di Giuseppe Genna

severino cesariL’intervento di Severino Cesari apparso sul Magazine Littéraire del marzo 2002 è una delle più complete fenomenologie letterarie della contemporaneità italiana. E’ sorprendente e bello tornare a leggere parole che tentano – sforzo abissale, immenso – di fermare in un’immagine il proprio presente: un’immagine che di necessità dev’essere in movimento, sfocata, per sua stessa essenza ingloriosamente transeunte. Quando Andrea Zanzotto scriveva che parliamo in una lingua che passa, probabilmente, intendeva proprio questo: non si ferma il tempo e nemmeno il sé in un’immagine. Detto ciò, vorrei riflettere proprio su questa panoramica editoriale che Cesari delinea nel suo intervento: la sua analisi ci dice che cos’è la letteratura italiana contemporanea oggi, dopo la sbronza cannibalica, quella specie di party privato in cui gli antropofagi si sono antropofagizzati (o sono stati divorati da altri).

Prima importante evenienza dal pezzo di Cesari: la critica non esiste più. Intendo la critica ufficiale, accademica, istituzionale. Non che essa non esista oggettivamente più: continua a svolgere il suo importante lavoro di storicizzazione del pregresso. Direi che non esiste più nell’incisività di proposta a partire dal presente. Ammesso e concesso che ciò che dice Severino Cesari è il migliore tra i ritratti possibili di un presente che è appena stato, e detto che Severino Cesari è un intellettuale e un editore ma non pretende di fare un discorso critico, resta che l’intercettatore del presente non è più un critico accademico, bensì un esperto letterario che non pretende di almanaccare in una sua tradizione nessuna opera: si limita a proporre. E’ la funzione critica a essere quindi cambiata, attraverso un allargamento della forbice dissociativa tra istituzione e operatore della cultura. Detto rozzamente: nessuno paragonerà mai l’intervento di Cesari a certe incursioni di Fortini, non tanto per la potenza interpretativa, quanto perché non è lo specifico destino di una simile analisi che, pur non essendo critica, più della critica vede il proprio tempo.
gioventucannibale.jpgE ora? Cosa accade dopo i Cannibali? E poi: è vero che i Cannibali sono un’area della tradizione narrativa italiana? Qui la posizione di Cesari è più ambigua. Il fatto che, come sottolinea il curatore einaudiano, chiunque sappia di cosa si sta parlando quando si rievoca la stagione dei Cannibali, non garantisce affatto che si abbia a che fare con la letteratura. Certo, da quella mostruosità antologica sono stati eiettati alcuni degli astri più brillanti della nostra galassia narrativa (non poetica: questo è un fatto e, come vedremo, riveste una certa importanza). Però è anche vero che l’80% dei nomi aggregati sotto quell’etichetta carnivora non hanno lasciato, non lasciano e non lasceranno il segno. L’elemento differenziale, rispetto al ground zero da cui è emersa la schiera cannibale, è che è stata risvegliata un’attenzione mediatica, di cui lo scrittore da tempo non godeva e che non sempre è conseguente al farsi della letteratura. L’enfasi sul gioco dei linguaggi e dei generi che l’operazione Gioventù Cannibale comportava per sua natura è, da questo punto di vista, assai significativo: si è trattato di un’ulteriore esplosione sociale (la società che i media hanno rivoluzionato) del fenomeno delle avanguardie storiche (che, da Balestrini a Barilli a Sanguineti, peraltro, hanno fornito non solo i padri nobili ma gli autentici padrini di quell’operazione). Non sono invece certo che i Cannibali abbiano contribuito a una piena legittimazione letteraria dei generi che furono considerati minori, dei quali, qui in Italia, gli autentici sdoganatori sono stati Valerio Evangelisti, i Wu Ming e Tommaso Pincio, non certo i componenti della vasta e pluriforme schiera cannibale. Sottolineo, tra l’altro, il disagio di Cesari rispetto al titolo originale dell’antologia curata da Brolli, Spaghetti Splatter – un disagio che la dice lunga sul fastidio che i fan dei Cannibali avvertivano nel rinchiudersi all’interno di un genere. L’avanguardia, di solito, usa i generi e li spezza: è snob, non crede fino in fondo ai generi, operando all’interno di questi si sente soffocare.
Quindi: cosa viene dopo i Cannibali? Un entusiasmo dentro e intorno alla letteratura: questo è certo, e bene fa Cesari a rivendicarlo. Non si può dire, però, che chi prosegue oltre i detriti di quell’entusiasmo sia omogeneo all’ideologia letteraria del fenomeno cannibale. Se ho citato Evangelisti, Pincio e Wu Ming come impositori di un’autentica rivoluzione copernicana dei generi letterari in Italia, è perché appare molto chiaro che non è la centralità del gioco linguistico a costituire il nucleo caldo della loro poetica: tutt’altro. Questi scrittori sono protagonisti di una più sotterranea e decisiva rivoluzione: la lingua non è più centrale. Quale lingua? Questa: la lingua altostilistica, formalistica, platonicheggiante. La lingua di Evangelisti, Pincio e Wu Ming è indistinguibile da un movimento e da una struttura di senso, da non cogliersi attraverso gli spostamenti stilistici. La loro retorica è differente da quella, più “epidermica”, dei Cannibali. I blocchi che spostano, deflettono, fanno cozzare o coniugano sono quasi sempre di carattere allegorico. Persino nella rarefatta nullificazione della scrittura di Pincio si avverte lo sprofondamento nell’allegorico. E’ una lingua ben più sostanziale e strutturata e reale di quella di chi visse e inventò la stagione degli antropofagi letterari.
I tre autori citati sono editi da Stile Libero Einaudi, la collana di cui Severino Cesari è condirettore. Il che significa che, al di là della supposta imposizione di “marchi”, Severino Cesari e Paolo Repetti si sono aggiudicati l’asilo di un movimento, o di una mobilitazione, della narrativa contemporanea italiana. Poiché Stile Libero non edita quasi mai poesia, la grande assente di questa scena sembra essere proprio la forma di letteratura in cui l’Italia è attualmente all’avanguardia (avanguardia seria e sostanziale) nel mondo. I libri di poesia che stanno per essere pubblicati nel 2004 confortano che si tratta di un errore di prospettiva: come la narrativa, anche la poesia contemporanea o è allegorica o non è. Questo è, concretamente, ciò che viene dopo i Cannibali: ciò che c’era già prima.