di Riccardo Valla
Alto funzionario del ministero del Commercio e studioso delle antiche lingue nordiche, l’inglese Eric Rücker Eddison (Adel, Yorks, 24 novembre 1882 – Londra 18 agosto 1945). si dedicò per tutta la vita a ricerche sulle saghe islandesi, raggiungendo in questo campo una certa notorietà quando tradusse la saga – attribuita a Snorri – del poeta-guerriero Egill e i versi del poeta stesso (secolo X): Egil’s Saga (1930; il sottotitolo dice: “resa in inglese dall’islandese con itroduzione, note e un saggio su alcuni princìpi del tradurre”). Qualche anno prima, E. aveva già pubblicato un romanzo storico su un capo vichingo, Styrbion the Strong (1926; trad. it. parziale Nel Valhalla, in “Il grande libro della fantasy classica” a cura di A. Voglino, Milano 1998). Tuttavia, E. è soprattutto noto per il romanzo fantastico The Worm Ouroboros (1922; Il serpente Ouroboros, Fanucci, Roma, 2000), considerato un precursore del Signore degli Anelli di Tolkien (E. era amico di C. S. Lewis ed era in contatto con Tolkien per i suoi studi filologici).
Il romanzo si svolge su Mercurio e, dopo un capitolo iniziale in cui un uomo del nostro tempo viene portato laggiù in sogno, narra la lotta tra il regno di Witchland e quello di Demonland. Sul primo domina il re-negromante Gorice XII, aiutato dal machiavellico Lord Gro; il secondo è retto dal guerriero Lord Juss e dai suoi fratelli, e mentre per tutta la vicenda Gorice rimane chiuso nel suo castello a macchinare incantesimi (finché non morirà nel corso dell’ultimo, che farà crollare il castello), Juss e i suoi compagni dovranno spingersi nei luoghi più inospitali del pianeta per trovare armi contro il nemico. Il romanzo si ispira alle antiche saghe e all’epica cavalleresca (il viaggio di Juss sull’ippogrifo per ritrovare il fratello rapito da una delle creature infernali evocate da Gorice ricorda il viaggio di Astolfo alla ricerca del senno di Orlando), ma anche ai romanzi di William Morris, e alcuni suoi aspetti fanno sospettare influssi provenienti dalle Mille e una notte e dal Vathek di Beckford.
Al di là della narrazione, che non appena accettato il gioco di E. risulta perfettamente plausibile, e della capacità di creare personaggi convincenti anche entro i limiti imposti dal genere fantastico, il romanzo si segnala per il linguaggio in cui è scritto e che prende a prestito alcuni artifici della poesia (il ricorso a termini e forme antiche e fuori dell’uso) per ottenere una prosa dotata di un suo specifico ritmo.
La critica ha in genere accusato E. di avere lasciato nel romanzo alcuni difetti “dilettanteschi”, ad es. la parte introduttiva in cui sente il bisogno di presentare la vicenda come un sogno dopo avere premesso che il romanzo “non è un’allegoria né una favola ma una Storia da leggere per se stessa”, di avere scelto una collocazione assurda come Mercurio e nomi improbabili come “demoni”, “streghe”, “folletti” ecc. per i suoi abitanti. In realtà il romanzo nasconde un sistema di riferimenti eruditi che lo rendono leggibile a più livelli: il primo livello è quello della storia in sé, il secondo è il livello dei riferimenti letterari che E. inserisce nella storia, e vi sono altri livelli come quello simbolico e quello linguistico, legato alle fonti da cui E. ricava i termini desueti. Entro questo gioco erudito dell’autore, probabilmente la scelta di Mercurio è legata al carattere “mercuriale” della vicenda (che dipende dalle scaltrezze di Lord Gro, anch’egli uomo di “multiforme ingegno”).
E. riprese la vena di The Worm Ouroboros in altri tre romanzi legati tra loro e ambientati in Zimiamvia, altro continente dello stesso mondo: Mistress of Mistresses: A Vision of Zimiamvia (1935; Zimiamvia, Roma 1993), A Fish Dinner in Memison (1941; Zimiamvia II: Intrighi a Memison, Roma 1994) e The Mezentian Gate (1958; Zimiamvia III. Epilogo, Roma 1995), pubblicato postumo.