di Daniela Bandini

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“Perché lo squartasti?”.
“Volevo vedere come era fatto dentro”.
“Perché gli strappasti le interiora?”
“Volevo vedere se aveva il cuore”.
“E lo trovasti il cuore?”.
“No, non feci in tempo a vederlo”.
“Perché non strappasti fino in fondo?”.
“Perché non veniva via nient’altro”.


Questo è il dialogo reale che si svolge tra la psicologa del carcere e un’imputata, accusata di avere ucciso in maniera particolarmente efferata il padre. In queste righe di interrogatorio si svolge tutto il dramma della quotidiana sofferenza della coabitazione difficile, talvolta impossibile, di certe relazioni familiari, che tanto spesso la cronaca ci propone con falsa incredulità. Perché di questo si parla, in questi straordinari racconti di cronaca giudiziaria di Elena Coccia, avvocato impegnato nel sociale, nei diritti dell’infanzia, dei malati e dei disoccupati (Legami di sangue, L’Ancora del Mediterraneo, pp. 130, 10 €).
Straordinari racconti di routine giudiziaria. Chi è la vittima e chi il carnefice? Domanda d’altri tempi, forse. Cito un altro brano, un altro caso:”Francesco negli anni diventa invisibile. Il padre non lo vede quando lo trova che dorme nel giardino, il padre e la madre non lo vedono quando lo incontrano a rubare nel supermercato…. “ Francesco è stato affidato a entrambi i genitori, dopo la separazione, ma per andare a dormire a casa del padre dovrà arrampicarsi dal balcone per non essere visto “Confermo di avere ucciso mio padre, mi insultava da diversi anni. Sì, avevo già pensato di ucciderlo, forse il giorno prima”. Una storia di relazioni intessute di violenza tra persecutori e vittime che si scambiano i ruoli. “Trattasi di cadaverino di sesso femminile, di 31 centimetri di lunghezza e 2.860 gr. di peso. La morte è avvenuta per precipitazione. Tuttavia non risulta legato all’estremità il cordone ombelicale che appare reciso, più che tagliato”. La storia di Cristina. Storia di cronaca nera, di quelle trattate con morbosa attenzione, con falso pudore. Storie di gravidanze di cui nessuno si accorge, di ragazze, di donne che partoriscono in bagno, di emorragie post-partum… ”Non mi sono accorto dello stato di gravidanza di mia figlia. Aveva una condotta disordinata, si drogava. Quando ero in casa io la cacciavo via dicendole che il suo posto è il vicino bidone della spazzatura”. Questo libro è anche il racconto di una passione grande quasi quanto la difficoltà di esercitarla con coerenza, ovvero il diritto alla difesa. Quando l’autrice del libro dopo 4 ore di arringa in difesa di Francesco (“qualcuno mi guardava con rispetto, qualcuno con sospetto”) chiederà alla guardia dove sia l’imputato e quando sia stato portato via, le risponderanno: “Mentre lei parlava. Dicono che l’imputato ha commentato ‘Tutte stronzate’.