicino all’assalto dei primissimi dischi che alle ballate del Black album, con alcuni giri gravi e ossessivi che riattingono, accelerando, alla pesantezza malsana di pezzi come The Thing that Should not be (da Master of Puppets). Per chi conosce solo le ultime leve: immaginate i System of a Down incazzati come solo si può essere dopo vent’anni di musica.
St. anger arriva dopo otto anni in cui i Metallica non hanno inciso niente di nuovo in studio (Re-load, infatti, veniva dalle stesse sessions di Load). E mai ritorno fu più degno di un passato straordinario. Undici pezzi compatti e rabbiosi. Undici schegge (prodotte da Bob Rock, che suona anche il basso al posto del fuoriuscito Jason Newsted) con chitarre che grattano la pelle e rinunciano completamente agli assoli, come nell’hardcore vecchio stampo. Le danze iniziano con l’incedere classico dell’opening Frantic e della title track, con cambi di tempo e accelerazioni da infarto su una ritmica dalla pesantezza tribale. Invisibile kid, strepitoso mid-tempo ipnotico che ibrida Seek & Destroy e Enter Sandman in un delirio di 8 minuti e mezzo. Qualche break melodico infilato nel marasma sonoro per far spiccare meglio la furia (ancora St. Anger, Dirty Window), una stoccata di speed rock sporco e arrochito con venature seventies (Sweet amber). Un assaggio di quello che potrebbe il nu metal se solo avessero voglia di suonarlo loro (Shoot me again). E poi ricordi sepolcrali di Nick Cave e Black Sabbath, fusi in cadenze blues contratte e lacerate (The unnamed feeling). In chiusura, il riff pesantissimo di All within my head indica l’uscita. Pronti per un altro giro.
A rendere il ritorno ancora più ghiotto ricordiamo che, forse per farsi perdonare l’affaire Napster, col Cd troviamo anche, senza variazioni di prezzo e in edizione limitata, un DVD diretto da Wayne Isham in cui vediamo i Metallica, con il nuovo bassista Robert Trujillo (ex Suicidal Tendencies) rifare dal vivo l’intero disco. Comunque si voglia vedere la faccenda, anche come fenomeno di marketing i quattro rimangono una delle poche schegge avant-pop che attraversano la cultura mainstream americana. Una mia curiosità: se le canzoni di Kill’em all avevano sfatto da fondo sonoro alle carneficine plumbee di Metallo Urlante, cosa potrebbe estrarre Valerio Evangelisti da queste tracce furiose?