di Daniela Bandini
“…Il mio clone è un cadavere duro e compatto, percorso da un respiro molle e stentato che esce da una macchina e in una macchina rientra. La mia reazione non saprei definirla altrimenti se non “inaspettata”: credevo mi avrebbe fatto impressione guardare la faccia del clone – invece mi fanno impressione le mani… Temevo che per un singolare, fantascientifico fenomeno, sentendomi così vicino a lui, il clone avrebbe spalancato occhi e bocca chiamandomi per nome — dico la verità per un attimo l’ho persino desiderato… Mi separo da lui a malincuore, pensando che quell’essere che vegeta nella sua bara di cristallo, come una Biancaneve senza speranza; è il fratello che ho sempre desiderato e che mia madre non mi ha mai voluto dare…”
Federica Vicino, giornalista, sceneggiatrice e regista è nata a Pescara nel 1968 e ha già pubblicato diverse opere. In questo bellissimo romanzo pubblicato da Edizioni Clandestine (pp. 182, € 10,50), l’autrice rivela una capacità insolita di relazionarsi con il futuribile, come l’incontro con il proprio clone.
Lo scenario è quello di una società dove solamente i cittadini più abbienti riescono ad assicurarsi degli organi di ricambio, appunto con i cloni. “….Ma lo sai cosa vuol dire al giorno d’oggi non avere un clone? I mie organi interni cominciano già a non funzionare più, e io ho solo vent’anni!” Scenari, se vogliamo, non così surreali. A tratti sembra raccontare, con sorprendente capacità evocatica, certe favelas di Rio de Janeiro e il macroscopico divario tra cittadini con diritti e un sottoproletariato che non ne ha alcuno. ”… E poi Ester sta cercando di dirmi qualcos’altro. La discarica è piena di libri… Tutti dovrebbero saperlo: prendere coscienza del fatto che il “sapere” non è del tutto inscatolato. Perfino il Regime salterebbe sulla sedia se solo si rendesse conto del misfatto: (non è come si credeva) le masse non sono ignoranti. Un principio su cui sarebbe possibile fondare le radici di una oceanica ribellione. Non so, non ricordo bene, ma credo sia stato il Sistema a trasferire tutto nei computer: titanica operazione di censura culturale, colpo mortale al fatuo universo del ‘sapere librario’, e manovra dalla geniale perversione se davvero lo scopo era sancire una netta divisione delle classi sociali. L’imperativo fu: ‘tutto in rete’, sicchè TUTTO fu inquadrato in uno schema di virtuali spazi conglobati, con una sola, tragica dimenticanza:le parole!”
I cloni, questi simboli inquietanti dei nostri conflitti con noi stessi, sono qui in realtà rappresentati come complici. Non sono quelle figure che vorrebbero sostituirsi a noi, come generalmente la letteratura fantascientifica ci propone, ma qui lottano con noi. E’ questo l’aspetto davvero bello del libro: questi cloni che provano tenerezza, compassione per l’essere umano, che lo sostengono nella sua lotta per un mondo migliore. “Pat riprende il suo lavoro. Duro compito, il suo: essere il clone di un big come Behlen. E’ continuamente combattuto dall’affetto. Dimenticavo di dire che un clone prova un amore viscerale per la propria origine — ma questo voi umani non potete capirlo.” Il romanzo comincia proprio con un innamoramento. Tra un essere umano e un clone. In fondo non si distingue molto dalla trama di un innamoramento qualsiasi. Infatti l’innamoramento porta sempre con sé la scoperta di un nuovo mondo, rappresentato dall’altro: sia clone o essere umano la scoperta è sempre sensazionale. Quello che è peculiare è la forza morale di questi cloni, una forza morale diretta, esplicita. “Sono Alan Drexter, clone di Eric Drexter, ricercato per attività sovversiva nei confronti dell’ordinamento prestabilito dello Stato. Vi parlo dagli schermi dell’UWDN per proclamarmi pronto a lanciare un’ulteriore sfida: agirò ancora. Proseguirò la mia protesta non-violenta, continuando a realizzare murales. E lo farò finchè non avrò ottenuto il mio scopo. BEHELEN: Qual è il tuo scopo, Alan? — Ritrovare una persona cara. BEHELEN. Che cosa? – Si chiama Nikla: è una bambina di otto anni , nata e cresciuta nel sobborgo 59. Una bambina sordomuta, che qualcuno ha rapito…” Il Movimento per il Risveglio dei Cloni si presenterà alla prossima campana elettorale e la candidata, molto importante in questa storia, sarà quasi certamente eletta. Ma c’è molto scetticismo da parte dei cloni e dei non cloni (ripeto: le differenze, quando esistono, non sono di identità, ma di esistenza, del diritto a esercitarla): “S’è battuta perché si andasse alle urne tutti, anche il popolo dei sobborghi. Ve l’immaginate? Non so voi, ma io non metterò nessuna croce su nessun merdosissimo pezzo di carta”.
Una ultima considerazione: questo libro merita di avere una diffusione maggiore di quella che presumibilmente avrà; è raro trovare una scrittrice contemporanea che abbia con la scrittura un rapporto di fluidità così intenso e originale.